Petrolio, crollano i prezzi: salta l’accordo tra russi e sauditi
Il vertice Opec+ si conclude senza un accordo. La Russia non taglia la produzione di petrolio e punta a danneggiare gli Stati Uniti. A rischio l’alleanza con l’Arabia Saudita
Il vertice Opec+ si conclude senza un accordo. La Russia non taglia la produzione di petrolio e punta a danneggiare gli Stati Uniti. A rischio l’alleanza con l’Arabia Saudita
Il vertice di Vienna tra l’Opec (l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) e la Russia si è concluso senza un accordo sui tagli alla produzione, ritenuti necessari per sostenere i prezzi del greggio di fronte al calo della domanda causato dal nuovo coronavirus. Venerdì il valore del petrolio è così crollato del 9%, toccando i minimi da tre anni: il Brent e il West Texas Intermediate – le due qualità utilizzate come riferimento, o benchmark – hanno raggiunto rispettivamente i 45 e i 42 dollari al barile.
La Russia non fa parte dell’Opec, ma dal 2016 si è alleata con l’Arabia Saudita (leader di fatto del cartello) per regolare insieme il mercato petrolifero. Il fallimento del vertice di Vienna mette tuttavia a rischio la loro partnership, indicata con la sigla Opec+. Mosca infatti ha deciso di non aderire all’accordo, che si prefiggeva di ridurre del 4% circa l’offerta complessiva di greggio sul mercato, ossia 3,6 milioni di barili al giorno in meno.
L’Arabia Saudita non riuscirà ad accollarsi anche la parte di tagli che sarebbe spettata alla Russia: il piano di Riad di estendere i tagli alla produzione fino alla fine dell’anno sembra pertanto essere compromesso.
Il crollo del petrolio andrà a danneggiare le economie maggiormente dipendenti dall’estrazione e dall’esportazione di questa risorsa. Come ad esempio l’Arabia Saudita, che necessita di prezzi al barile intorno agli 85 dollari per poter sostenere il bilancio statale. Anche la Russia è minacciata, ma ha fatto sapere di poter tollerare una fase di bassi prezzi, almeno per un certo periodo.
L’obiettivo di Mosca – che l’ha portata a rigettare i tagli e forse anche a compromettere l’alleanza geopolitica con Riad – è danneggiare Washington. Gli Stati Uniti sono oggi i primi produttori al mondo di petrolio, grazie allo sfruttamento delle rocce di scisto (shale). Lasciando affondare il prezzo del greggio a livelli troppo bassi perché le compagnie americane riescano a ricavare profitti, la Russia punta ad abbattere l’industria petrolifera statunitense e ad eliminare dal mercato un grosso rivale.
La strategia di Mosca si basa sul fatto che i costi di produzione per il petrolio shale sono molto più alti rispetto a quelli che devono sostenere la Russia e l’Arabia Saudita. È una strategia però rischiosa: in passato già Riad aveva scommesso sulla crisi dello shale americano, senza successo. D’altra parte, sono emersi diversi segnali che sembrano indicare un rallentamento della crescita, o forse addirittura un declino, della produzione petrolifera americana nel 2020.
Il vertice di Vienna tra l’Opec (l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) e la Russia si è concluso senza un accordo sui tagli alla produzione, ritenuti necessari per sostenere i prezzi del greggio di fronte al calo della domanda causato dal nuovo coronavirus. Venerdì il valore del petrolio è così crollato del 9%, toccando i minimi da tre anni: il Brent e il West Texas Intermediate – le due qualità utilizzate come riferimento, o benchmark – hanno raggiunto rispettivamente i 45 e i 42 dollari al barile.
La Russia non fa parte dell’Opec, ma dal 2016 si è alleata con l’Arabia Saudita (leader di fatto del cartello) per regolare insieme il mercato petrolifero. Il fallimento del vertice di Vienna mette tuttavia a rischio la loro partnership, indicata con la sigla Opec+. Mosca infatti ha deciso di non aderire all’accordo, che si prefiggeva di ridurre del 4% circa l’offerta complessiva di greggio sul mercato, ossia 3,6 milioni di barili al giorno in meno.
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