L’Ue punta sul riciclo in un’ottica di economia circolare per rendersi sempre più autonoma dalle importazioni di terre rare, soprattutto dalla Cina
Pochi dossier più di quello delle materie prime dimostrano l’attuale rilevanza della geopolitica, soprattutto se intesa come vincolo originario tra territorio e nazioni (o unioni di nazioni). La capacità di estrazione – lavorazione o di raccolta delle materie prime lega profondamente ogni player dell’economia mondiale al proprio territorio o alla propria agilità nel muoversi in altri territori. Com’è noto da tempo, l’esempio delle cosiddette terre rare e dei critical raw materials (CRM) è sempre più emblematico. Nei sogni di autonomia strategica e profondità geopolitica dell’Unione europea, il ruolo di terre rare e materiali critici è oggi diventato tanto simbolico quanto potenzialmente strutturante.
Autonomia strategica significa anche avere accesso sicuro e garantito a materiali decisivi ed essenziali nel campo dell’industria elettronica, aerospaziale, militare, robotica, così come a materiali irrinunciabili nella transizione elettronica dell’automotive e nella transizione energetica verso il fotovoltaico e l’eolico. Dalle batterie agli ioni di litio per le auto elettriche ai magneti per le turbine, i materiali critici saranno sempre più richiesti in Europa, con una crescita della domanda in accelerazione esponenziale.
Il monopolio cinese sulle terre rare
Il problema, fin troppo noto, è che l’ampia maggioranza di terre rare e CRM è però nelle mani del monopolio estrattivo e produttivo della Cina. Data l’incertezza del futuro geopolitico globale, questo scenario espone gli importatori Ue a una profonda volatilità e a una altrettanto profonda ricattabilità. La transizione ecologica su cui l’Ue ha scommesso per mantenere in futuro un ruolo primario nella competizione globale dipende da una nuova geometria produttiva inevitabilmente legata a terre rare e CRM.
Le cosiddette terre rare, di fatto 17 elementi chimici, non sono notoriamente troppo “rare”. Il problema è però la difficoltà dei relativi processi di estrazione e lavorazione. Alla prima fase di estrazione dal sottosuolo di circa 200 minerali che contengono le terre rare in quantità molto limitata, segue una fase ancora più complessa di isolamento ed estrazione delle terre rare dagli stessi minerali. Si tratta di un processo di vera e propria produzione delle terre rare verso la forma infine necessaria all’industria. Procedimento estremamente inquinante, che si svolge con modalità complesse, in cui si ricorre all’uso di acidi e solventi organici. Processo che, appunto, è da tempo nelle mani di Pechino, che si è strategicamente applicata per diventare leader nel settore grazie a una pianificazione pensata e programmata fin dagli anni ‘80.
Il risultato è che oggi la Cina non possiede solo oltre ⅓ delle risorse naturali di terre rare, ma gestisce anche il 90% della loro produzione finale. Anche impianti come la miniera estrattiva di Mountain Pass in California, fiore all’occhiello della nuova volontà d’indipendenza nel settore degli Stati Uniti, continua a spedire in Cina le sue oltre 50mila tonnellate di materiale estratto, perché solo lì è possibile compiere efficacemente la lavorazione finale. Un destino simile potrebbero avere gli impianti estrattivi previsti in territori (semi)europei come la Groenlandia. Tra le sole isole di raffinazione-produzione di terre rare al di fuori della Cina, si possono oggi citare quella malesiana di Kuantan e quella di Silmet in Estonia.
Lo scenario per i CRM è più diversificato, ma non differente: l’Europa dipende da terzi e la Cina ha ugualmente un ruolo dominante. Anche per questo motivo la Critical Raw Materials Alliance, che coordina fin dal 2008 Commissione Ue e gruppi industriali di settore, aggiorna la lista delle materie prime critiche con sempre maggiore attenzione. La lista è negli anni passata da 14 CRM nel 2011 a 20 nel 2014, da 27 nel 2017 a 30 nel 2020. La lista oggi contiene 30 materiali critici, soprattutto metalli. Proprio la recente aggiunta alla lista del già citato litio, così fondamentale per l’automotive in via di elettrificazione, ha reso più chiara anche al largo pubblico l’urgenza del dossier terre rare.
Gli investimenti in ricerca e sviluppo
Come risolvere la dipendenza europea nell’accesso a terre rare e CRM? Per l’Ue non esistono risposte semplici. Da un punto di vista politico, possono essere fatte tre scelte fondamentali, tutte vincolate alla volontà e disponibilità dell’Unione a investire massicciamente anche in ricerca e sviluppo.
La prima soluzione, già in corso, è la diversificazione delle fonti. Vale a dire il tentativo strategico di coltivare e favorire accordi commerciali più o meno al di fuori del monopolio cinese nel settore. Diversificazione delle fonti significa anche, soltanto dove possibile, investire maggiormente e con più razionalità nel mining sul territorio europeo. Quest’ultima opzione, tuttavia, necessita una particolare innovazione capace di rendere molto più sostenibili (socialmente ed ecologicamente) i processi di estrazione-lavorazione.
La seconda soluzione è interamente legata alla ricerca industriale: il possibile ricorso a materiali (o tecnologie) sostitutivi dell’uso o del ruolo industriale di alcune delle terre rare o CRM. In questo senso non potranno mancare molte sorprese in futuro, ma lo scenario resta fisiologicamente molto incerto.
La terza soluzione è invece l’inserimento delle terre rare e dei CRM nell’economia circolare europea. Vale a dire il riciclo di terre rare e materiali critici tramite la lavorazione di rifiuti elettronici/tecnologici. Si tratta di un’operazione molto complessa e oggi molto dispendiosa, tanto che a livello globale il riciclo da rifiuti delle terre rare è complessivamente fermo all’1% della produzione. Per quanto riguarda i CRM, invece, ci sono materiali come il tungsteno, il cobalto e il platino che hanno un alto tasso di riciclo, mentre altri vengono riciclati molto meno oppure sono praticamente impossibili da riciclare. Quello che è certo è che, al di là dei limiti oggettivi, in Europa c’è oggi un patrimonio di rifiuti elettronici/tecnologici che non viene ancora minimamente sfruttato nel suo potenziale.
L’Ue e il riciclo dei materiali critici
L’Unione Europea è attualmente considerata un laboratorio ottimale per provare a spingere il riciclo dei materiali più critici: l’Ue è infatti realtà sovranazionale abbastanza grande per distribuire su tutto il territorio la complessa filiera necessaria a un riciclo diffuso. Un ecosistema di economia circolare che possa partire da numerosi centri per la raccolta e suddivisione dei rifiuti elettronici e tecnologici, passare per uno strato intermedio di impianti di trattamento primario e disassemblaggio dei rifiuti e giungere infine a pochi ma specifici centri specializzati per l’estrazione finale di ridotti ma preziosi quantitativi di terre rare e CRM.
Una simile struttura sarebbe uno scatto a dir poco vincente per il futuro economico del sistema Ue. Restano però tuttora aperti diversi interrogativi. Il primo è fino a che punto potrà funzionare una legislazione che costringa le aziende a impegnarsi per il riciclo di materiali critici e le disincentivi invece dallo smaltimento dei rifiuti in outsourcing (soluzione a oggi largamente più economica). Il secondo è come coinvolgere al meglio le stesse aziende produttrici dei prodotti contenenti terre rare e CRM, visto che queste hanno spesso l’accesso esclusivo ai dati relativi a quantità e tipologia di materiali contenuti nei loro prodotti. Il terzo interrogativo è quale sia davvero la finestra di perdita economica inizialmente sostenibile a creare una struttura di riciclo che diventi poi progressivamente sempre più conveniente e d’avanguardia sul lungo periodo.
Inserire la fragilità dell’approvvigionamento di terre rare e CRM nel piano per l’economia circolare europea potrebbe essere in futuro un pilastro del Green Deal europeo, un passaggio capace di dare davvero uno spessore geopolitico alla realpolitik dell’Ue. Un fallimento negli attuali tentativi di rendere meno problematico l’accesso a materiali critici, invece, confermerebbe proprio i limiti geopolitici dell’Unione europea di fronte alla frammentazione conflittuale del nuovo mondo multipolare.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di luglio/agosto di eastwest.
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Autonomia strategica significa anche avere accesso sicuro e garantito a materiali decisivi ed essenziali nel campo dell’industria elettronica, aerospaziale, militare, robotica, così come a materiali irrinunciabili nella transizione elettronica dell’automotive e nella transizione energetica verso il fotovoltaico e l’eolico. Dalle batterie agli ioni di litio per le auto elettriche ai magneti per le turbine, i materiali critici saranno sempre più richiesti in Europa, con una crescita della domanda in accelerazione esponenziale.