La nuova strategia russa per la sicurezza nazionale, pubblicata il primo gennaio 2016, inserisce l’espansionismo della Nato in Est Europa e il sostegno occidentale alle “rivoluzioni colorate” (dei colpi di stato illegittimi, secondo Mosca) tra i principali pericoli che minacciano la Russia. Secondo gli esperti non è uno sviluppo recente – anche se potenzialmente pericoloso – che l’intellighenzia del Cremlino consideri la Nato come una rivale, e non più come un possibile partner.
Il meeting di Pratica di Mare, del 2002, quando per la prima volta le porte della Nato si aprirono all’ex nemico sovietico per discutere di una maggiore cooperazione, è un ricordo sbiadito. I rapporti tra l’Occidente e la Russia sono in deterioramento da quasi un decennio. Da quando, nel 2008, Mosca dimostrò di essere pronta a fare una guerra in Georgia pur di difendere la propria sfera di influenza strategica dalla costante erosione che aveva subito negli ultimi anni, fino ad arrivare all’annessione della Crimea nel 2014 con le seguenti sanzioni occidentali all’economia russa.
L’espansionismo della Nato in Est Europa comincia poco dopo la caduta dell’Unione Sovietica e porta nella sfera di influenza occidentale Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca nel 1999; Romania, Bulgaria, Slovacchia, Repubbliche Baltiche e Slovenia nel 2004; Albania e Croazia nel 2009, ed è attesa nel 2016 l’adesione all’Organizzazione del Montenegro. Tale costante erosione viene subita o tollerata da Putin durante i suoi primi anni di presidenza (cominciata nel 2000), quando le frizioni con Washington – sulla guerra in Iraq e soprattutto sullo “scudo anti-missile” che George W. Bush voleva dispiegare in Est Europa -, già cominciavano a incrinare il clima di cooperazione con l’Occidente instaurato dai suoi predecessori, Gorbachev e Eltsin. A partire dagli ultimi anni del secondo mandato di Putin (2007-08) in poi, l’atteggiamento della leadership russa diviene marcatamente più aggressivo. Potendo, forse per la prima volta dal 1989, porre un freno all’erosione della potenza russa, Putin dimostra (in Georgia prima, e in particolar modo in Ucraina poi) di essere disposto a prendere dei rischi – e a imporre alla sua popolazione sacrifici economici e non solo – pur di ottenere un tale risultato.
“Storicamente la Russia ha bisogno del nemico esterno, della sindrome da accerchiamento per poter consolidare la propria leadership interna. Putin non fa eccezione”, spiega Claudio Neri, direttore dell’Istituto italiano di studi strategici. “Così si spiega in parte il testo della nuova Strategia per la sicurezza nazionale. Ma non solo. Da un punto di vista strategico la Russia ha come obiettivo – esplicitato nella Strategia – di confermare il proprio status di potenza globale. Si tratta quindi di rallentare il declino che, complici un’economia fondata su materie prime (gas e petrolio soprattutto) il cui prezzo è in picchiata sui mercati e un andamento demografico calante, per ora sembra inevitabile. Per farlo Mosca deve assolutamente difendere le posizioni geo-strategiche che ancora tiene, e così si spiegano gli interventi in Ucraina prima (dove l’influenza russa è in calo) e in Siria poi (dove al contrario, complice la quasi-assenza degli Usa, Mosca ha aumentato il peso della propria presenza). I due scenari non sono tuttavia equivalenti: l’Ucraina è molto più importante per il Cremlino, e credo che nelle trattative sul futuro della Siria Putin cercherà di avere delle contropartite dall’Occidente su questo scenario piuttosto che non in Medio Oriente”.
Per evitare che Kiev finisca definitivamente nell’orbita occidentale – i Paesi dell’Est, nuovi membri Nato, sono molto attivi su questo fronte -, Mosca sarebbe dunque disposta a concedere qualcosa sulla Siria. E se anche questo scambio (già stigmatizzato dagli Stati Uniti) non dovesse avvenire, il Cremlino spera di assistere a un collasso “spontaneo” dell’Ucraina, tale da farla rientrare nei giochi. L’economia ucraina è infatti in grave crisi, e solo un’inedita decisione del Fondo Monetario Internazionale di non dichiarare il default dell’Ucraina a fronte del non pagamento di un prestito di tre miliardi della Russia ha finora evitato lo sfascio. Anche la leadership politica di Kiev è in difficoltà, con sondaggi che le danno un consenso ai minimi storici. L’Unione europea poi – ad eccezione dei Paesi dell’Est, come Polonia e Repubbliche Baltiche – non sembra pronta a farsi carico di uno Stato povero e quasi-fallito solo per danneggiare gli interessi russi. Considerato l’accento posto dalla nuova Strategia russa su questo dossier, è probabile che alla prima opportunità il Cremlino provi a riguadagnare posizioni anche nella partita ucraina.
“Putin è un bravo tattico, se vede una possibilità di solito è abile nel coglierla”, prosegue Claudio Neri. “L’aumento della tensione nell’Est Europa è comunque molto pericoloso. Se le manovre della Nato dovessero spingere il “cerchio magico” che sostiene Putin – nessun autocrate o dittatore governa mai da solo – a chiedere una dura risposta, rischieremmo di assistere a manovre destabilizzanti che fanno perno sulle minoranze russofone nei Paesi dove queste sono abbastanza cospicue, come ad esempio nei Paesi Baltici (un modus operandi questo già visto in Georgia e in Ucraina ndr.). Questo è uno scenario su cui da un po’ di tempo il Pentagono sta compiendo studi e simulazioni. Se una delle Repubbliche Baltiche dovesse essere destabilizzata e magari attaccata da Mosca, considerato che si tratta di membri Nato, l’Occidente si troverebbe di fronte alla scelta se scatenare una guerra contro la Russia o se accettare la morte di fatto della Nato. Questa ipotesi fa ancora più paura – conclude Neri – se si considera che con la fine della guerra fredda è andata perdendosi la consuetudine e la preparazione militare – tra Mosca e Washington – alla de-escalation, che eviti il precipitare della situazione verso scenari da terza guerra mondiale”.
La maggior parte degli analisti ritiene comunque minoritaria l’ipotesi che la Russia possa attaccare un Paese membro della Nato. Spesso questo spauracchio è anzi stato usato dai governi dei Paesi dell’Est per chiedere una maggior presenza militare occidentale sul proprio territorio, e anche per fini di politica interna (la paura del nemico alle porte è carburante per la retorica dei partiti nazionalisti, quale che sia il loro Paese). Tuttavia l’attenzione resta molto alta. La Nato si trova nella difficile posizione di continuare da un lato la sua politica di espansione (ora sono i Balcani al centro del contendere con Mosca), di prevenire provocazioni da parte della Russia (in questo senso si spiega anche la ultima grande esercitazione del 2015), e di evitare che siano le sue di mosse a scatenare reazioni esasperate. Specularmente la Russia deve contrastare l’espansione Nato – pare che sia già molto attiva in Serbia e nella Republika Srpska di Bosnia -, prevenire le “rivoluzioni colorate” nei pochi Stati-satellite che le rimangono, ed evitare di dare pretesti all’Occidente per ledere gli interessi russi (come successo con le sanzioni dopo l’annessione della Crimea). Un tavolo affollato di tessere dove l’effetto domino è un pericolo sempre presente.
@TommasoCanetta
Il meeting di Pratica di Mare, del 2002, quando per la prima volta le porte della Nato si aprirono all’ex nemico sovietico per discutere di una maggiore cooperazione, è un ricordo sbiadito. I rapporti tra l’Occidente e la Russia sono in deterioramento da quasi un decennio. Da quando, nel 2008, Mosca dimostrò di essere pronta a fare una guerra in Georgia pur di difendere la propria sfera di influenza strategica dalla costante erosione che aveva subito negli ultimi anni, fino ad arrivare all’annessione della Crimea nel 2014 con le seguenti sanzioni occidentali all’economia russa.