La pandemia è l’occasione per ripensare le politiche d’asilo e promuovere una comune risposta europea alla migrazione, puntando su integrazione e solidarietà
La migrazione costituisce una delle questioni più complesse che l’Ue deve affrontare. La crisi migratoria del 2015 ha ben evidenziato le lacune del Regolamento di Dublino III, l’insufficienza di Frontex (agenzia di controllo delle frontiere Ue) e i difetti istituzionali insiti nella politica d’asilo. C’è accordo che una riforma sia necessaria, ma opinioni diverse su cosa un’equa condivisione di responsabilità comporti.
La migrazione è un tema fortemente politicizzato a livello globale, e in particolare per la gioventù europea, sempre più preoccupata per le violazioni dei diritti umani. La crisi attuale rappresenta un’opportunità storica per ripensare la politica vigente, per rafforzare integrazione e solidarietà attraverso una risposta comune. La pandemia rende più difficile un processo di riforma, in quanto la crisi sanitaria ha comportato la chiusura dello spazio Schengen.
La Svezia, una volta uno dei paesi più progressisti al mondo per politica d’asilo e protezione di rifugiati, ha adottato a partire da luglio una serie di misure estreme, che riecheggiano la dura retorica dei Paesi dell’Europa orientale in materia migratoria. Le nuove norme, per esempio, limitano nel tempo la validità dei permessi di residenza che, fin dal 1984 erano permanenti per i rifugiati. Con la nuova legislazione i permessi saranno rinnovati unicamente se le circostanze nelle quali sono stati inizialmente emessi sono ancora valide.
In Danimarca, gli immigrati verranno espulsi dalle politiche di Governo. La nuova legislazione permetterà di deportare i richiedenti asilo fuori dall’Europa nel periodo di esame delle loro richieste. Nonostante solo 1.547 persone abbiano richiesto asilo in Danimarca nel 2020, con un calo del 57% rispetto al 2019, il Governo di Frederiksen intende azzerare tutte le richieste.
Il messaggio è chiaro: Svezia e Danimarca sono un paradiso liberale per molti, ma non per gli immigrati.
La rotta atlantica è diventata la traversata verso l’Europa più pericolosa. Eppure, stando all’Onu, 20.000 migranti hanno rischiato le loro vite nell’ultimo anno nel tentativo di raggiungere le isole Canarie. La situazione è molto aggravata dalla pandemia, in quanto la disoccupazione ha devastato gli Stati dell’Africa occidentale, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. La conseguente crisi migratoria è traumatica per le Canarie, che non hanno risorse sufficienti per far fronte a un aumento degli arrivi di otto volte.
La cattiva gestione da parte delle autorità spagnole ed europee ha inoltre dimostrato che nulla è stato appreso dalle precedenti crisi migratorie. La strategia del governo spagnolo è la deportazione, come riporta la Commissione Spagnola per l’Assistenza ai Profughi, invece del trasferimento dei migranti nella terraferma: una soluzione già sperimentata nelle isole di Lesbo e Lampedusa. La strategia di rafforzare l’esternalizzazione dei confini rischia di trasformare un’altra frontiera europea in isole prigione. Gli immigrati vengono abbandonati in un limbo detentivo, in condizioni disumane, all’interno di campi finanziati dalla Ue, senza sapere se e quando le loro richieste d’asilo saranno esaminate.
Il flusso migratorio ha anche provocato tensioni con le popolazioni locali, fomentando partiti nazionalisti di destra come Vox, il cui Presidente, Santiago Abascal, ha parlato di “invasione migratoria”, accrescendo l’odio e l’euroscetticismo.
Gli accordi di cooperazione bilaterale con i cosiddetti “Paesi terzi sicuri”, come il Marocco, per esempio, hanno cambiato alcune dinamiche di potere tradizionali. Secondo la Commissione europea, il Morocco ha ricevuto oltre 343 milioni di euro dal portafoglio della cooperazione Ue per sostenere la gestione della migrazione nel paese. Spesso, questi paesi terzi usano la loro influenza geopolitica per fare pressione sull’Ue e i suoi stati membri, attraverso minacce, accrescendo le tensioni già esistenti. Ad esempio, si sospetta che il Marocco non sia intervenuto per evitare l’entrata in massa di 9.000 migranti a Ceuta come rappresaglia per il ricovero (per Covid) da parte della Spagna del Presidente del Fronte Polisario.
La migrazione è diventata una crisi geopolitica senza precedenti e minaccia la coesione interna ed esterna della Ue. Rappresenta una vera sfida al progetto comune, ha creato una nuova divisione oriente-occidente all’interno dell’Ue: chi ripudia la politica a porte aperte e chi la difende. È ora di riaffermare la posizione dell’Ue in questo contesto geopolitico. L’Europa ha l’enorme opportunità di promuovere una sua strategia autonoma. La migrazione è ampiamente menzionata nella Strategia Globale Europea, che ne riconosce il ruolo cruciale nel panorama di una Sicurezza in rapida evoluzione. Come ci ha dolorosamente insegnato la pandemia, le sfide globali possono essere affrontate solo mediante l’unione. È quindi necessario un approccio comunitario specifico che sappia conciliare diritti umani, sviluppo, sicurezza, migrazione legale, ricollocamento e rimpatrio. Ciò implica il superamento della frammentazione oriente-occidente e il raggiungimento di un più ampio consenso con paesi terzi agendo come un unico attore, un’Unione compatta.
Peyman Amiri (Vilnius), laureato in Iran, frequenta il Master di Scienze Politiche all’Università di Vilnius.
Laura Morales Nuez (Leiden), diplomata alle Canarie, studia Relazioni Internazioni all’Università di Leiden.
Marina Quiñonero López (Madrid), master in Filosofia, Politica e Economia, Relazioni Internazionali e conflitti armati.
Muhammad Hassan Yousaf (Copenhagen), diplomato in Pakistan, studia Business al Niels Brock di Copenhagen.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
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