Il Gruppo Adani è da sempre appoggiato dal governo Modi e ha contribuito alla sua ascesa. A gennaio il fondo Usa Hindenburg ha accusato Adani di falsificazioni decennali di bilanci provocando il crollo delle azioni delle società del Gruppo
Se c’è un imprenditore che rappresenta il simbolo dell’India di Narendra Modi e delle sue ambizioni di ascesa regionale e globale, questo è Gautam Adani. Fino a poche settimane fa uomo più ricco d’Asia e terzo uomo più ricco al mondo, ha visto andare in fumo una quantità immensa di patrimonio dopo un report durissimo del fondo ribassista statunitense Hindenburg sulla sua creatura, il conglomerato Adani Group. Una vicenda che non è una “semplice” possibile caduta di un impero economico, ma anche una storia che intreccia aspetti politici e geopolitici di ampia portata.
Adani e Modi sono legati a doppio filo da molto tempo. Entrambi provengono dal Gujarat, lo Stato dell’India occidentale. Qui è dove Modi ha iniziato a sperimentare le sue doti di leadership. Mentre era a capo del governo locale, si verificò il famoso massacro del 2002. Un treno di pellegrini indù venne attaccato e la responsabilità ricadde sulla minoranza musulmana, presa di mira dalla maggioranza. Gli scontri che ne seguirono causarono ufficialmente 1500 morti, la maggior parte nella comunità musulmana. Modi fu anche indagato dalla giustizia indiana per presunte responsabilità nel non aver agito per impedire le violenze contro la minoranza. Dopo diversi anni fu assolto, ma la sua politica ha sempre avuto tinte ultranazionaliste indù. Negli ultimi anni, diverse leggi dell’amministrazione Modi hanno considerevolmente ridotto i diritti della minoranza musulmana, a partire dalla revoca dell’autonomia del Kashmir e dalla revisione della legge sulla cittadinanza.
Ad aiutare la sua ascesa ai tempi del Gujarat partecipò anche Adani, che ha iniziato a costruire le sue fortune con la gestione di un porto commerciale. Dopo le violenze che avevano creato grande instabilità, l’imprenditore creò un’organizzazione per ridurre le associazioni di categoria a livello locale e, in collaborazione con il governo statale di Modi, ha contribuito a creare una conferenza annuale per gli investitori dal nome “Vibrant Gujarat”. Sotto la mano ferma di Modi, la crescita economica dello Stato ha subito un’accelerazione sostanziale. Una volta salito al potere, il premier si è giovato della sua fama costruita sul fronte economico, seducendo molte cancellerie internazionali con promesse di apertura al mercato indiano e facilitazione di investimenti esteri.
L’ascesa di Modi è stata accompagnata da quella di Adani, la cui creatura si è espansa progressivamente a immobili, energia e cemento. Controlla il porto più grande dell’India ed è uno dei suoi maggiori operatori aeroportuali. Di recente ha promesso di sostenere la transizione energetica dell’India dopo aver investito a più riprese sul carbone. Si tratta di una figura controversa già da prima della vicenda Hindenburg. Ampie porzioni di foreste abitate dalle comunità tribali dell’India centrale sono state abbattute per fare spazio alle sue inquinanti operazioni di estrazione.
Ecco perché il report Hindenburg colpisce in toto il “sistema indiano”. Il fondo ribassista americano ha pubblicato i risultati di due anni di indagini sull’immenso conglomerato indiano, denunciando manipolazioni del mercato e irregolarità contabili attraverso “sfacciate alterazioni dei prezzi delle azioni” e “decenni di falsificazione dei bilanci”. Le azioni delle società del miliardario sono in caduta libera dal 24 gennaio, con perdite di mercato cumulate del gruppo che ora superano i 110 miliardi di dollari, scatenando timori di un più ampio contagio finanziario.
La crisi rischia ora di allargarsi anche a Modi e al sistema politico, visto che l’opposizione indiana ha sempre accusato il governo di riservare un trattamento di favore ai grandi miliardari. In primis Adani, che tra le altre cose lo scorso anno ha lanciato e completato un’acquisizione ostile dell’emittente NDTV, uno dei pochi media che aveva mantenuto una linea indipendente e critica nei confronti di Modi, resosi protagonista in questi anni di una forte stretta sulla libertà di stampa. I partiti dell’opposizione hanno chiesto l’istituzione di una commissione parlamentare per indagare sulla vicenda e hanno interrotto i lavori, attaccando di nuovo sulla vicinanza tra Adani e Modi. Nei giorni scorsi, diversi manifestanti guidati dall’opposizione hanno anche espresso rabbia per gli investimenti effettuati da Life Insurance Corporation e State Bank of India, sostenute dallo Stato, nel Gruppo Adani.
Sia Modi sia Adani provano a difendersi inserendo l’elemento geopolitico. Il miliardario ha definito la vicenda “un attacco calcolato all’India” e “all’indipendenza, all’integrità e alla qualità delle istituzioni indiane”. La portata dello scandalo rischia di essere notevole, visto che arriva in un momento molto delicato per Modi, già alle prese con le proteste per la decisione di censurare il documentario prodotto dalla BBC su di lui. Il film getta ombre inquietanti sul ruolo di Modi nel massacro del Gujarat ma anche sull’erosione dei diritti delle minoranze e dei cittadini indiani da quando il premier è al governo. La sua stretta censura ha causato proteste di studenti. Questa vicenda, unita a quella di Adani, potrebbe compattare la tradizionalmente frammentata opposizione indiana in vista delle elezioni del 2024.
Adani e Modi sono legati a doppio filo da molto tempo. Entrambi provengono dal Gujarat, lo Stato dell’India occidentale. Qui è dove Modi ha iniziato a sperimentare le sue doti di leadership. Mentre era a capo del governo locale, si verificò il famoso massacro del 2002. Un treno di pellegrini indù venne attaccato e la responsabilità ricadde sulla minoranza musulmana, presa di mira dalla maggioranza. Gli scontri che ne seguirono causarono ufficialmente 1500 morti, la maggior parte nella comunità musulmana. Modi fu anche indagato dalla giustizia indiana per presunte responsabilità nel non aver agito per impedire le violenze contro la minoranza. Dopo diversi anni fu assolto, ma la sua politica ha sempre avuto tinte ultranazionaliste indù. Negli ultimi anni, diverse leggi dell’amministrazione Modi hanno considerevolmente ridotto i diritti della minoranza musulmana, a partire dalla revoca dell’autonomia del Kashmir e dalla revisione della legge sulla cittadinanza.