La dittatura dello storico leader Shekau nel 2016 ha portato alla scissione del gruppo jihadista nigeriano. La fazione maggioritaria guidata dal carismatico Nur rilancia il movimento seguendo un modello più inclusivo. Ma continua a seminare terrore. E rimane fedele all’Isis
Nonostante la contro-offensiva lanciata dalla Forza di intervento multinazionale congiunto (Mnjtf), il gruppo estremista nigeriano Boko Haram continua a condurre attacchi in tutta la regione, prendendo di mira soprattutto i civili.
L’ultimo sanguinoso episodio risale allo scorso 8 agosto, quando i miliziani jihadisti hanno ucciso sette persone nel villaggio di Munduri, nello stato nord-orientale del Borno. Secondo quanto riporta la stampa nigeriana, gli insorti hanno fatto irruzione a bordo di pick-up e motociclette durante la notte, quando dopo aver massacrato i sette civili hanno dato fuoco all’intero villaggio.
Pochi giorni prima, altre cinque persone erano state uccise in un attacco simile nel villaggio di Gasarwa, vicino alla città di Monguno, nella regione del lago Ciad.
Il gruppo islamista continua dunque a rappresentare una minaccia costante per il Paese più popoloso dell’Africa, dopo che, dal luglio 2009 a oggi, i suoi attacchi terroristici hanno provocato oltre 33mila vittime e costretto circa 2,7 milioni di persone ad abbandonare le loro abitazioni. E dal 2014, le violenze hanno oltrepassato la Nigeria investendo anche Ciad, Camerun e Niger, gli altri tre Paesi i cui confini convergono nel bacino del lago Ciad.
Alcuni analisti ritengono che la brutale campagna di Boko Haram, che dal 2010 ha attaccato scuole, incendiato villaggi e rapito centinaia di persone, è una risposta alle tensioni religiose di lunga data, alla corruzione politica e all’aumento della disuguaglianza economica in Nigeria. Mentre le misure messe in atto dal governo di Abuja hanno avuto l’effetto di alimentare l’offensiva jihadista, invece di arginarla.
Due diverse entità
Nell’agosto 2016, Boko Haram diede l’annuncio che si era divisa in due gruppi, complicando così gli sforzi per ridurre la sua presenza nella regione del lago Ciad poiché, invece di affrontare un singolo movimento, le forze di sicurezza nazionali e regionali si sono trovate a contrastare due diverse entità con una storia condivisa, ma metodi operativi divergenti.
Il mese scorso, l’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza (Iss), con sede a Pretoria, ha realizzato un interessante report per esaminare le differenze tra le due fazioni di Boko Haram, che operano nella regione del lago Ciad.
Nello studio, la prima fazione, capeggiata da Abu Musab al-Barnawi e da Mamman Nur, viene identificata come lo Stato Islamico dell’Africa Occidentale (Isis-Wa). L’altra, che fa riferimento allo storico leader di Boko Haram Abubakar Shekau, è indicata con il nome originario del gruppo Jama’atu Ahlis Sunna Lidda’awatiwal-Jihad (Jas), che tradotto dall’arabo significa Gruppo della Gente della Sunna per la propaganda religiosa e il jihad.
Stando al rapporto, la presenza di Nur alla guida della fazione fedele allo Stato Islamico è molto carismatica perché fin dal tempo della rivolta del luglio 2009 il jihadista è sempre stato ai vertici di Boko Haram, di cui in seguito prese le redini mentre Shekau era stato ferito in un attacco aereo. Ed è anche ritenuto la mente dell’attentato, che nell’agosto 2011 prese di mira il quartier generale delle Nazioni Unite ad Abuja. Inoltre, Nur ha sviluppato nel tempo legami con diversi gruppi che operano in altre parti dell’Africa, come al-Shabaab in Somalia e al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqim).
Non a caso, l’esercito nigeriano e gli ex jihadisti fedeli all’Isis-Wa intervistati per realizzare lo studio, fanno spesso riferimento al gruppo come la fazione di “Nur”, piuttosto che indicarla come quella di Barnawi.
I motivi della scissione di Nur
Nur sarebbe confluito nella fazione legata allo Stato Islamico perché Shekau avrebbe praticamente ignorato il suo ruolo primario all’interno della Shura (Consiglio) di Boko Haram. Inoltre, Shekau è stato messo in discussione a causa della sua fuorviante interpretazione della dottrina coranica. Senza contare, che è stato anche accusato di uccidere i membri del suo gruppo, spesso in segreto e senza giustificazione. Altre recriminazioni ruotavano intorno al fatto che Shekau non si preoccupava delle condizioni di estremo disagio in cui erano costretti a vivere la maggior parte dei suoi seguaci. In sostanza, Nur non era d’accordo con il metodo dittatoriale con cui Shekau guidava e ancora guida l’organizzazione.
La perdita di fiducia nella capacità di leadership di Shekau ha prodotto la necessità di un cambiamento per rilanciare il movimento, che al tempo della scissione nell’agosto 2016, stava attraversando un periodo di evidente declino. Nur si è lamentato che sotto Shekau i militanti hanno perso il controllo di vaste aree di territorio e continuavano a ripiegare sotto l’offensiva della Mnjtf. In breve, Nur e i suoi miliziani hanno cercato un nuovo approccio per ridare vigore all’organizzazione.
Il dibattito sui takfir
Altamente divisivo è stato il dibattito sulla dichiarazione dei takfir, termine arabo che viene utilizzato per indicare un individuo scomunicato, in quanto dichiaratosi appartenente ad una religione diversa dall’islam dopo esser stato musulmano e, di conseguenza, può essere bersaglio di un attacco. Un processo assai controverso, al quale Nur ritiene che si debbano applicare condizioni più severe di quelle di Shekau, che ritiene takfir chiunque non abbia attivamente dimostrato fedeltà al suo gruppo. Per esempio, nella visione di Shekau, anche coloro che fuggono da zone sotto il suo controllo per cercare rifugio nei territori governativi sono degli infedeli.
Ciò significa, che un ampio segmento della popolazione della regione del lago Ciad non viene considerato come musulmano legittimo agli occhi di Shekau e di conseguenza è passibile della sua violenza. Mentre vengono risparmiati coloro che lo sostengono apertamente.
La fazione di Nur e Barnawi si basa su un modello meno coercitivo di quello del Jas. Per questo, intende dare la priorità all’instaurazione di buoni rapporti con la popolazione civile, anche perché tale relazione è importante per la sua sopravvivenza.
C’è anche da sottolineare, che l’intento dell’Isis-Wa di mantenere un saldo legame ideologico con la dottrina del fondatore di Boko Haram, Muhammad Yusuf, risulta centrale per il suo appello a coloro che rifiutano l’ortodossia di Shekau, ma rimangono vulnerabili alla sua retorica e/o ancora nutrono sentimenti anti-governativi.
Non è chiaro, però, quanto alla fine questa strategia risulterà efficace, considerato il fatto che l’Isis-Wa ha finora fornito ben poco in termini di governance e anche di servizi e assistenza alle popolazioni della Nigeria, che vivono nelle aree sotto il suo controllo.
@afrofocus
La dittatura dello storico leader Shekau nel 2016 ha portato alla scissione del gruppo jihadista nigeriano. La fazione maggioritaria guidata dal carismatico Nur rilancia il movimento seguendo un modello più inclusivo. Ma continua a seminare terrore. E rimane fedele all’Isis
Nonostante la contro-offensiva lanciata dalla Forza di intervento multinazionale congiunto (Mnjtf), il gruppo estremista nigeriano Boko Haram continua a condurre attacchi in tutta la regione, prendendo di mira soprattutto i civili.