[ROMA] Ricercatore al CeSPI e dottorando presso La Sapienza di Roma. Si occupa di movimenti politici e sociali in Tunisia, Algeria ed Egitto.
Dalla crisi idrica alle risorse energetiche: tutti i dossier su cui l’Egitto è impegnato
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Negli anni Quaranta uno dei più importanti autori del nazionalismo arabo, Sati‘ al-Husri (o Husaari), affermava che “la natura ha dotato l’Egitto di tutte le caratteristiche e i vantaggi che gli consentono di guidare la rinascita del nazionalismo arabo”. L’intellettuale si riferiva soprattutto alla posizione geografica dell’Egitto e allo spazio fisico che il gigante nordafricano occupa all’interno della regione. Doti che, secondo al-Husri, gli avrebbero consentito di guidare l’unità dei Paesi arabi dopo anni di tradimenti occidentali e colonizzazione.
Nonostante i tentativi di unione (si ricordi quella del 1958 tra Egitto, Siria e, in parte, Yemen del Nord) tramontarono dopo alcuni anni, l’Egitto, con l’allora Presidente Gamal Abd al-Nasser, ebbe un ruolo di prim’ordine nel propagandare le idee del nazionalismo arabo (al-qawmiyya al-arabiyya) e del panarabismo (al-wahda al-arabiyya).
L’Egitto che si presenta oggi agli occhi della comunità internazionale, nonostante non ricopra più quel ruolo egemone sotto il punto di vista politico-culturale, può essere considerato un attore centrale se si volta lo sguardo non solo all’interno della regione, ma anche al di fuori di essa.
Il Paese, negli ultimi anni, sta affrontando numerose sfide che lo collocano al centro delle dinamiche geopolitiche e geostrategiche della regione che coinvolgono, oltre agli attori della regione, anche gli Stati europei.
Le risorse energetiche, la questione libica, l’accordo con l’Etiopia per le acque del Nilo e la migrazione sono i principali dossier in cui il Paese è impegnato.
Le risorse energetiche
Le scoperte nel 2015 e 2018 dei giacimenti di gas al largo delle coste del Mediterraneo orientale da parte di Eni hanno dato nuova centralità al gigante nordafricano, soprattutto nelle relazioni con i Paesi limitrofi e con quelli europei. I due giacimenti, Noor e Zohr, sono due veri e propri giganti delle risorse gasiere nel Paese che, se sfruttati al massimo, potrebbero soddisfare il fabbisogno di gas dell’Egitto e incrementarne le esportazioni. Secondo le stime Eni, i due giacimenti hanno una capacità produttiva complessiva di 850 miliardi di metri cubi.
Tali scoperte, insieme a quelle rilevate nelle acque israeliane a largo di Haifa nei primi del 2000, hanno portato nel 2020 alla formazione dell’East Mediterranean Gas Forum. Un’organizzazione internazionale costituita da Egitto, Cipro, Grecia, Italia, Francia, Israele e Palestina che ha il compito di gestire e regolare le attività di scoperta ed estrazione.
All’interno del Forum l’Egitto è uno dei partner principali, oltre che esserne il fondatore. Tale posizione gli consente di giocare un ruolo di prim’ordine sia a livello regionale − si veda l’intensificarsi delle relazioni col vicino Israele − e sia con i partner europei. Infatti tali scoperte consentirebbero all’Europa di sganciarsi dalla dipendenza del gas russo e l’avvio di progetti infrastrutturali centrali (si pensi alla TAP che potrebbe diventare una delle principali vie di esportazione).
Tale iniziativa inoltre ha una centrale valenza geopolitica, infatti, la costituzione del Forum arrivava successivamente alla decisione della Turchia di intervenire militarmente in Libia e di firmare con l’ex Governo di Unità Nazionale di Tripoli, allora guidato da Fayez al-Serraj, un memorandum d’intesa diretto alla delimitazione delle acque territoriali. Tale mossa, secondo la narrativa dei componenti del Forum, era parte della strategia turca volta ad entrare nella partita del gas del Mediterraneo orientale.
Il fronte libico
Ed è proprio il contesto libico a impegnare l’Egitto sui fronti internazionali di crisi. Il regime egiziano, infatti, ha assunto una centralità internazionale nel percorso di riconciliazione del Paese. Infatti, il fallimento dell’avanzata del Generale Haftar, sostenuto da al-Sisi e soprattutto dagli Emirati, verso Tripoli tra il 2019 e il 2020 e l’entrata della Turchia all’interno del conflitto hanno costretto il Cairo a rivedere la propria strategia in campo internazionale.
Tale cambio, oltre ad aver fatto virare il regime egiziano verso la via diplomatica alla crisi libica, ha portato al-Sisi a raffreddare le relazioni con gli Emirati Arabi e ri-approcciarsi, timidamente, verso Qatar e Turchia (sostenitori del Governo di Tripoli) che fino ad allora erano considerati le principali minacce per via del loro sostegno alla fratellanza musulmana egiziana (in opposizione ad al-Sisi).
Il nuovo ruolo egiziano all’interno della crisi libica ha di fatto accresciuto la sua credibilità in ambito internazionale. L’Egitto, in questo contesto, sta tentando di ergersi a garante della road-map dell’Onu assumendosi il ruolo di potenza regionale ‘responsabile’ a difesa degli interessi europei, migrazioni e sicurezza.
Gli impegni egiziani nei vari contesti internazionali hanno di fatto messo al riparo il regime di al-Sisi da misure di condanna per i metodi autoritari contro i propri cittadini. I ‘casi’ di Giulio Regeni e Patrick George Zaki sono solo due esempi di una lista infinita di violazioni sistematiche dei diritti umani.
La guerra dell’acqua
Inoltre, tali ‘impegni’, sia nel campo energetico che della migrazione e della sicurezza regionale, sono strategici per il Cairo poiché gli permetterebbero di acquisire legittimità internazionale per far fronte alle problematiche che il Paese deve affrontare, su tutte, la questione delle acque del Nilo con l’Etiopia.
Nel 1979 l’ex Presidente egiziano Anwar Sadat affermò che “l’unica causa che riporterà l’Egitto in guerra, sarà l’acqua”. Vero o meno, oggi ciò che preoccupa di più il Cairo e i suoi 100 milioni di abitanti è la questione della gestione delle acque del Nilo.
L’Etiopia, dal 2011, ha dato inizio al progetto di costruzione della Grand Ethiopian Reinsassance Dam (GERD), una diga che consentirà al Paese del Corno D’Africa di avviare una nuova fase di sviluppo. La messa in funzione della diga garantirebbe l’approvvigionamento di energia elettrica in tutto il Paese oltre ad altri benefici sia nei centri urbani che rurali.
Nonostante ciò, il progetto porterebbe gravi conseguenze nei Paesi confinanti, Egitto e Sudan, nei quali il Nilo rappresenta più del 90% delle risorse idriche a disposizione. Una delle conseguenze che più allarma i Paesi menzionati è relativa al flusso delle acque che, con la costruzione della diga, subirebbero una drastica riduzione con forti impatti sull’agricoltura e su alcune zone già a rischio siccità.
Nonostante le diverse iniziative diplomatiche internazionali, la tensione tra Egitto ed Etiopia è molto alta soprattutto dal momento in cui il Paese africano ha iniziato la seconda fase di riempimento della diga. Per ora l’Etiopia sembra essere intenzionata nel continuare le fasi per il completamento del progetto e sembra non voler indietreggiare davanti alle minacce egiziane, per ora a parole, di un intervento armato nel Paese.
Se è vero, come diceva Sati‘ al-Husri che “la natura ha dotato l’Egitto di una centralità all’interno della regione”, è anche vero che la stessa natura risulta essere croce e delizia per il Paese. Se da un lato il gas del Mediterraneo potrebbe essere la svolta per le casse statali egiziane, dall’altro la crisi idrica potrebbe rappresentare un vero e proprio pericolo per la popolazione egiziana già impoverita dalle politiche economiche del regime egiziano.
Inoltre, per quanto la forte natura repressiva del regime egiziano porti molti osservatori a considerare l’Egitto un paese ‘stabile’, essa invece dimostra quanto al-Sisi sia debole e non goda di piena legittimità popolare. Le proteste e gli scioperi degli ultimi due anni e le ampie campagne di repressione del dissenso ne sono, in parte, la prova.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.