I manifesti in tema “Marriage Equality” sono ancora al loro posto nelle vie di Dublino, vari giorni dopo il referendum del 22 maggio e la diffusione, nel corso del pomeriggio successivo, della notizia che il 62,07 per cento di votanti si era espresso a favore di una modifica della Costituzione della Repubblica d’Irlanda, al fine di permettere il “Same-sex marriage”, primo caso al mondo di un paese chiamato al voto per permettere un cambiamento simile. L’affluenza è stata molto alta, il 60 e mezzo per cento, paragonabile a quella negli storici referendum del 1937 sulla costituzione (che registrò un 76 per cento di votanti) e quello del 1972 sulla Comunità Europea (in cui l’affluenza arrivò al 71 per cento ed il cui voto determinò, un anno più tardi, l’aggregazione della repubblica ai sei paesi fondatori della UE).
In questi ultimi mesi ha fatto un certo effetto vedere, nelle vetrine di sezioni di partito del Fianna Fáil, accanto ai consueti quadri (con le scene militaresche del 1916 e del 1920 e della costituzione repubblicana del 1937) poster che invitavano a cambiare l’articolo 41 con l’aggiunta dell’affermazione che recita: “Marriage may be contracted in accordance with law by two persons without distinction as to their sex”. Ancora nel 1992, l’allora leader del Fianna Fáil, Albert Reynolds, non voleva nemmeno legalizzare relazioni diverse da quelle tradizionalmente accettate (anche se poi la necessità di un patto con i Laburisti portò i suoi deputati a cambiare decisione). La scorsa domenica sera la televisione pubblica RTE ONE ha trasmesso l’intervento del leader del Fianna Fáil, opposizione, Micheál Martin, che ha descritto il sostegno al “sì” nel voto di venerdì come un momento estremamente positivo nella storia della Repubblica d’Irlanda. Joan Burton (del Labour, al governo col Fine Gael) gli ha dato man forte in questa valutazione, rimarcando il carattere di “unità nella diversità” costruito in decenni dalla democrazia irlandese.
Nel 2015, entrambi i partiti “repubblicani”, il vecchio centrodestra sociale rappresentato dal Fianna Fáil ed il suo storico concorrente “rifondarolo” nei quartieri popolari, lo Sinn Féin, hanno suonato la carica per sancire la riforma in seggi approntati in scuole, chiese, e, nelle isole più piccole dell’ovest, nel salotto delle abitazioni private. “Yes Equality” hanno recitato tutti i manifesti dei partiti repubblicani legati alla storia dell’indipendenza, a fargli eco c’erano anche quelli di Fine Gael (“Equality for everybody”) e Labour, con immagini di famiglie irlandesi numerose e gruppi di cittadini in strada, ad incoraggiare una sorta di cambiamento nella continuità. I quattro maggiori partiti (Fine Gael, Labour, Fianna Fáil, Sinn Féin) molti deputati indipendenti e i gruppi di sinistra, hanno appoggiato fin dall’inizio la campagna per il sì.
Il Labour ha dato seguito alla sua agenda liberale, il Fianna Fáil ha continuato a proporsi, come da un paio di decenni, quale tutore dei diritti civili nella continuità, mentre lo Sinn Féin vuole presentarsi come primo traino di cambiamento dopo l’exploit delle ultime europee, ma la differenza l’ha fatta la società civile: una decina di giorni prima del voto Brian O’Driscoll, ben conosciuto in Irlanda per i suoi successi sul campo di rugby, capitano della nazionale dal 2003 al 2012 e padre di famiglia, ha sostenuto il voto favorevole su twitter e “Sister Stan” (Stanislaus Kennedy) suora nota nella repubblica per il suo lavoro nel sociale a cominciare dall’aver fondato una trentina di anni fa l’associazione benefica “Focus Ireland”, ha definito apertamente il matrimonio un diritto civile inalienabile di tutti gli individui.
Ma in maniera ancora più visibile nella capitale, molte piccole attività commerciale hanno esposto nelle proprie vetrine gli slogan “Business for Equality” e “Yes to Equality”. Il Fine Gael, partito di destra liberale attualmente al governo assieme al Labour, oltre a sostenere il sì al “same-sex marriage” aveva fatto parlare del tema per l’outing del suo Ministro alla Sanità, Leo Varadkar, da sempre visto come esponente della destra rappresentata spesso proprio dal Fine Gael. Il Primo Ministro Enda Kenny (FG) ha sottolineato l’identità plurale che ha accompagnato la storia irlandese, dall’inclusione delle diverse tradizioni religiose all’integrazione degli immigrati, mentre Mary Lou McDonald (Sinn Féin) dopo la diffusione del risultato definitivo, ha spronato la sinistra radicale (Socialist Party e People Before Profit) a non disperdere la spinta al cambiamento sociale e affiancarsi allo Sinn Féin per trasferirla in un programma alternativo di governo: l’appello trova delle basi concrete nel massiccio apporto al “sì” da aree della “working class”.
La campagna del referendum ha dominato il dibattito per mesi e sebbene il lato del “no” abbia talvolta fatto ricorso a immagini atte a suggerire bruschi cambiamenti nella struttura familiare, ha espresso una serie di opinioni diverse che generalmente non sono state contrarie al principio del riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso, ma hanno sollevato problemi nell’evoluzione giuridica (ad esempio nella regolamentazione della procreazione assistita) ipotizzabile in base al cambiamento dell’articolo 41 della costituzione. Il 22 maggio in Irlanda si è votato anche in merito ad un altro articolo della costituzione, il numero 12, per arrivare all’abbassamento dell’età minima del Presidente della Repubblica da 35 a 21 anni, proposta in secondo piano – dato il risalto acquisito dal tema del matrimonio – riforma rigettata in questo caso (col 73 per cento di voti contrari) dall’elettorato irlandese.
In ogni caso, mentre i timori di contraccolpi negativi sui partiti che si potrebbero considerare più conservatori paiono fugati dall’indicazione delle elezioni suppletive del Carlow-Kilkenny, dove il candidato del Fianna Fáil Bobby Aylward è stato eletto e il Fine Gael non è andato male, è indubbio l’impatto che l’esito del referendum potrebbe sortire in società molto legate a quella irlandese, a cominciare dagli Stati Uniti (dove il mese prossimo si attende una sentenza di costituzionalità sul rifiuto opposto da alcuni stati all’introduzione delle unioni civili) per proseguire con diversi stati europei nei quali molti politici iniziano ora a nutrire dubbi sull’assunto che la società civile sarebbe restia ad accettare riforme nell’ambito dei diritti individuali, quando queste mettano in crisi consuetudini sociali lungamente indiscusse.
I manifesti in tema “Marriage Equality” sono ancora al loro posto nelle vie di Dublino, vari giorni dopo il referendum del 22 maggio e la diffusione, nel corso del pomeriggio successivo, della notizia che il 62,07 per cento di votanti si era espresso a favore di una modifica della Costituzione della Repubblica d’Irlanda, al fine di permettere il “Same-sex marriage”, primo caso al mondo di un paese chiamato al voto per permettere un cambiamento simile. L’affluenza è stata molto alta, il 60 e mezzo per cento, paragonabile a quella negli storici referendum del 1937 sulla costituzione (che registrò un 76 per cento di votanti) e quello del 1972 sulla Comunità Europea (in cui l’affluenza arrivò al 71 per cento ed il cui voto determinò, un anno più tardi, l’aggregazione della repubblica ai sei paesi fondatori della UE).
In questi ultimi mesi ha fatto un certo effetto vedere, nelle vetrine di sezioni di partito del Fianna Fáil, accanto ai consueti quadri (con le scene militaresche del 1916 e del 1920 e della costituzione repubblicana del 1937) poster che invitavano a cambiare l’articolo 41 con l’aggiunta dell’affermazione che recita: “Marriage may be contracted in accordance with law by two persons without distinction as to their sex”. Ancora nel 1992, l’allora leader del Fianna Fáil, Albert Reynolds, non voleva nemmeno legalizzare relazioni diverse da quelle tradizionalmente accettate (anche se poi la necessità di un patto con i Laburisti portò i suoi deputati a cambiare decisione). La scorsa domenica sera la televisione pubblica RTE ONE ha trasmesso l’intervento del leader del Fianna Fáil, opposizione, Micheál Martin, che ha descritto il sostegno al “sì” nel voto di venerdì come un momento estremamente positivo nella storia della Repubblica d’Irlanda. Joan Burton (del Labour, al governo col Fine Gael) gli ha dato man forte in questa valutazione, rimarcando il carattere di “unità nella diversità” costruito in decenni dalla democrazia irlandese.