La cultura politica dei 5 Stelle, da forza antisistema a partito di Governo, è ancora confusa. Quale modello proporranno alle prossime elezioni?
La mutazione genetica che ha fatto sì che il Movimento 5 Stelle passasse da elemento antisistema e potenzialmente dirompente (come avevano scommesso alcune potenze come Russia e Cina) a “forza moderata, liberale, attenta alle imprese, ai diritti, e che incentra la sua missione sull’ecologia” (per usare le parole di Luigi Di Maio) ha avuto nell’estate del 2019 il suo punto di svolta.
Il passaggio dal Governo Conte I al Governo Conte II con il Movimento 5 Stelle perno dei due esecutivi — prima con la Lega poi con il Partito democratico e Liberi e uguali — ha rappresentato, infatti, un punto di svolta nell’approccio della forza fondata nel 2009 da Beppe Grillo alla cosa pubblica.
A incidere sono stati due elementi su tutti. Il primo è l’esperienza maturata nelle istituzioni. Il caso emblematico è quello di Di Maio, che da più giovane vicepresidente della Camera dei deputati ha sviluppato quella fitta rete di contatti rivelatasi fondamentale una volta che il Movimento 5 stelle è stato chiamato alla prova del Governo. Basti pensare ai cambi di rotta effettuati dall’attuale ministro degli Esteri, una volta preso contatto con la Farnesina e la sua struttura, su pilastri della nostra diplomazia come l’approccio verso l’Unione europea (addio gilet gialli, per fare un esempio) e l’atlantismo (Via della Seta, dove?)
Il secondo è il cambiamento di alleanza: dal Governo gialloverde sovranista si è passati a quello giallorosso europeista. La benedizione dell’allora presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, al presidente del Consiglio Giuseppe Conte con il famoso tweet “Giuseppi” è stata soltanto il coronamento di un percorso già certificato con i sostegni all’ex presidente del Consiglio giunti dai vertici europei, dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen al Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel al Presidente francese Emmanuel Macron durante il G7 di Biarritz (2019).
Ma la scelta di campo era stata fatta poco più di un mese prima, quando il Movimento 5 Stelle, uscito con le ossa rotte dalle elezioni europee (con percentuali dimezzate rispetto alle politiche dell’anno precedente), al Parlamento europeo aveva deciso di votare per Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea assieme ai partiti conservatori e progressisti, e anche a un pezzo degli euroscettici più moderati. È stato poi l’assist della Lega, con il leaderMatteo Salvini deciso ad aprire una crisi di Governo estiva probabilmente comprendendo troppo tardi il contesto geopolitico all’interno del quale essa si sarebbe inserita, a permettere al Movimento 5 Stelle il completamento di una svolta europeista diventata poi atlantista e (forse) liberale. Il tutto sotto l’occhio vigile del Quirinale, il cui rapporto con gli Stati Uniti è saldissimo per tradizione e il cui segretario generale è quell’Ugo Zampetti conosciuto da Di Maio negli anni di Montecitorio.
A proposito di equilibri geopolitici come contesto della svolta pentastellata torna di grande utilità un’analisi di Dario Cristiani pubblicata prima della nascita del Governo Draghi per l’Istituto affari internazionali e il German Marshall Fund. Il titolo, tradotto in italiano, suona così: “Italia, atlantismo e amministrazione Biden: maggiore convergenza per disinnescare l’ambiguità sulla Cina”. Dopo lo “shock” della firma sul memorandum d’intesa sulla Via della Seta nel marzo 2019, nota l’esperto, “il modo in cui Roma gestirà i suoi rapporti con Pechino rimarrà centrale nella percezione degli Stati Uniti, anche sotto un’amministrazione democratica”. Inizialmente il Partito democratico “sarà ancora più centrale di quanto non sia stato finora nel definire i rapporti con gli Stati Uniti, non solo per le opinioni comuni e una cultura politica condivisa, ma anche per l’intensità dei rapporti personali tra di esso e i democratici americani”, nota l’esperto facendo esplicito riferimento al ministro della Difesa Lorenzo Guerini e a quello degli Affari europei Enzo Amendola (oggi sottosegretario a Palazzo Chigi), i membri del Governo Conte II che più si sono spesi, per esempio, nella protezione delle infrastrutture 5G italiane dalle minacce cinesi.
Allo stesso tempo, continua Cristiani, rimane “anche se attenuato, l’ethos anti-establishment del Movimento 5 Stelle”, visto a Washington “come antitetico all’approccio più tradizionalista alla politica estera che probabilmente adotterà l’amministrazione” Biden. “La percezione negli Stati Uniti” è che il ministro degli Esteri Di Maio e l’allora presidente Conte “non siano effettivamente rappresentativi del Movimento”. Piuttosto, “il loro crescente atteggiamento atlantista è visto più come il risultato di scelte personali che come il risultato di uno spostamento strutturato del Movimento 5 Stelle”. Ecco perché “questa convergenza ha dissipato i timori di ambiguità a breve termine, ma non le preoccupazioni per le posizioni più ampie del Movimento 5 Stelle riguardo alla Cina e ad altri dossier”, concludeva l’esperto.
E quanto scrive Cristiani è un ulteriore indizio di come il Movimento 5 Stelle sia passato dall’essere la forza dell’“uno vale uno” all’essere un partito ricco di correnti (per lo più personalistiche) come dimostrato dal dibattito emerso al suo interno dopo la nascita dell’esecutivo guidato dall’ex governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi. Cioè uno di quei “tecnocrati” storicamente osteggiati dal Movimento e di cui un esponente pentastellato come Carlo Sibilia, oggi sottosegretario all’Interno, chiedeva l’arresto soltanto quattro anni fa.
L’idea di un rinnovamento del Movimento 5 stelle è emersa con chiarezza nell’autunno scorso, durante la presentazione in Senato del “Dopo il coronavirus. La cultura politica del Movimento cinque stelle” del sociologo Domenico De Masi. A dispetto di quello che spesso si dice, nella formazione c’è una “convergenza fortissima sulle idee di fondo, c’è pieno accordo sulla salute, la finanza, l’ambiente, le migrazioni, l’equilibrio geopolitico globale, la business ethics, l’intelligenza artificiale, la bioetica, la sostenibilità, le questioni di genere e le frontiere della scienza”, diceva il sociologo. Un ritorno alle origini per proiettarsi verso il futuro? Forse nei problemi da affrontare come priorità. Sicuramente non nelle soluzioni offerte, si poteva notare in quello che molti hanno definito un vero e proprio manifesto della mozione Di Maio.
Gli altri? Poco, quasi nulla. Così, è stato recentemente lo stesso De Masi, sulle colonne di Formiche.net, a evidenziare le difficoltà del Movimento 5 Stelle dopo la nascita del Governo Draghi: “L’avanguardia non ha saputo trascinare sulle sue posizioni né tutti gli altri parlamentari, né buona parte della base. Di qui la recente scissione, in perfetta linea e a ennesima dimostrazione della sua natura ‘di sinistra’”, ha scritto il sociologo. Che ha individuato poi tre ragioni dietro il rischio scissione: l’incapacità di elaborare un modello di società da proporre all’elettorato perché “le cinque stelle — acqua, ambiente, trasporti, connettività e sviluppo — dicono tutto e niente” e “non avere un modello concettuale significa non poter distinguere tra destra e sinistra, tra vero e falso, tra buono e cattivo”; il “bisogno inconscio di distruggere la propria creatura così come Saturno divorò i suoi figli”; il vuoto organizzativo dopo la morte di Gianroberto Casaleggio con i principali esponenti del Movimento (Di Maio, Conte e Alessandro Di Battista) su posizioni e con ambizioni diverse.
E dire che con l’amministrazione Biden tornano centrali temi come l’ambiente e l’approccio multilaterale alle questioni globali — aspetti che coincidono con la (presunta) nuova agenda pentastellata. Per l’Italia il 2021 vede una grande occasione di rilanciare il suo legame con l’alleato storico, che non può essere soltanto un rapporto “di difesa” (anche per “recuperare” lo “shock” della Via della Seta). Le opportunità sono il G20 che il nostro Paese ospita e la Cop26(la 26esima conferenza Onu sui cambiamenti climatici che si terrà a Glasgow a novembre 2021) che organizza assieme al Regno Unito (a sua volta presidente del G7).
Opportunità anche per i pentastellati al Governo con Draghi. Ma rimane una domanda, che è il primo punto sollevato da De Masi: che modello proporrà agli elettori il Movimento 5 Stelle?
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
La cultura politica dei 5 Stelle, da forza antisistema a partito di Governo, è ancora confusa. Quale modello proporranno alle prossime elezioni?
La mutazione genetica che ha fatto sì che il Movimento 5 Stelle passasse da elemento antisistema e potenzialmente dirompente (come avevano scommesso alcune potenze come Russia e Cina) a “forza moderata, liberale, attenta alle imprese, ai diritti, e che incentra la sua missione sull’ecologia” (per usare le parole di Luigi Di Maio) ha avuto nell’estate del 2019 il suo punto di svolta.
Il passaggio dal Governo Conte I al Governo Conte II con il Movimento 5 Stelle perno dei due esecutivi — prima con la Lega poi con il Partito democratico e Liberi e uguali — ha rappresentato, infatti, un punto di svolta nell’approccio della forza fondata nel 2009 da Beppe Grillo alla cosa pubblica.
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