Dopo più di un anno e mezzo dal giuramento di fedeltà al Califfato, la fazione scissionista di al-Shabaab, diventata la costola dello Stato Islamico nel Corno d’Africa, ha compiuto la sua prima azione suicida in Somalia.
L’attacco è avvenuto martedì scorso nella città portuale di Bosaso, nella regione semi-autonoma del Puntland, dove un kamikaze si è fatto esplodere contro un checkpoint provocando la morte di un agente della sicurezza e quattro civili.
Il Site Intelligence Group, società statunitense che monitora le attività online delle organizzazioni jihadiste, ha reso noto che lo Stato islamico ha rivendicato l’attentato suicida in Somalia attraverso l’agenzia di stampa Amaq, organo di propaganda dell’organizzazione terroristica, specificando che nell’operazione è stata utilizzato un giubbotto esplosivo.
Anche se questo è considerato il primo attacco suicida compiuto dai seguaci di Abdulqadir Mumin, va ricordato che, lo scorso 25 aprile, l’ala dello Stato Islamico in Somalia aveva già rivendicato il suo primo attentato nel Paese, messo a segno contro un convoglio delle forze della missione di pace africana (Amisom) nella periferia della capitale Mogadiscio.
L’occupazione di Qandala
La stessa Amisom aveva però smentito la rivendicazione, sostenendo che l’azione era opera degli Shabaab. Tuttavia, non c’è nessun dubbio sul fatto che alla fine dello scorso ottobre, approfittando del ritiro delle forze locali, una sessantina di miliziani somali dello Stato islamico erano riusciti a prendere il controllo di Qandala, cittadina del distretto amministrativo (gobol) di Bari e porto sul Golfo di Aden.
La città è stata comunque completamente riconquistata sei settimane dopo dalla forze governative del Puntland, che hanno così posto fine alla prima rilevante conquista della locale fazione dell’ISIS nella regione semi-autonoma della Somalia.
Le milizie somale del Califfato, lo scorso 16 aprile, hanno tentato di nuovo l’occupazione di un centro abitato della zona. Questa volta era toccato al villaggio di Dasan, nei pressi della città portuale di Qandala, abbandonato dagli estremisti dopo alcune ore senza opporre resistenza.
Il tentato colpo di mano conferma che gli islamisti rimangono sparsi nelle zone intorno a Qandala, mentre dallo scorso febbraio il gruppo sarebbe insediato nella zona dei monti di al-Mishkat, nel Puntland orientale. Qui, la branca somala del Califfato avrebbe reclutato con la forza molti giovanissimi combattenti, orfani e anche alcuni mujaheddin, che hanno lasciato al-Shabaab per unirsi alla cellula terroristica.
Il gruppo affiliato allo Stato Islamico sta inoltre mostrando la volontà di costruire consenso tra la popolazione locale, come prova il significativo aumento del materiale mediatico di propaganda utilizzato in lingua somala.
Abdulqadir Mumin, il leader del gruppo
Molto interessante è il profilo del suo leader Abdulqadir Mumin, nato in Puntland e proveniente dal sottoclan Ali Saleebaan, che fa parte del clan Majeerten appartenente alla cabila nomadico pastorale Darod del gruppo Harti.
In alcune foto, Mumin appare con occhialini rotondi, barba lunga e arancione tinta con l’henné. Il suo è un passato di infuocato predicatore radicale nelle moschee di Londra e Leicester, preceduto da un lungo soggiorno in Svezia.
Nel 2010, l’islamista sunnita ritorna in Somalia e si arruola nei mujaheddin di al-Shabaab. Ma dopo cinque anni sorgono le frizioni con il direttivo del gruppo, legato ad al-Qaeda.
Così, in un video diffuso su Internet, il 23 ottobre 2015, con un gruppo di una ventina di fedelissimi del clan dei Majerteen, Mumin proclama la scissione da al-Shabaab giurando sottomissione al califfo al-Baghdadi e producendo una frattura all’interno del gruppo.
Dopo l’adesione allo Stato Islamico, su Mumin e sui suoi proseliti, pende una taglia emessa dall’intransigente attuale leader di al-Shabaab, Ahmad Umar (conosciuto anche come Abu Ubaidah), rimasto fedele ad al-Qaeda e pronto a eliminare fisicamente tutti coloro che esprimono una posizione contraria.
Il capo di al-Shabaab mette sulle tracce degli scissionisti la Amniyat, una sorta di polizia segreta indipendente dalla shura, creata per imporre la linea ortodossa all’interno del gruppo, che ripudia anche il jihad transnazionale del Califfato.
Mumin e i suoi seguaci, che nel frattempo si erano rifugiati nella zona montuosa di Galgala nel Puntland, riescono però a sfuggire alla cattura e istituiscono il ramo somalo dell’ISIS, che nei mesi successivi allestisce un campo di addestramento e forma le prime unità.
Poi, alla fine dell’agosto scorso, l’ideologo sunnita viene inserito dal Dipartimento di Stato Usa nella lista dei terroristi che costituiscono una seria minaccia terroristica globale. Una designazione che lo ha trasformato nel potenziale bersaglio di un attacco con droni.
Nel frattempo, il suo gruppo ha operato un ulteriore salto di qualità con un attacco suicida, nell’intento di elevare la minaccia in Puntaland e di assumere un ruolo di maggiore rilevanza nel panorama dell’estremismo jihadista regionale, nel quale ha ormai rivelato un potenziale sufficiente per costituire un serio pericolo.
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