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Una cattedrale nel deserto turkmeno: il lago dell’Età dell’Oro


L'Altyn Asyr avrebbe dovuto rappresentare un volano per lo sviluppo del territorio turkmeno, ma di fatto le prospettive di sviluppo appaiono illusioni della classe dirigente vicina alla figura del Presidente Berdimuhamedov

Con la stragrande maggioranze del proprio territorio coperto dalle sabbie del deserto del Karakum, il Turkmenistan, teoricamente, non avrebbe la possibilità di rendersi noto per grandi progetti in tema idrico. L’Amu Darya, il Murghab, l’Hari Rud e l’Atrek rappresentano i principali corsi d’acqua che solcano il Paese, risentendo tuttavia dell’eccessiva pressione antropica e dell’evaporazione, che riducono al minimo la superficie irrigua turkmena. Nonostante tali premesse, però, negli ultimi vent’anni a tenere banco ad Ašgabat è stato uno dei progetti faraonici più dispendiosi d’acqua che uno Stato desertico potesse immaginare di realizzare: un grande bacino nel cuore del deserto, il lago dell’Età dell’Oro.

Migliorare la natura

Il Turkmenistan è uno Stato che non ha mai fatto i conti con il proprio passato sovietico. Questo si traduce nell’applicazione, a distanza di trent’anni, di politiche e dottrine economiche oramai completamente superate e sconfessate dalla storia. Una di queste è la politica messianica di derivazione sovietica, che vede la natura come un elemento da assoggettare completamente ai bisogni dell’uomo. Siffatta dottrina, tradotta in termini ambientali, ha portato a completi disastri in Asia centrale. La messa a coltura di aree steppiche e semi-desertiche ha comportato enormi sprechi idrici e ha sconvolto l’ecosistema regionale, portando al disastro del lago d’Aral e al peggioramento della qualità delle terre arate. La monocoltura del cotone, in questo quadro, è stata una sorta di viatico per un bacino idrografico oramai irrimediabilmente compromesso e ha portato il grande lago centro-asiatico all’evaporazione.

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