Oltre alle immagini dei leader mondiali immersi nella Grande Bellezza, il summit verrà ricordato per la minimum global tax e l’accordo per la riduzione della temperatura della Terra che ha fatto da ponte al vertice di Glasgow. Un indubbio successo per Draghi
Cosa resta del recentissimo G20, a parte la photo opportunity del lancio delle monetine da parte dei Grandi della Terra in piazza Fontana di Trevi e le altre immagini della Grande Bellezza di Roma che ha ammantato come un’ovatta il summit?
Qualcosa di molto concreto, a cominciare dall’accordo per il 2023 sulla global minimum tax. Si tratta di un’aliquota del 15% sugli utili delle grandi multinazionali ed eviterà che le grandi aziende continuino a spostare la loro sede nei paradisi fiscali. Due i pilastri dell’intesa: il primo prevede che le aziende con oltre 20 miliardi di euro di fatturato siano tassate anche nei Paesi dove avvengono effettivamente i consumi.
Un centinaio di aziende (soprattutto tecnologiche, da Facebook ad Amazon, ma anche farmaceutiche) pagheranno i tributi laddove effettivamente producono e non dove hanno il loro quartier generale, di solito in Irlanda o in Olanda, frugale quando si tratta di censurare i conti pubblici dell’Italia ma estremamente lauta quando si tratta di fare “dumping fiscale”.
Il secondo pilastro implica che tutti i Paesi che ospitano la sede delle multinazionali (compresa Irlanda, Olanda, Hong Kong, ecc.) debbano imporre una tassa minima di almeno il 15%. Per evitare che le aziende traslocassero nei paradisi fiscali gli Stati erano costretti a mantenere un regime fiscale più basso. Ora non sarà più conveniente emigrare altrove, poiché tutti i 136 Paesi del quadro Ocse che avevano già sottoscritto l’accordo, confermato dal G20, dovranno pagare almeno il 15% delle imposte sul fatturato. La tassa genererà almeno 60 miliardi di dollari di introiti fiscali solo per gli Usa.
L’altro accordo è quello di tipo climatico, ovvero mantenere “a portata di mano” l’incremento della temperatura globale entro 1,5 gradi centigradi, azzerare le emissioni di gas serra intorno a metà secolo, aumentare i finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo, mettere fine ai sostegni pubblici internazionali alle centrali a carbone entro fine 2021 e piantare mille miliardi di alberi. Un accordo che rende il G20 propedeutico al secondo importante vertice in atto, quello a Glasgow della Cop26.
È l’ultima chiamata per la Terra, hanno detto sia il premier Boris Johnson e il principe Carlo dal G20 di Roma, in sintonia con il Presidente della conferenza, Alok Sharma, da Glasgow. Si conferma l’impegno sui finanziamenti nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, mobilitando congiuntamente 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 (ad oggi è stata raggiunta quota 82-83 miliardi) e ogni anno fino al 2025, per le azioni di mitigazione. Nuovi “commitments” sono stati assunti da alcuni dei membri del G20 per aumentare il proprio contributo, come l’Italia, che ha aumentato il proprio aiuto a 7 miliardi in 5 anni.
Per il nostro premier Mario Draghi è stato un indubitabile successo. Il suo carisma politico è stato decisamente rafforzato dal summit.
Oltre alle immagini dei leader mondiali immersi nella Grande Bellezza, il summit verrà ricordato per la minimum global tax e l’accordo per la riduzione della temperatura della Terra che ha fatto da ponte al vertice di Glasgow. Un indubbio successo per Draghi