Nuovi rapporti dimostrano che la firma dell’accordo di pace del 12 settembre non ha messo fine ai combattimenti. La guerra civile continua. Scontri, violenze e abusi sono perpetrati sia dai ribelli che dalle forze dell’ordine. E le speranze di una pace duratura sono sempre più lontane
Nonostante, la recente firma dell’accordo di pace per porre fine a cinque anni di guerra civile, non cessano gli abusi e le violenze in Sud Sudan. Nel martoriato Paese africano continuano i combattimenti, i rapimenti, l’arruolamento forzato di bambini soldato sotto ai 12 anni e di bambine costrette a diventare schiave sessuali. Una grave serie di violazioni di diritti umani, che dimostra la fragilità dell’accordo sottoscritto lo scorso 12 settembre dal presidente Salva Kiir, e dal suo rivale, l’ex vicepresidente Riek Machar.
La conferma del degenerare delle violenze è arrivata da una serie di rapporti pubblicati negli ultimi giorni. Uno dei quali è stato redatto congiuntamente dalla Unmiss, la missione di pace dell’Onu nel Paese, e dall’Ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, in osservanza alla Risoluzione 2406 approvata all’unanimità lo scorso 15 marzo dal Consiglio di sicurezza.
Nelle 23 pagine del report emergono gravi violazioni commesse nella regione dell’Equatoria occidentale, tra aprile e agosto di quest’anno, quindi anche molti mesi dopo il cessate il fuoco del 5 aprile scorso. In questo periodo, l’esercito governativo e il principale gruppo ribelle agli ordini di Machar, l’Splm-Io, hanno scatenato aspri combattimenti, che hanno colpito con particolare violenza 28 villaggi e un campo profughi negli stati di Tambura e Gbudue.
Nel rapporto si legge che gli scontri hanno causato la fuga di 24mila persone e si sottolinea l’efferatezza delle forze del Splm-Io, che hanno rapito 887civili, tra cui 505 donne e 63 ragazzine di non più di 12 anni, molte delle quali sono state divise tra gli ufficiali, per farne delle schiave sessuali; mentre le altre sono state lasciate alla truppa e hanno subito anche stupri di gruppo.
Il report congiunto attesta inoltre che la maggior parte delle 887 persone rapite sono ancora nelle mani dei miliziani ribelli dell’Splm-Io. Allo stesso tempo, le forze governative hanno lanciato una contro-offensiva per riprendere il controllo delle zone occupate dalle forze fedeli a Machar. Queste operazioni sono state caratterizzate da gravi violazioni dei diritti umani, come la distruzione delle abitazioni dei civili e il conseguente spostamento forzato della popolazione.
L’insicurezza permane in tutto il Paese
Le condizioni di sicurezza in Sud Sudan restano precarie ovunque, anche a causa dell’alta diffusione di armi da fuoco leggere. Lo testimonia un altro report diffuso dall’Unmiss, nel quale viene evidenziato che la regione occidentale dei Grandi laghi è attraversata da violenze e agguati, in un conflitto interno che oppone i diversi gruppi di etnia dinka, per dispute annose legate alla terra, ai diritti di pascolo e alle razzie di bestiame.
Mentre a peggiorare la situazione, c’è anche l’impoverimento generale dovuto alla guerra civile in corso da quasi cinque anni. Come prova l’allarme per la malnutrizione, lanciato alla fine del mese scorso dall’Unicef, secondo cui la fame estrema colpisce quasi il 60% della popolazione, oltre sei milioni di persone.
Un rapporto di Human Rights Watch (Hrw), ha invece indagato sugli abusi e le violenze etniche commesse durante alcune operazioni militari nei pressi della città di Wau, la capitale dello Stato del Bahr al-Ghazal occidentale. Secondo testimonianze attendibili, nonostante il recente accordo di pace, gli scontri iniziati lo scorso 12 giugno sono ancora in corso. In questo caso, i maggiori abusi sono stati perpetrati dalle forze governative.
Nell’ambito di queste operazioni, decine di migliaia di persone sono state costrette a rifugiarsi nella savana o presso i campi per la protezione dei civili allestiti dalla Unmiss.
La regione del Western Bahrel Ghazal, in particolare Wau e le aree sud-orientali, sono instabili dal dicembre 2015, con scontri tra governo e ribelli del movimento di Machar. Inoltre, le violenze hanno esacerbato le divisioni etniche tra i tre principali gruppi della regione: Dinka, Fertit e Luo. Le imboscate da parte delle forze ribelli di Fertit principalmente sulle forze del governo di etnia Dinka hanno spesso portato a ritorsioni contro i civili Fertit o Luo, accusati di appoggiare i rivoltosi.
L’offensiva nella zona di Wad Adel
Il documento descrive anche l’offensiva dell’esercito governativo in aree controllate dall’Spla-Io nella zona di Wad Alel e in altre a sud e sud ovest della città di Wau, dove a causa dei combattimenti non è stato possibile portare soccorso alla popolazione. Testimoni oculari sentiti da Hrw hanno descritto esecuzioni di civili e attacchi a scuole, chiese e strutture sanitarie.
Tuttavia, l’entità delle perdite civili non è chiara, dal momento che gli scontri continuano e il governo non ha fornito un bilancio delle vittime, né ha consentito l’accesso alle aree colpite fino alla fine di agosto.
Un recente rapporto della London School of Hygiene and Tropical Medicine stima che ad aprile 2018, erano almeno 382.900 i civili morti a causa della guerra, iniziata nel dicembre del 2013. Le regioni con il più alto numero di vittime sono Jonglei, Unity e l’Equatoria orientale, centrale e occidentale.
Tutta questa impressionante serie di dati, prova che malgrado il trattato di pace, la guerra civile non si ferma e il Sud Sudan continua ad essere teatro di scontri e di morte. Mentre le speranze di una pace duratura, espresse dopo la firma dell’accordo del 12 settembre, diventano sempre più tenui.
@afrofocus
Nuovi rapporti dimostrano che la firma dell’accordo di pace del 12 settembre non ha messo fine ai combattimenti. La guerra civile continua. Scontri, violenze e abusi sono perpetrati sia dai ribelli che dalle forze dell’ordine. E le speranze di una pace duratura sono sempre più lontane