spot_img

Novergia: le contraddizioni della leadership green


La “batteria verde” d’Europa produce (e vende) il 2% del greggio mondiale e il 3% del gas naturale, da questi dipende il 15%–20% del Pil norvegese. E’ anche il maggiore donatore del fondo per l’Amazzonia e investe per ridurre le emissioni di CO2 (interne) di almeno il 55% entro il 2030

Anni fa il calo dei prezzi dell’energia spaventava molti norvegesi. Nel maggio del 2014 la Reuters titolava “la fine del boom petrolifero minaccia il modello di welfare della Norvegia”. A Oslo e Stavanger (la Oljebyen, la capitale del petrolio) la preoccupazione dei cittadini era palpabile: allo scrivente madri e padri di famiglia confessavano di guardare al futuro con ansia, o persino paura. Oggi le preoccupazioni dei norvegesi sono diverse. Con il Brent che nel 2022 ha superato i cento dollari al barile e i prezzi del gas che soltanto a febbraio sono scesi (dopo mesi) sotto i cinquanta euro al megawattora, il settore idrocarburico norvegese gode di ottima salute. La Equinor, la compagnia energetica a controllo statale che fa parte dell’immaginario collettivo norvegese quanto certi marchi di auto veloci di quello italiano, l’anno scorso ha registrato ricavi per quasi 75 miliardi di dollari, un record nel suo mezzo secolo di esistenza.

“Sì, noi norvegesi traiamo benefici sostanziali dai rincari dell’energia – dice un imprenditore di Stavanger che preferisce l’anonimato –. Ma, a differenza di altri paesi, non sperperiamo i soldi del gas e del petrolio. Né li usiamo per invadere altre nazioni, o per corrompere politici”.

Questo contenuto è riservato agli abbonati

Abbonati per un anno a tutti i contenuti del sito e all'edizione cartacea + digitale della rivista di geopolitica

Abbonati ora €35

Abbonati per un anno alla versione digitale della rivista di geopolitica

Abbonati ora €15

- Advertisement -spot_img
rivista di geopolitica, geopolitica e notizie dal mondo