“Il rublo si riprenderà in un paio d’anni”, ha detto Putin durante la conferenza stampa di fine anno. Ma non è chiaro se fosse una buona notizia. Un biennio è sufficiente a mandare a monte il bilancio statale e a fare danni per i prossimi anni a venire. Inoltre le tesi secondo cui un rublo debole stimolano l’economia russa sono sempre di più. Allora, cos’è meglio?
Nelle scorse settimane girava a Mosca una barzelletta che faceva più o meno così: “Cos’hanno in comune Putin, il rublo e il petrolio? Tutti e tre tra un po’ raggiungeranno i 63”. Ma la previsione è stata superata dalla realtà. Il presidente russo non ha ancora compiuto 63 anni, il prezzo del Brent ha toccato i 59,5 dollari al barile e il rublo è sprofondato fino a 68 per un dollaro. Le previsioni catastrofiche sul futuro della Russia – non solo da un punto di vista economico ma anche sociale e politico – si sono moltiplicate sui media occidentali, mentre in patria le tesi dominanti sono state sostanzialmente due: il Paese sta subendo un attacco occidentale guidato dagli Usa e, tutto sommato, lo shock sta facendo da stimolo per il sistema economico che aveva bisogno di un drastico ammodernamento.
Capro espiatorio
La sindrome da accerchiamento ha sempre funzionato con i russi. Perché non dovrebbe farlo anche questa volta? Dire che il crollo del rublo e del prezzo del petrolio sono effetto di manovre straniere per danneggiare il Paese (e umiliare Putin, come ha aggiunto qualcuno) è un ottimo modo per distogliere l’opinione pubblica dalle reali responsabilità della classe al potere. È la teoria del capro espiatorio. E gli Stati uniti sono sempre ottimi per lo scopo.
Ma ci sono un paio di considerazioni da fare, anche senza essere economisti. Il valore di una moneta, espresso dal cambio, è il riflesso della solidità dell’economia che la sostiene, così come percepita dagli operatori economici. Un rublo in caduta equivale a dire che la fiducia nella solidità dell’economia russa in caduta. È più un effetto, insomma, che una causa.
Che il rublo sia sotto attacco è possibile ma poco credibile. C’è un dato che può farci riflettere. La valuta ucraina sta subendo la stessa sorte di quella russa. La gryvnia – che ha perso circa il 50% del suo valore nell’ultimo anno – segue col suo andamento il rublo. È anche ovvio, dati i legami tra le due economie. Ma nessuno, né in Ucraina né in Russia, si sogna di dire che è tutto orchestrato dall’Occidente.
Oro nero
La seconda tesi, che cioè la svalutazione del rublo sia uno stimolo per l’economia russa, fa ancora più fatica a stare in piedi. L’ho sentita già dire a riguardo delle sanzioni, che favoriscono la produzione nazionale, ed è un po’ quello che è successo anche con il South Stream, per dirne una. L’Unione europea ha messo i bastoni fra le ruote del progetto, rendendolo irrealizzabile, e Putin l’ha trasformata in una mossa strategica russa.
Verrebbe da chiedersi però come mai, se il rublo debole è una cosa buona, la banca centrale russa ha alzato i tassi al 17% per frenarne la caduta.
E poi c’è l’aspetto petrolio. Al di là del fatto che un prezzo basso fa saltare i conti dello stato, rende anche poco profittevoli i progetti di estrazione nell’artico. La Russia ha negli ultimi anni avviato un massiccio programma di prospezioni al polo per lo sfruttamento dei giacimenti sottomarini. Ma è un petrolio molto costoso da estrarre, per via delle condizioni estreme. Se ha senso farlo per poi rivenderlo a 100 dollari al barile, probabilmente non ne ha col prezzo a 60 dollari. Che ne sarà allora degli immensi investimenti di Gazprom nell’artico e delle ricchezze intraviste?
@daniloeliatweet
“Il rublo si riprenderà in un paio d’anni”, ha detto Putin durante la conferenza stampa di fine anno. Ma non è chiaro se fosse una buona notizia. Un biennio è sufficiente a mandare a monte il bilancio statale e a fare danni per i prossimi anni a venire. Inoltre le tesi secondo cui un rublo debole stimolano l’economia russa sono sempre di più. Allora, cos’è meglio?