Non pochi Paesi africani, da decenni ignorano il rispetto della regola democratica dell’alternanza al potere. Per porre fine, a quello che, giusto un anno fa, sulle pagine di Jeune Afrique il giornalista franco-tunisino Béchir Ben Yahmed definiva un “male africano”, numerose associazioni africane ed europee della società civile hanno lanciato la campagna “Voltiamo pagina, per l’alternanza democratica in Africa”.
Nel sito in lingua francese dedicato al sostegno della petizione è spiegato come cittadini dell’Africa e dell’Europa e di altri continenti, intellettuali, artisti, militanti, giornalisti, responsabili religiosi, associazioni e sindacati abbiano unito le loro forze per voltare la pagina dei regimi autoritari e costruire le condizioni di una vera democrazia in Africa.
Nel manifesto della campagna si ricordano le numerose violazioni della costituzione compiute in diversi Paesi africani, al fine di permettere la presidenza a vita, il passaggio del potere di padre in figlio oppure il conferimento di un terzo mandato, modificando la norma costituzionale che prevede solo due mandati consecutivi.
Tale consuetudine vanta, in effetti, molti precedenti in Africa. Tra i più noti, quello del defunto presidente del Gabon, El Hadj Omar Bongo Ondimba, salito al potere nel 1967, rimase alla guida del Paese africano fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 2009.
In 41 anni di governo, Papa Obo, come era soprannominato Bongo, ha visto passare davanti a sé sette presidenti francesi e generazioni di leader africani sanguinari e corrotti come Joseph Mobutu, Idi Amin Dada e Jean-Bédel Bokassa.
Ha tratto profitto dagli anni d’oro delle materie prime vendute all’Occidente a caro prezzo ed ha assistito al crollo del blocco sovietico sul finire degli anni Ottanta, cui ha fatto seguito l’avvento delle finte democrazie e la fine della guerra fredda che ha segnato una svolta decisiva per il continente africano.
Un altro tra i più duraturi presidenti della storia dell’Africa è stato il togolese Eyadéma. La biografia ufficiale lo descrive come “uomo di pace e di dialogo, che grazie alla sua pazienza, alla sua conoscenza degli uomini e alla sua straordinaria esperienza ha saputo evitare la guerra civile nel Paese, riportare la pace e la concordia e consolidare l’unità nazionale”.
La realtà è ben diversa: il sergente Etienne Gnassingbé Eyadéma, arrivò al potere nel 1967 con un colpo di stato per instaurare un regime altamente repressivo nel piccolo Paese africano, che resistette fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 2005.
Per avere un quadro più completo della situazione è importante sapere che nell’Africa a Sud del Sahara, ben dodici Stati, inclusa l’Eritrea che non ha mai organizzato elezioni presidenziali, hanno modificato la Costituzione cancellando il limite dei mandati presidenziali.
Cionondimeno, dei diciannove presidenti saliti al potere nel secolo scorso e ancora oggi in carica, quattordici sono africani. Lo stesso vale per otto dei dieci capi di Stato che governano da più di due decenni e per gli unici quattro presidenti al mondo che sono al potere da oltre trent’anni.
Tra i quali figurano: l’ottimo giocatore di tennis Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, dal 1979 a capo dell’oligarchia che detiene il potere nella Guinea Equatoriale; il presidente del Camerun, Paul Biya, in carica dal novembre 1982, che per poter esercitare un nuovo mandato, tre anni fa ha fatto modificare la Costituzione; l’angolano Josè Eduardo Dos Santos, salito al potere nel settembre 1979, quattro anni fa ha varato una nuova Costituzione, grazie alla quale, nell’agosto 2012, è stato rieletto presidente per un nuovo mandato di cinque anni.
Infine, l’ultimo dei quattro Higlander è il novantenne Robert Gabriel Mugabe, che da 34 anni regge col pugno di ferro le sorti dello Zimbabwe: sei mandati presidenziali segnati dalla peggior epidemia di colera che abbia colpito l’Africa, da massici sgomberi forzati e da un’iperinflazione mensile al 231.000.000%, raggiunta nell’ottobre 2008.
Senza dimenticare, che un certo numero di presidenti uscenti, come il burundese Pierre Nkurunziza, il burkinabé Blaise Compaoré, il beninese Boni Yayi e i congolesi Denis Sassou Nguesso e Joseph Kabila, hanno tentato, finora senza successo, di modificare la Costituzione dei loro Paesi per ripresentarsi alle prossime elezioni presidenziali.
Per di più, nei rari casi in cui i dittatori africani si sono convertiti alla democrazia, la raison d’Etat è continuata a essere il trasferimento di risorse all’estero e non il benessere della popolazione.
Non pochi Paesi africani, da decenni ignorano il rispetto della regola democratica dell’alternanza al potere. Per porre fine, a quello che, giusto un anno fa, sulle pagine di Jeune Afrique il giornalista franco-tunisino Béchir Ben Yahmed definiva un “male africano”, numerose associazioni africane ed europee della società civile hanno lanciato la campagna “Voltiamo pagina, per l’alternanza democratica in Africa”.