All’ultimo Mobile World Congress di Barcellona, conclusosi il 2 marzo scorso, Masayoshi Son, presidente e ad del gruppo tecnologico e di telecomunicazioni giapponese Softbank, ha rivelato alla platea la sua «vision», un futuro dominato dall’intelligenza artificiale.
Nel giro di pochi decenni, ha detto Son, i computer saranno più intelligenti degli esseri umani e avranno un quoziente intellettivo di 10mila, quasi mille volte in più di un uomo. L’ad di Softbank ci crede sul serio. In questo futuro, anche le scarpe che indosseremo, ha scherzato Son, saranno più intelligenti di noi.
Così l’ad del conglomerato giapponese ha giustificato i suoi recenti investimenti nel settore dei semiconduttori e dei chip — Softbank ha sborsato 32 miliardi di dollari per acquisire la britannica ARM — e nel settore dello spazio — un altro miliardo di dollari è andato a OneWeb, una startup che intende lanciare nei prossimi anni 2mila satelliti nell’orbita terrestre e realizzare la copertura globale di Internet ad alta velocità sul nostro pianeta. Grazie, in particolare, al suo importante investimento nei semiconduttori, Son prova a lanciarsi come «demiurgo» dello «smart» mondo e della quarta rivoluzione industriale: a Barcellona, l’uomo d’affari ha annunciato la produzione di mille miliardi di chip da impiantare in auto, case e, appunto, scarpe, nei prossimi 20 anni.
Un guru fallibile dell’innovazione
Il nome di Son dirà poco o nulla al pubblico italiano, ma in Giappone e in altre parti dell’Asia orientale è da molti considerato «il» guru dell’innovazione. Da dicembre dello scorso anno, il 59enne discendente di una famiglia zainichi — il termine, spesso discriminatorio, che identifica i cittadini di origine coreana da generazioni residenti in Giappone — ha attirato attenzioni mediatiche dall’altra parte del Pacifico promettendo, con tanto di abbracci con il da poco eletto presidente Usa Donald Trump, investimenti per 50 miliardi di dollari e 50mila posti di lavoro. Prima avevano fatto il giro del mondo le immagini di lui in compagnia di Pepper, il robot umanoide in grado di riconoscere le emozioni umane, sviluppato da Softbank e dall’azienda francese Aldebaran e già diffuso in Giappone in alcuni negozi e filiali bancarie per fornire assistenza ai clienti. Il rapporto uomo-tecnologia è oggi al centro dell’attività di Softbank che ha avviato un Innovation Program per il supporto ad aziende medio piccole impegnate nei settori della domotica, della realtà virtuale, dei droni e delle tecnologie per la salute e la finanza. Con lo stesso intento, l’azienda di Tokyo è a capo — insieme al fondo sovrano dell’Arabia Saudita — di un Vision Fund da 100 miliardi di dollari, il più importante investimento della storia nel settore tech.
A Son piace puntare molto in alto e rischiare. Spesso fallisce. Come quando tra la fine degli anni ’90 e i primi 2000, con l’esplosione della bolla delle dot-com, ha perso oltre 70 miliardi di dollari.
La quarta rigenerazione di Softbank sarà la quarta rivoluzione industriale?
Son ha sempre cercato però di «rigenerarsi» e rigenerare l’azienda da lui fondata. Fino alla metà degli anni ‘90 l’azienda si occupava di programmazione e distribuzione di software aziendali. Nel 1996 decide di puntare sulla Rete, di cui si iniziavano a intuire le possibilità pressoché infinite di sviluppo — e profitto. Nel 1996, Softbank finanzia Jerry Yang, fondatore del motore di ricerca Yahoo! — con la crisi del motore di ricerca e il calo del valore delle sue azioni, l’azienda di Tokyo se ne è poi gradualmente allontanata rimanendo comunque proprietaria di Yahoo Japan, che invece conserva una posizione di leadership nel panorama giapponese. Nel 2000, Son fa un investimento da 20 miliardi di dollari per finanziare quello che a distanza di 15 anni sarebbe diventato il primo portale e-commerce cinese, Alibaba. Il gruppo di Jack Ma oggi vale oltre 230 miliardi di dollari, 50 miliardi la percentuale in mano a Son.
Dieci anni più tardi l’investimento in Yahoo, Softbank rileva le operazioni di Vodafone Japan e si afferma secondo operatore mobile del paese arcipelago. Nel 2013 invece, Softbank acquista l’americana Sprint, al momento senza essere riuscita a risollevarne le sorti economiche.
Insomma, alle perdite Son è riuscito ad affiancare, nella sua trentennale carriera, guadagni a nove zeri. Il rischio sembra essere parte del suo mestiere e del suo personaggio, un po’ in controtendenza rispetto ai businessmen suoi connazionali. E anche questa volta, con la quarta rivoluzione industriale, e quarta «rigenerazione» di Softbank, potrebbe averci azzeccato.