La minimum tax di Biden fa bene all’Europa (e all’Italia)
Il piano da 2000 miliardi di Biden passa per la stretta sulle multinazionali: la strategia porterebbe all’Italia nuove risorse, dato che è uno dei primi Paesi al mondo per uso di tecnologie digitali
Il piano da 2000 miliardi di Biden passa per la stretta sulle multinazionali: la strategia porterebbe all’Italia nuove risorse, dato che è uno dei primi Paesi al mondo per uso di tecnologie digitali
Voltare pagina e rinnovare l’industria in modo green (come aveva già pianificato Obama) e sostenibile (vale a dire trasmissibile alle nuove generazioni), fabbricare o restaurare nuovi ponti, strade, autostrade, grattacieli, ferrovie, aeroporti, ammodernare la rete digitale fino a portarla nei villaggi più sperduti dell’America profonda dal Texas al Nevada.
Per attuare il gigantesco piano di ricostruzione post Covid degli Stati Uniti, Joe Biden ha bisogno di soldi, tanti soldi, almeno duemila miliardi di dollari. Dove reperire quella montagna di denaro? Ecco il motivo per cui – ribaltando completamente la politica del suo predecessore Trump – vuole imporre, con la collaborazione dell’Europa e di altri 113 Paesi dell’Ocse, la cosiddetta minimum tax globale. The Donald aveva favorito le grandi multinazionali americane abbassando le tasse fino al 21%. Un’inezia soprattutto per i giganti digitali o semidigitali come Amazon, Apple, Facebook, Google, Netflix e Tesla, il cui valore di mercato globale si aggira sui settemila miliardi.
La strategia del nuovo Presidente è duplice. Da un parte intende alzare le tasse societarie sulle multinazionali dal 21 al 28%. Ma per evitare che queste facciano i bagagli e si trasferiscano in Paesi dove si pagano tributi più bassi, ha inaugurato un’offensiva negoziale con i Paesi Ocse, proponendo un’efficace minimum tax almeno equivalente al 21%, proprio per evitare trasferimenti in paradisi fiscali come l’Irlanda o l’Olanda. Naturalmente se poi i Paesi dell’Unione vogliono aumentare l’aliquota del 21% sono liberi di farlo, ma deve valere il principio che vi sia una soglia minima per tutti i Paesi dell’Ocse (che sono 140, sui 195 totali nel mondo).
Vi è poi un secondo pilastro che l’Europa aveva in passato tentato di far valere trovando il “muro” di “The Donald” (non propriamente un europeista vista la feroce politica dei dazi): far pagare le tasse non in base al fatturato dichiarato nel Paese dove la multinazionale ha sede, ma secondo le vendite di beni e servizi ottenuti sui diversi territori degli Stati. Se ne parlerà al prossimo G20 presieduto proprio dall’Italia, che è ovviamente schierato a favore della proposta di Biden. Se andasse in porto questo combinato disposto (una tassa minima per tutti i Paesi in modo da evitare competizione fiscale e paradisi off-shore e il principio che le tasse si pagano secondo il fatturato ottenuto nei singoli Stati) si tratterebbe della prima grande riforma di armonizzazione mondiale delle tasse societarie da almeno una generazione. Una riforma che porterebbe anche nelle casse dell’erario italiano nuove risorse, dato che l’Italia è uno dei primi Paesi al mondo per utilizzo di tecnologie digitali.
Il piano da 2000 miliardi di Biden passa per la stretta sulle multinazionali: la strategia porterebbe all’Italia nuove risorse, dato che è uno dei primi Paesi al mondo per uso di tecnologie digitali
Voltare pagina e rinnovare l’industria in modo green (come aveva già pianificato Obama) e sostenibile (vale a dire trasmissibile alle nuove generazioni), fabbricare o restaurare nuovi ponti, strade, autostrade, grattacieli, ferrovie, aeroporti, ammodernare la rete digitale fino a portarla nei villaggi più sperduti dell’America profonda dal Texas al Nevada.
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