E come ogni cosa che cessa di essere un tabù, non fa più rumore. Si possono spiegare così alcuni avvenimenti degli scorsi giorni e il silenzio che ne è seguito.
A cominciare dalle parole del capo della Nato, Jens Stoltenberg. Durante la sua visita a Kiev, il 10 luglio, il generale ha detto chiaro e tondo alla Russia di togliere le sue «migliaia di soldati dall’Ucraina e interrompere il supporto di comando e controllo ed equipaggiamento militare ai separatisti».
Ma come? Il capo della Nato dice che la Russia ha «migliaia di soldati in Ucraina» e i media di Mosca non si degnano nemmeno di rispondere? E i governi occidentali non decidono nuove sanzioni? E persino la stampa ucraina non riporta la notizia in prima pagina?
Due giorni dopo, la bozza di legge per la soluzione del conflitto in Donbass viene resa nota. Il documento si apre con l’affermazione che «La Federazione russa sta portando avanti un’aggressione armata contro l’ucraina, occupando temporaneamente parte del suo territorio attraverso le proprie forze armate».
È la prima volta che un documento ufficiale usa parole così chiare per descrivere il coinvolgimento russo nella guerra in Donbass e nell’annessione della Crimea.
Reazioni del Cremlino? Non pervenute. Opinione pubblica internazionale? Calma piatta.
Le parole (non tanto) ambigue di Lavrov
Non è tutto. Perché un paio di settimane prima ci aveva pensato già il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, a mettere nero su bianco il coinvolgimento russo nella guerra in Donbass. Durante una lectio all’istituto Primakov di Mosca, Lavrov si è lamentato del fatto che ha «letto e continuato a sentire critiche sul fatto di essersi coinvolti nel conflitto in Donbass».
A dire il vero, la frase di Lavrov è stata oggetto di un interessante articolo di Michele A. Berdy sul Moscow Times. L’interesse però era tutto concentrato sull’ambiguità del termine usato dal ministro – «vvjasat’sja» – e sull’incertezza di tradurlo come «coinvolgimento militare».
Non c’è dubbio che Lavrov si riferisse proprio all’uso delle forze armate russe nella guerra in Ucraina, dal momento che ha usato lo stesso termine – «vvjasat’sja» – per riferirsi al «coinvolgimento nella guerra in Siria».
Il quadro, con l’ammissione per bocca del ministro degli Esteri russo, è dunque completo.
Assuefazione
La guerra della Russia contro l’Ucraina non è più un tabù; l’uso delle forze armate regolari in Crimea e in Donbass è un fatto acclarato; così come lo è l’utilizzo dell’artiglieria pesante dal territorio russo verso postazioni ucraine. Insomma, l’aggressione russa è un fatto. Quella che per tre anni, dall’inizio del conflitto nel 2014, è stato uno dei principali argomenti di scontro tra le rispettive propagande, un’accusa dimostrata solo ufficiosamente da un’infinità di foto e filmati recuperati dalla rete e sempre respinta con sprezzo dalla Russia, è ora fatto alla luce del sole. Ma tre anni di “nega e afferma”, di disinformazione, fake news, e preconcetti ideologici per cui qualunque cosa può essere al tempo stesso versa e falsa, hanno logorato chiunque. Tanto che ora le parole di Stoltenberg e Lavrov – che tre anni fa avrebbero scatenato il putiferio – oggi non infiammano gli animi degli ucraini né fanno sollevare l’esercito dei troll del Cremlino.
E, nel frattempo, il lavorìo degli antisanzionisti in Europa può andare avanti indisturbato.
@daniloeliatweet
E come ogni cosa che cessa di essere un tabù, non fa più rumore. Si possono spiegare così alcuni avvenimenti degli scorsi giorni e il silenzio che ne è seguito.