Gli abitanti di una località della costa nordorientale del Giappone colpita sei anni fa da terremoto e tsunami hanno deciso di aprire le porte agli stranieri per promuovere turismo e ricostruzione. Il paradosso è che chi è stato costretto ad evacuare dalle zone circostanti la centrale danneggiata di Fukushima Daiichi viene spesso discriminato dagli stessi giapponesi.
Sei anni fa, l’11 marzo 2011, Rikuzentakata, nella provincia nordorientale di Iwate, veniva spazzata via da uno tsunami alto fino a 17 metri. Lo stesso succedeva in altre zone della costa orientale del Giappone: Kesennuma, Sendai, Ishinomaki e più a sud, a Soma e Minamisoma.
Rikuzentakata è diventata negli ultimi anni celebre per il vecchio pino che ha resistito all’onda anomala, unico tra migliaia di altri alberi e non a caso chiamato l’albero miracoloso. Oggi è stato trattato chimicamente e trasformato in un memoriale e monumento alla ricostruzione. A pochi passi, lungo la linea di costa, oggi sorge un massiccio muro antitsunami di cemento.
Ricostruzione all’insegna dell’ospitalità
Al ricordo e alla tutela si unisce oggi il tentativo di trovare una via economica allo sviluppo delle aree colpite sei anni fa da terremoto e tsunami. A Rikuzentakata, ad esempio, l’amministrazione locale ha deciso di puntare sull’ospitalità a studenti stranieri nel paese per studiare lingua giapponese. Per loro si tratta di un’occasione unica, scrive l’agenzia di stampa Kyodo, per vedere da vicino e partecipare alla vita quotidiana delle famiglie di pescatori e agricoltori locali duramente colpiti dal triplo disastro — considerando anche l’incidente nucleare di Fukushima — del 2011.
Aya Yosokawa, coordinatrice del programma presso l’ufficio del turismo locale, ha spiegato ai giornalisti di aver deciso di organizzare il programma di ospitalità per ringraziare le migliaia di persone che all’indomani del disastro naturale di sei anni fa hanno aiutato le comunità colpite. Gli ultimi ad arrivere sono stati 25 studenti nepalesi e vietnamiti. La loro presenza, si augura Yosokawa, aiuterà Rikuzentakata a tornare più vitale. Nello tsunami di 6 anni fa, la città ha perso il 7 per cento dei suoi abitanti (circa 1800 persone) e 4mila case.
Nel 2016 sono arrivati qui oltre 650 studenti. L’associazione che organizza i viaggi studio punta a raggiungere quota 2200 entro la fine di quest’anno. Intanto l’amministrazione della città ha avviato un sistema di licenze per guide turistiche che possano accompagnare i visitatori e aiutare i ristoranti e gli hotel locali con la traduzione di menù e cartelli.
Agli abitanti locali il progetto piace: «È bello fare amicizia con persone da fuori. È qualcosa di cui non avevo idea prima del terremoto», ha spiegato ancora a Kyodo un’abitante. «Poi sono arrivati molti volontari da ogni parte e ho iniziato a interagire con loro».
Turismo in controtendenza
Se il resto del paese ha assistito a un boom di presenze turistiche (aumentate a 2,5 volte rispetto al 2011), nelle zone colpite da terremoto e tsunami i turisti sono tornati solo ora ai livelli pre-marzo 2011.
A scoraggiare il turismo verso il nordest del paese è soprattutto la situazione a Fukushima dove continuano senza sosta i lavori di bonifica. Negli ultimi mesi sono falliti gli ultimi tentativi di identificare la posizione del combustibile nucleare sciolto ancora presente in due dei quattro reattori danneggiati dal sisma e tsunami di sei anni fa. Le previsioni più ottimiste del governo di ripresa economica delle zone intorno all’impianto entro il 2020 si scontrano oggi con la dura realtà dei fatti. Secondo un’indagine del quotidiano Mainichi Shimbun, quasi la metà degli amministratori locali oggi dubita che l’obiettivo possa essere raggiunto entro i prossimi tre anni, quando, tra l’altro, in questa zona del paese arriveranno alcune rappresentative di atleti per le Olimpiadi di Tokyo.
Molto però giocano anche i pregiudizi e la malainformazione. Così la pensano ad esempio alcuni studenti di un liceo della città di Futaba, una delle località etichettate dalle autorità come «di difficile ritorno» per gli evacuati a causa dei livelli ancora alti di radioattività. Al settimanale AERA hanno confessato la loro frustrazione nel vedere il volume di informazioni false diffuse oggi su Fukushima. La disinformazione sarebbe alla base degli episodi di discriminazione e del bullismo contro i «rifugiati nucleari» oggi lontani dalle loro città natali. Contro questi problemi, per gli studenti non c’è altra soluzione che informarsi e informare.
«Una volta quando ero nel Kanto [regione dove si trova l’area metropolitana di Tokyo] mi dissero di andarmene perché potevo infettare gli altri con la radioattività», ha spiegato uno studente. «Dobbiamo continuare a ripetere che è sbagliato dire queste cose. In qualsiasi senso andrà il futuro, voglio impegnarmi a diffondere una conoscenza giusta».
@Ondariva