Dopo appena cinque mesi dall’inizio delle ostilità sono 13 milioni (su 24 milioni totali) gli yemeniti duramente colpiti dalle conseguenze della guerra civile, di cui 6 milioni in situazione di estrema difficoltà (1 milione i bambini malati e malnutriti): queste le cifre fornite dalla direttrice del Programma alimentare mondiale – un’agenzia dell’Onu – Ertharin Cousin. «Siamo al limite di un dramma umanitario – dichiara la Cousin – speriamo vivamente che le parti coinvolte nel conflitto capiscano che la gente non può attendere una soluzione politica».
E il punto è esattamente questo: una soluzione politica non è nemmeno all’orizzonte. Lo scontro tra i ribelli sciiti Houthi (supportati dall’Iran) e i sunniti, fedeli all’ex governo di Abd-Rabbu Mansour Hadi e che godono del sostanzioso aiuto dell’Arabia Saudita, non pare destinato a risolversi nel breve periodo. Questa ennesima proxy war tra Teheran e Riad sembra destinata a durare (come probabilmente anche tutte le altre) finché non emergerà un vincitore da questo scontro, e gli equilibri del Medio Oriente non verranno un’altra volta ancora decisi a tavolino, dividendo le sfere di influenza.
La ribellione degli Houthi, minoranza sciita che conta circa un terzo della popolazione, va avanti da circa un decennio. Nel corso delle Primavere Arabe, nel 2011, avevano ottenuto che fosse cacciato il presidente Saleh, sciita anch’esso ma considerato un fantoccio di Riad, e la seguente fase di transizione era stata portata avanti sotto la guida dell’Onu. Il governo di unità nazionale, nato nel 2012 e presieduto da Hadi, aveva promesso di riconoscere agli Houthi un’ampia autonomia e nei mesi successivi era stato siglato un accordo di pace tra le fazioni. La sua mancata implementazione, almeno secondo le accuse mosse dal fronte sciita, aveva portato gli Houthi a occupare la capitale Sanaa nel settembre del 2014, a mettere Hadi agli arresti domiciliari e a prendere il controllo della tv di Stato nel gennaio 2015 e infine a scatenare la guerra civile nei mesi successivi, avanzando sempre più verso Aden, la strategica città di porto nel sud del Paese dove Hadi era riparato e da cui fugge, appena prima che cada nelle mani degli Houthi, per trovare asilo a Riad. Attualmente il Paese è diviso in due aree: quella a nord-ovest in mano agli insorti, e quella centro/sud-est in mano ai lealisti (nelle vaste aree desertiche del centro del Paese è poi fortemente presente Al Qaeda).
Di fronte all’avanzata degli Houthi, l’Arabia Saudita – alla guida di una coalizione di nove stati arabi – da marzo ha cominciato una campagna di bombardamenti di crescente violenza contro gli obiettivi Houthi in Yemen. Lo Yemen è infatti considerato da Riad il “giardino di casa”, occupando tutto il sud ovest della penisola arabica, e ha una fondamentale valenza strategica per il controllo del traffico marittimo da e per il Mar Rosso. Il rischio che possa cadere nelle mani degli sciiti, specialmente nel momento storico in cui all’Iran – grazie all’accordo sul nucleare – viene data legittimità internazionale e accesso alle risorse economiche fino ad ora bloccate dalle sanzioni, per i Saud è inaccettabile. Di qui un’inevitabile escalation. Grazie ai bombardamenti sauditi Aden, prima caduta nelle mani dei ribelli, è stata riconquistata dalle truppe lealiste e Hadi starebbe programmando per settembre un suo ritorno in città dopo l’esilio saudita. Attentati di diversa matrice si susseguono in tutto il Paese – non solo Houthi e lealisti, ma anche la branca locale di Al Qaeda e da marzo pure lo Stato Islamico si muovono nel caos della guerra civile – e Riad, secondo quanto affermato da fonti militari saudite, starebbe progettando di portare i propri attacchi anche nel nord del Paese, nel cuore della resistenza sciita.
A livello geopolitico sullo Yemen si scaricano le contraddizioni della politica mediorientale occidentale. Gli Stati Uniti sostengono l’Arabia Saudita nella sua campagna di bombardamenti contro i ribelli – che è il principale motivo dell’emergenza umanitaria in corso – in parte per una politica di “balance of power” rispetto all’accordo sul nucleare raggiunto con l’Iran, che ha preoccupato moltissimo l’alleato saudita (e non solo), in parte perché l’industria militare americana sta traendo enormi profitti dalla corsa agli armamenti che Riad (e non solo) sta portando avanti in risposta al rafforzamento di Teheran. Stesso discorso per la Francia: il settore dell’industria bellica francese sta facendo affari miliardari con la casa reale saudita grazie alla faida in corso tra sunniti e sciiti (link 9). Tuttavia entrambi questi Paesi fanno parte del 5+1 (gli Stati membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu, più la Germania) che ha negoziato l’accordo sul nucleare con l’Iran, che sblocca risorse per Teheran quantificate in oltre 100 miliardi di dollari. Miliardi che, secondo gli analisti, è probabile vadano a finanziare la guerriglia sciita in tutti gli scenari di crisi in Medio Oriente: dalla Siria all’Iraq, dal Libano a, ovviamente, lo Yemen. Teheran infatti, se non può sperare di sottrarre la pedina yemenita al rivale saudita, può almeno cercare di distogliere ingenti risorse di Riad da altri scenari strategicamente più importanti per l’Iran (in particolare Siria e Iraq) per costringerla ad impiegarle in Yemen. In un modo o nell’altro l’Occidente sta quindi, di fatto, sostenendo entrambe le parti in conflitto, traendone anche un notevole beneficio economico.
In questa situazione di caos, si diceva, si muovono però anche altre attori oltre alle due fazioni principali in lotta: Al Qaeda nella Penisola Arabica (Aqap), la più pericolosa delle sigle qaedista ancora in azione (quella che ha rivendicato l’attentato a Charlie Hebdo, per esempio) e che qui controlla vaste zone di territorio, e da poco anche lo Stato Islamico. Il timore degli esperti è che possano approfittare della situazione di violenza endemica per trovare nuove reclute, nuove armi e, soprattutto, nuovi finanziamenti. Storicamente l’Arabia Saudita ha infatti dimostrato di non andare troppo per il sottile quando si tratta di finanziare gruppi armati sunniti in ottica anti sciita. Se i petroldollari di Riad finissero nelle tasche sbagliate, all’emergenza umanitaria che si scarica sulla popolazione civile yemenita, potrebbe aggiungersi presto un’emergenza terrorismo preoccupante anche per la popolazione civile occidentale.
Dopo appena cinque mesi dall’inizio delle ostilità sono 13 milioni (su 24 milioni totali) gli yemeniti duramente colpiti dalle conseguenze della guerra civile, di cui 6 milioni in situazione di estrema difficoltà (1 milione i bambini malati e malnutriti): queste le cifre fornite dalla direttrice del Programma alimentare mondiale – un’agenzia dell’Onu – Ertharin Cousin. «Siamo al limite di un dramma umanitario – dichiara la Cousin – speriamo vivamente che le parti coinvolte nel conflitto capiscano che la gente non può attendere una soluzione politica».
E il punto è esattamente questo: una soluzione politica non è nemmeno all’orizzonte. Lo scontro tra i ribelli sciiti Houthi (supportati dall’Iran) e i sunniti, fedeli all’ex governo di Abd-Rabbu Mansour Hadi e che godono del sostanzioso aiuto dell’Arabia Saudita, non pare destinato a risolversi nel breve periodo. Questa ennesima proxy war tra Teheran e Riad sembra destinata a durare (come probabilmente anche tutte le altre) finché non emergerà un vincitore da questo scontro, e gli equilibri del Medio Oriente non verranno un’altra volta ancora decisi a tavolino, dividendo le sfere di influenza.