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Un risanamento tra Occidente e Russia è necessario e il suo ritardo provoca pericolosi focolai fuori controllo. L’Ue è chiamata a un protagonismo che non riesce o ha paura di avere.
Se qualche anno fa ci avessero chiesto quale futuro sperassimo per l’Unione europea probabilmente la maggior parte di noi avrebbe risposto auspicando i “legami sempre più stretti fra gli Stati membri” previsti dai trattati, nonché una estensione di qualche tipo che consentisse di legare la Ue da un lato alla Turchia, dall’altro alla Russia. Il tempo e la realtà hanno però provveduto, a far svanire, forse irrimediabilmente, ogni speranza. Pazienza per la Turchia, europea solo in minima parte dal punto di vista geografico e tutt’altro che europea sul piano storico, e su quello cultural religioso. E del resto poi la recente crisi dei profughi sulla rotta balcanica ha finito col far compiere alle relazioni reciproche Ue-Turchia un balzo in avanti di dimensioni tali da superare tutto ciò che sarebbe risultato possibile in tempi meno agitati. Più grave e più complesso invece il clima di aspro disaccordo che caratterizza ormai da parecchio i rapporti tra Mosca e Bruxelles, anche se per fortuna tanto la Russia che l’Ue riescono ancora a conservare, al- meno per il momento, la coscienza di essere non soltanto complementari, ma ad- dirittura indispensabili l’una all’altra, almeno in alcuni settori. A complicare le cose c’è poi anche la contrapposizione militare con la Nato − che non è Unione ma al cui interno opera un “pilastro europeo” con una membership per buona parte coincidente con quella dell’Unione − che di tanto in tanto esaspera le tensioni con episodi di brinkmanship come quello del- l’abbattimento dell’aereo russo sconfinato da parte dei Turchi o l’altro, più recente, del sorvolo di navi americane nel Baltico da parte di caccia russi. Se guardiamo come stanno le cose il giudizio non può quindi essere che uno solo, vale a dire che le relazioni fra l’Europa e la Russia stagnano al livello più basso raggiunto negli ultimi venticinque anni. È del tutto inutile cercare chi sia il colpevole di questo stato di fatto. Da un lato metà dell’Europa teme, con intensità paranoica, un ritorno offensivo della Russia. Dall’altro Mosca continua a rifiutare, con intensità altrettanto paranoica, l’idea di condividere con la Nato la sua frontiera europea. Nello scontro di queste due paranoie il sonno della ragione rischia di generare mostri, come del resto è già avve- nuto in Ucraina. Giorno dopo giorno, per contro, diviene sempre più evidente come l’Occidente, la Unione europea e l’Italia avrebbero soltanto da guadagnare da un miglioramento del loro rapporto con Mosca. In ambito politico la vicenda della Siria ha chiaramente dimostrato come il decisionismo a sfondo militare russo, associato alla capacità di gestire coalizioni e di individuare soluzioni diplomatiche dei nostri paesi, possa se non altro aprire a una speranza un panorama sino a ieri privo di qualsiasi concreta prospettiva di pace. Altrettanto, purtroppo, non si può dire del nodo gordiano libico, in cui però la Russia ha pesato proprio con la sua assenza, mantenendo tra l’altro incerta anche una sua eventuale adesione a quella Risoluzione delle Nazioni Unite che risulterebbe premessa indispensabile per ogni realistica ipotesi di soluzione. Anche nell’altro teatro di confronto, dai Paesi baltici alla Georgia, sarebbe bene che Mosca e l’Alleanza Atlantica addolcissero i toni e individuassero prospettive di soluzione. Corriamo altrimenti il rischio che una imprevista fiammata in uno dei tanti potenziali focolai di tensione magari alimentata da protagonisti locali particolarmente interessati, possa sfuggirci di mano con effetti devastanti. In ambito economico poi la catena infernale degli embarghi e delle misure restrittive contrapposte ha finito col danneggiare oltremodo entrambi i contendenti. Ennesima dimostrazione di come gli embarghi finiscano quasi sempre col danneggiare chi vi aderisce ancora più di quanto non avvenga con chi vi è soggetto. Intendiamoci bene: chi vi aderisce, non chi decide in merito! Nel caso dell’embargo alla Russia è infatti ben chiaro come i paesi che più hanno da perdere da questo blocco delle frontiere al commercio siano Germania ed Italia, cioè quelli che avevano il maggior interscambio con Mosca. I fili del circuito decisionale rimangono nel frattempo saldamente nelle mani degli Stati Uniti e già all’orizzonte si affaccia la prospettiva di un ennesimo rinnovo delle sanzioni! L’idea Usa, mai chiaramente espressa ma sempre presente in sottofondo, è che il peso delle misure economiche, associato al calo del prezzo del petrolio ed al progressivo assottigliamento delle riserve valutarie possa prima o poi portare la Russia al collasso. Magari propiziando in tal modo la caduta di Putin e l’ascesa di governi forse non più favorevoli all’Occidente ma di sicuro molto più facili da gestire. Si continua così a sottova- lutare, compiendo un errore già rivelatosi negli ultimi anni estremamente pericoloso, l’orgoglio di un grande paese che non vuole abdicare alla speranza di riuscire a rimanere nel ristretto novero delle potenze mondiali. Un ultimo discorso a parte meritano poi i problemi del gas russo, un fattore di carattere innegabilmente economico ma che assurge a livello di interesse strategico quando si considera quanto forte sia la di- pendenza di alcuni paesi dell’Europa dai rifornimenti energetici che Mosca garantisce loro. A chiara dimostrazione della grande importanza che entrambe le parti conferiscono al baratto energia contro valuta pregiata, sta tra l’altro il modo in cui, pur nei momenti di più elevata tensione politica, lo scambio non si è mai interrotto né ha subito indicativi rallentamenti. Peccato soltanto che, forse per ribadire con la sinistra quel principio che nei fatti con la destra rinne- gava, o per crearsi un alibi di fronte alla diffidenza americana, l’Ue abbia poi deciso di rinunciare alla costruzione del gasdotto South Stream, che avrebbe dovuto colle- gare la Russia alla parte meridionale del continente. Una decisione che si è concretizzata in un ulteriore danno per l’Italia, che rimane dipendente dal gasdotto del nord per le sue forniture ed ha visto svanire con- tratti miliardari già assegnati alla SAIPEM. Quando poi pochi giorni dopo Germania e Russia hanno deciso il raddoppio del North Stream senza alcun segno di reazione europea, l’episodio ha assunto la connotazione di una tragica beffa. Che fare dunque a questo punto? Continuare per la medesima strada di crescente tensione con la Russia lasciando che il grande fratello Usa, magari con un Trump alla sua testa, continui a decidere per noi in un’ottica che per quanto sia, terrà sempre in maggior conto la sicurezza e gli interessi americani rispetto a quelli europei? O forse sarebbe meglio tendere una mano a Mosca e verificare se lavorando insieme ed in concordia non fosse per caso possibile mettere ordine non soltanto in casa nostra ma anche nel giardino che ci circonda? Sinceramente forse è ora che noi europei ci decidiamo a crescere!
Un risanamento tra Occidente e Russia è necessario e il suo ritardo provoca pericolosi focolai fuori controllo. L’Ue è chiamata a un protagonismo che non riesce o ha paura di avere.