Attraversa dieci Stati garantendo sussistenza a buona parte del continente. L'annosa diatriba sulla gestione delle sue acque sembra giunta a un accordo
Attraversa dieci Stati garantendo sussistenza a buona parte del continente. L’annosa diatriba sulla gestione delle sue acque sembra giunta a un accordo
Nell’Antico Egitto il fiume Nilo era divinizzato col nome di Hapi Moou e grandi templi erano stati eretti per celebrare la sua miracolosa inondazione, che ogni anno si rinnovava fecondando il territorio. All’epoca si credeva che il Nilo nascesse da una caverna, alimentata dall’oceano sotterraneo di Nun, formato dalle acque primordiali che avevano generato l’universo e sulle quali galleggiava il mondo intero.
In realtà il grande fiume, che con il Rio delle Amazzoni si contende il primato del corso d’acqua più lungo del mondo, si estende per 6.853 km ed è costituito da tre affluenti: il Nilo Bianco, che nasce dal Lago Vittoria; il Nilo Azzurro, che ha origine dal lago Tana e convoglia le piogge cadute nell’altopiano etiopico; e l’Atbara, l’affluente minore che nasce nell’Etiopia nord-occidentale. I tre emissari si incontrano in Sudan per formare la principale via navigabile che scorre verso nord attraverso l’Egitto prima di riversarsi nel Mar Mediterraneo.
La spartizione di queste acque costituisce da sempre una delle più spinose questioni irrisolte della regione, originata dal fatto che per decenni l’Egitto ha goduto di un quasi monopolio garantito da una spartizione fissata dall’accordo concluso nel 1929 con la Gran Bretagna, all’epoca potenza coloniale in Sudan. A questo, ha fatto seguito un secondo trattato siglato nel 1959 tra IlCairo e Khartoum, tre anni dopo che il Sudan era diventato indipendente, che nella sostanza riconfermava quanto stabilito nel 1929 fissando le quote di metri cubi d’acqua da spartire tra i due Paesi (55,5 miliardi di metri cubi all’Egitto e 18,5 miliardi di metri cubi al Sudan) e concedendo al Cairo il potere di veto su qualsiasi opera idrica progettata a monte del fiume.
I due trattati però non hanno preso minimamente in considerazione le esigenze degli altri nove Paesi attraversati dal Nilo, che non si sono mai sentiti vincolati dai due accordi, dei quali da lungo tempo reclamano una revisione. Tra i nove Paesi è compresa anche l’Etiopia, da cui proviene l’85% delle acque e ciononostante non fu coinvolta nelle trattative.
Ma sia il Sudan che l’Egitto hanno sempre difeso quei trattati, indicando come giustificazione la maggiore aridità delle proprie terre. Una posizione dettata dal fatto che parte dell’economia dei due Stati africani ruota intorno ai campi agricoli sulle rive del fiume.
Dal punto di vista geopolitico, come avviene in tutte le zone aride della Terra, tutto questo ha suscitato numerosi attriti tra i vari Paesi interessati dal bacino fluviale, in particolare Egitto, Sudan ed Etiopia. Attriti che negli ultimi nove anni sono stati alimentati dalla costruzione della Grande diga del rinascimento etiope (GERD), iniziata nel 2011 vicino al lago Tana, la sorgente del Nilo Azzurro, a quindici chilometri dal confine sudanese. Attraverso questo progetto, il Paese del Corno d’Africa non solo risolverà il problema energetico ma diventerà anche il primo esportatore di energia del continente.
L’imponente opera dovrebbe essere conclusa entro il 2022, nonostante l’opposizione dell’Egitto che vede nella realizzazione del progetto infrastrutturale una minaccia alla propria stabilità interna. A suscitare le preoccupazioni del Paese arabo è il fatto che la diga ridurrà notevolmente il flusso a valle del Nilo con conseguenze devastanti per la produzione agricola e il mercato alimentare interno.
Di fatto, si stima che a opera compiuta, le terre arabili d’Egitto diminuirebbero del 60%, oltre al 25% già dichiarato inutilizzabile dalle autorità. Inoltre, la GERD influirà anche sul volume delle acque del lago Nasser, sul quale si basa buona parte della produzione elettrica d’Egitto. Una diminuzione del flusso impedirebbe il funzionamento delle turbine idroelettriche dell’Alta Diga di Assuan, rendendo così inutile una delle maggiori opere infrastrutturali egiziane. È quindi fondamentale che le parti risolvano la controversia prima che la diga etiope entri in funzione.
Tra il 2011 e il 2017, i leader egiziani ed etiopi hanno però inquadrato la disputa sulla GERD in termini nazionalisti e bellicosi. I politici al Cairo hanno minacciato di sabotare la diga e i media locali hanno più volte confrontato la potenza militare delle due nazioni in previsione delle ostilità.
Poi, nel tentativo di trovare una soluzione all’annosa disputa, nel maggio dello scorso anno Etiopia, Egitto e Sudan, accogliendo una vecchia proposta dell’Unione europea, hanno istituito il National Independent Research Study Group. Un comitato scientifico trilaterale per calcolare e studiare l’impatto dell’opera sul Nilo e sull’ambiente regionale in generale.
Ma il primo vero segnale di avvicinamento si è registrato il mese successivo, quando il primo ministro etiope, Abiy Ahmed Ali, si è recato in visita ufficiale al Cairo per incontrare il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi. Nel corso dei colloqui Abiy ha promesso di garantire che i progetti di sviluppo dell’Etiopia non danneggeranno l’Egitto, mentre al-Sisi ha escluso che la disputa possa sfociare in una soluzione militare.
Dopo l’incontro, l’Egitto ha mostrato una maggiore apertura al dialogo, concentrando il confronto non più sulla costruzione della diga, ma sulla sua velocità di riempimento. In altri termini, sul flusso idrico che continuerà ad arrivare a valle, grazie al quale il Paese arabo adesso soddisfa circa il 90% della domanda di acqua interna, senza contare l’uso agricolo ed industriale. Una capacità d’approvvigionamento che Il Cairo non intende diminuire con il calo della portata del fiume.
Tuttavia, nonostante i segnali di distensione, si sono registrati ben pochi progressi sostanziali verso una risoluzione della questione, che richiederebbe un allargamento del dialogo e del consenso, dato l’elevato numero di Paesi coinvolti, direttamente o indirettamente, nella gestione delle acque del Nilo. Senza contare, gli interessi delle potenze non continentali che hanno investito sulla costruzione della GERD e delle infrastrutture ad essa collegate.
Secondo un recente studio realizzato dall’autorevole International Crisis Group, le autorità egiziane, etiopi e sudanesi dovrebbero prendere in considerazione un approccio graduale per concordare una strada da seguire che li porti a una soluzione definitiva del dossier nilotico. Il primo nodo da risolvere è stabilire in quanto tempo l’Etiopia può riempire il bacino idrico della diga. Inizialmente, Addis Abeba ha prospettato di riempirlo in tre anni, mentre l’Egitto ha proposto tempi molto più lunghi, che prevedono un riempimento graduale nell’arco di quindici anni.
Sempre secondo il think tank di Bruxelles, per arrivare a una svolta su questo punto chiave della questione, l’Etiopia dovrebbe cooperare pienamente con i suoi partner a valle e delineare un calendario ottimale per stabilire la tempistica di riempimento. Se necessario, per rompere l’impasse i tre Paesi dovrebbero cercare il sostegno di una terza parte esterna alla disputa, individuata di comune accordo, che faccia da garante. Al contempo, il Governo etiope dovrebbe anche concordare di frazionare il tasso di riempimento aumentandone il ritmo nei periodi con piogge abbondanti, il che ridurrebbe al minimo l’interruzione dei flussi d’acqua verso l’Egitto.
Nei termini attuali della questione, le autorità di Addis Abeba, Il Cairo e Khartoum dovrebbero gettare le basi per discussioni più sostanziali su un quadro a lungo termine per la gestione del bacino del Nilo, allo scopo di evitare simili crisi in futuro. Sarebbe inoltre proficuo che l’Egitto si allineasse al programma del Nile Basin Initiative (NBI), un forum multilaterale supportato dalla Banca Mondiale, creato nel 1999, al quale partecipano tutti i Paesi del bacino e che ancora rappresenta la migliore sede disponibile per discutere una condivisione delle risorse idriche reciprocamente vantaggiosa.
Senza dimenticare, che i ritardi nel completamento della GERD e il miglioramento dei rapporti bilaterali tra Il Cairo e Addis Abeba, dopo l’ascesa del primo ministro Abiy, rendono questo momento propizio per negoziare una soluzione all’annosa disputa e consentire finalmente una stagione di pace per le agitate acque del Nilo.
Nell’Antico Egitto il fiume Nilo era divinizzato col nome di Hapi Moou e grandi templi erano stati eretti per celebrare la sua miracolosa inondazione, che ogni anno si rinnovava fecondando il territorio. All’epoca si credeva che il Nilo nascesse da una caverna, alimentata dall’oceano sotterraneo di Nun, formato dalle acque primordiali che avevano generato l’universo e sulle quali galleggiava il mondo intero.
In realtà il grande fiume, che con il Rio delle Amazzoni si contende il primato del corso d’acqua più lungo del mondo, si estende per 6.853 km ed è costituito da tre affluenti: il Nilo Bianco, che nasce dal Lago Vittoria; il Nilo Azzurro, che ha origine dal lago Tana e convoglia le piogge cadute nell’altopiano etiopico; e l’Atbara, l’affluente minore che nasce nell’Etiopia nord-occidentale. I tre emissari si incontrano in Sudan per formare la principale via navigabile che scorre verso nord attraverso l’Egitto prima di riversarsi nel Mar Mediterraneo.
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