La violenta repressione dei militari ha compattato il fronte dell’opposizione che ora include anche le diverse etnie e tutti i settori della società birmana, e si sta armando
La violenta repressione dei militari ha compattato il fronte dell’opposizione che ora include anche le diverse etnie e tutti i settori della società birmana, e si sta armando
L’esperimento di un Myanmar semi democratico si è concluso con un colpo di Stato andato in scena il primo febbraio scorso. Tutti i poteri sono stati trasferiti al generale Min Aung Hlaing, capo dell’esercito, mentre il generale Myint Swe è stato nominato Presidente a interim. Aung San Suu Kyi e molti altri esponenti di spicco della National League for Democracy (Nld), il partito vincitore delle elezioni dello scorso novembre, sono stati arrestati a poche ore dall’inaugurazione del nuovo Parlamento. Nelle settimane precedenti al golpe, i militari avevano denunciato delle irregolarità nelle votazioni e avevano minacciato di “passare all’azione” se le accuse di brogli non fossero state considerate dal Governo. E così è stato.
Quale democrazia?
Nonostante si sia spesso parlato di un nuovo corso del Myanmar verso la democrazia, facendo di fatto aprire il Paese agli interessi occidentali, il Tatmadaw – l’esercito – ha continuato ad avere un enorme potere, controllando la vita politica, economica e sociale della ex Birmania. Il 25% del parlamento è comunque sempre stato riservato ai militari, indipendentemente dall’esito delle elezioni. I militari hanno anche mantenuto il comando del Ministero degli Interni, quello della Difesa e quello per gli Affari di confine. Inoltre, la giunta militare ha sempre fatto parte del Consiglio per la difesa e la sicurezza nazionale, che gli permetteva, in qualsiasi momento, di modificare le leggi considerate pericolose per il Paese, con la possibilità di assumere il totale controllo qualora, secondo il suo stesso giudizio, l’integrità della nazione venisse in qualche modo minacciata.
In questo contesto, Aung San Suu Kyi non ha opposto una gran resistenza. Al contrario, ha più volte difeso l’operato delle forze armate. La sua omertà sui conflitti etnici e in particolar modo sul massacro deiRohingya nel 2007, che ha costretto oltre 700mila persone della minoranza musulmana a rifugiarsi nel vicino Bangladesh, ha messo la leader democratica al centro di importanti critiche internazionali. “Il suo silenzio sul massacro dei Rohingya e quello sui conflitti con i gruppi etnici non dovrebbe sorprendere più di tanto. Lei, infatti, è comunque una sciovinista di etnia Bamar – l’etnia principale del Paese, ndr – e una devota buddista. E se è vero che la Costituzione redatta dai militari nel 2008 le è stata sicuramente contro e l’esercito ha sempre mantenuto molto potere, non bisogna dimenticare che deteneva la maggioranza parlamentare e che avrebbe potuto esercitare delle forti pressioni”, precisa Zachary Abuza, docente del National War College di Washington. “Non bisogna dimenticare che anche Suu Kyi è stata complice di queste atrocità”, aggiunge Penny Green, professoressa alla Queen Mary University di Londra. “Credo che le sue ambizioni politiche e il desiderio di guidare il Myanmar l’hanno resa cieca sulle potenziali conseguenze di quello che ora è diventata una triste realtà”.
“I pochi miglioramenti a cui abbiamo assistito in questi anni nel Paese non sono mai stati intesi a realizzare la storia di successo democratico che il Mondo era così disposto a credere”, spiega Yadanar Maung, portavoce del gruppo di attivisti Justice for Myanmar (Jfm). Ma “erano semplicemente le fasi successive di un piano diverso e più oscuro per espandere la ricchezza dell’élite militare. La fase precedente era quella di stabilire una rete di canali in tutti i settori dell’economia per garantire che i benefici del boom economico della nazione fluissero direttamente ai vertici delle forze armate”. Il Tatmadaw, infatti, detiene il controllo sui due più importanti gruppi economici del Paese, il Myanmar Economic Corporation (Mec) e il Myanmar Economic Holdings Limited (Mehl). Questi conglomerati si collocano tra i maggiori contribuenti del Myanmar e hanno cercato nuove partnership con società straniere subito dopo che Suu Kyi è salita al potere nel 2015.
L’indignazione mondiale
La brutale repressione in atto in questi mesi contro i manifestanti ha scatenato l’indignazione di gran parte dei Governi mondiali. L’Unione europea ha emanato sanzioni per undici persone responsabili del golpe del primo febbraio e, più recentemente, ha anche vietato a investitori e banche dell’Ue di fare affari con Mec e Mehl. “La ricchezza dei generali è protetta e in gran parte impossibile da colpire, poiché è legata all’estrazione delle risorse naturali e al commercio di metanfetamine”, spiega Abuza. Non bisogna dimenticare, infatti, che il Myanmar è il più grande produttore di droghe sintetiche al mondo e il secondo di eroina dopo l’Afghanistan. Un business illegale che vale oltre quaranta miliardi di dollari e che, secondo numerose organizzazioni, sarebbe in gran parte sotto il controllo dei potenti capi del Tatmadaw.
Nessuna azione ufficiale, invece, è arrivata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. I Paesi membri dell’organismo non sono ancora riusciti a trovare un accordo, dopo che Pechino e Mosca hanno chiesto più tempo per elaborare una presa di posizione. La Cina, d’altronde, è una storica alleata dei generali e ha enormi interessi economici e strategici nel Paese. Il Dragone punta a sviluppare tramite la ex Birmania una nuova rotta commerciale alternativa allo Stretto di Malacca, attraverso il quale scorrono i principali flussi commerciali da e per la Repubblica popolare, incluso l’80% del petrolio che viene importato e il corridoio sino-birmano consentirebbe a Pechino di ridurne notevolmente la dipendenza. Uno dei progetti più importanti è il porto di Kyauk Phyu e il suo indotto di autostrade, gasdotti e oleodotti che collegano lo Stato Rakhine nel Nord Ovest del Myanmar direttamente alla città cinese di Kunming, nello Yunnan. Anche la Russia non vuole certo perdere le proprie enormi commesse. Nella settimana precedente al golpe, infatti, ha venduto al Myanmar sistemi missilistici Pantsir-S1, droni di sorveglianza Orlan-10 e apparecchiature radar per un valore di 14.7 milioni di dollari.
Intanto il caos nel quale versa il Paese del Sud-est asiatico ha aperto nuovi scenari. La popolazione Bamar si è avvicinata alle etnie, vedendole come un potenziale alleato per liberarsi dei militari al potere. E così, il rischio di una guerra civile è alle porte. Nelle zone di confine, infatti, non si fermano i combattimenti tra il Tatmadaw e i gruppi armati che hanno appoggiato i manifestanti. Gli uomini del Karen National Liberation Army (Knla) – la principale guerriglia dell’etnia che richiede uno Stato federale da oltre settant’anni e che in questa situazione ne vede una concreta possibilità – stanno fronteggiando i militari in diverse zone della regione. Anche nello Stato Kachin sono in atto pesanti scontri a fuoco tra l’esercito e il Kachin Independence Army (Kia), il gruppo armato dell’etnia. La Brotherhood Alliance, che comprende i ribelli dell’Arakan Army (Aa), il Ta’ang National Liberation Army (Tnla) e il Myanmar National Democratic Alliance Army (Mndaa), ha appoggiato la rivolta. L’Aa, in particolare, è una delle principali milizie etniche nell’irrequieto Stato Rakhine, al confine con il Bangladesh, che nei mesi scorsi ha tenuto sotto scacco i militari birmani compiendo attacchi sorprendenti anche in ambienti urbani. E poi ci sono centinaia di persone che stanno raggiungendo le zone etniche per addestrarsi. L’obiettivo sarebbe quello di ricevere una preparazione adeguata per tornare nelle proprie città e ingrandire il campo di battaglia.
“Siamo a conoscenza di giovani che si stanno arruolando con alcuni di questi gruppi e sappiamo anche che ci sono dei tentativi di resistenza alla repressione con l’uso delle armi. Questi sono fenomeni significativi e credo che la violenza aumenterà nel breve termine”, conferma Ranieri Sabatucci, ambasciatore dell’Unione europea in Myanmar. Secondo il diplomatico, la soluzione è nelle mani di Cina e Thailandia. “Questi due Paesi, che hanno una grande influenza e tanto da perdere se la situazione si aggravasse, dovrebbero spingere il regime a fermare la repressione violenta e far intraprendere un negoziato con i leader del movimento di disobbedienza civile, che include tutti i settori della società birmana”. Ma non sarà semplice, visti gli interessi strategici ed economici che ci sono in gioco.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
La violenta repressione dei militari ha compattato il fronte dell’opposizione che ora include anche le diverse etnie e tutti i settori della società birmana, e si sta armando
L’esperimento di un Myanmar semi democratico si è concluso con un colpo di Stato andato in scena il primo febbraio scorso. Tutti i poteri sono stati trasferiti al generale Min Aung Hlaing, capo dell’esercito, mentre il generale Myint Swe è stato nominato Presidente a interim. Aung San Suu Kyi e molti altri esponenti di spicco della National League for Democracy (Nld), il partito vincitore delle elezioni dello scorso novembre, sono stati arrestati a poche ore dall’inaugurazione del nuovo Parlamento. Nelle settimane precedenti al golpe, i militari avevano denunciato delle irregolarità nelle votazioni e avevano minacciato di “passare all’azione” se le accuse di brogli non fossero state considerate dal Governo. E così è stato.
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