Mentre India e Pakistan sono invischiate in una guerra mediatica circa gli attacchi mirati sferrati da New Delhi la scorsa settimana – che il Pakistan continua incredibilmente a negare, nonostante le evidenze siano schiaccianti – nel Kashmir indiano gli scontri tra forze di sicurezza e migliaia di indipendentisti continuano a tenere alta la tensione, e la conseguente repressione delle autorità. Che non si limita a coprifuoco, arresti preventivi e sospensione delle telecomunicazioni, ma impone il bavaglio anche alla stampa locale. Colpendo stavolta un piccolo giornale, con un ordine censorio vago e inquietante.
La guerra di nervi che si sta combattendo nella Valle del Kashmir da mesi colpisce nel fuoco incrociato anche la stampa, accusata dalle autorità locali di «istigare l’odio e la violenza» nello stato. Queste le motivazioni contenute nell’ordine di sospensione delle pubblicazioni fatto arrivare alla redazione del Kashmir Reader (di seguito Kr) domenica 2 ottobre.
Nel documento, condiviso dalla redazione del Kr con Scroll.in, si legge: «Sulla base di input credibili è stato osservato che il quotidiano Kashmir Reader, pubblicato nella giurisdizione di Srinagar, contiene materiali e contenuti che tendono a incitare atti di violenza e disturbare la quiete pubblica». Da cui l’ordine di sospendere le pubblicazioni «fino a nuove indicazioni».
I giornalisti del Kr hanno immediatamente manifestato il proprio dissenso organizzando una manifestazione per le strade di Srinagar, la capitale del Jammu e Kashmir, accompagnati da colleghi di altri giornali locali che vedono nell’ordine censorio arrivato al Kr un monito minaccioso esteso al resto della stampa locale.
Le motivazioni, assolutamente vaghe e senza alcun riferimento specifico a interviste, editoriali, vignette o articoli di cronaca, ribadiscono la condotta controversa delle autorità locali rispetto alla libertà di stampa, tra le prime vittime durante i periodi di crisi nelle strade.
Hilal Mir, editor di Kr, in un commento ospitato dal principale quotidiano in inglese del Kashmir, Greater Kashmir, ricorda: «Pochi giorni dopo l’inizio della rivolta [legata alla morte del comandante Burhan Wani, ndr], il governo locale chiese ai giornali di sospendere le pubblicazioni per tre giorni. Il portavoce del governo disse che l’esecutivo “aveva appreso del rischio di problemi nei prossimi tre giorni e la sospensione delle pubblicazioni è stata ritenuta necessaria”».
Quando, nei giorni successivi, la pressione internazionale per la censura indebita degli organi di stampa iniziò a montare, il medesimo governo locale del Jammu e Kashmir negò di aver richiesto la sospensione delle pubblicazioni ed esortò gli editori a riprendere il proprio lavoro.
Questa volta, l’ordine consegnato alla redazione del Kr è arrivato direttamente dalla questura, anticipato da dettagli inquietanti. Nello stesso commento di Mir si legge: «Un giorno prima dell’ordine censorio, uno dei nostri reporter ha chiamato un funzionario di polizia per avere dettagli per un articolo. Il funzionario gli ha detto che sarebbe stato meglio cercarsi un altro lavoro, poiché il Kr sarebbe stato presto chiuso. Il funzionario ha descritto il giornale come “organo di Lashkar-e-Taiba” [sigla terroristica islamica pakistana, ndr]. La conversazione, che il funzionario probabilmente riteneva scherzosa, è terrificante. Se un funzionario di polizia percepisce il giornale come proprietà di una cellula militante, naturalmente diventa legittimo farne un obiettivo di “attacchi mirati”».
Il bavaglio alla stampa locale è evidentemente utile a bloccare la circolazione di notizie riguardanti i dettagli della repressione della polizia nella Valle, numeri utilizzati anche dalle cellule terroristiche – e dalle istituzioni pakistane – per evidenziare la ferocia delle forze di sicurezza di New Delhi nel Kashmir indiano.
In un altro pezzo pubblicato sull’Indian Express, Mir ne elenca alcune, aggiornate ai primi giorni di ottobre: «Oltre 90 persone sono state uccise, più di 10mila ferite, circa 700, in maggioranza, studenti, sono stati parzialmente o completamente ridotti in cecità. Circa 7000 persone sono state arrestate e molte altre sono ricercate ai sensi del Public Safety Act, compreso l’attivista per i diritti umani Khurram Parvez. Le forze di sicurezza, secondo le ricostruzioni, hanno danneggiato centinaia di trasformatori che la gente nei villaggi utilizza per procurarsi elettricità (Indian Express, 12 settembre 2016). Le case sono state razziate e i vecchi malmenati. Può questo cataclisma essere imputabile a un piccolo giornale?».
@majunteo