Bernardo Arévalo è il nuovo presidente del Guatemala anche se fino all’ultimo momento l’élite che ha governato il paese per decenni ha cercato di impedirlo. Fattore chiave l’appoggio internazionale e delle piazze. Ma la strada è comunque in salita.
Dodici ore è durata la cerimonia di insediamento del socialdemocratico Bernando Arévalo come nuovo presidente del Guatemala domenica scorsa. E non perché il nuovo capo di stato si sia dilungato in discorsi interminabili – come in passato ci hanno abituato altri leader latinoamericani come Fidel Castro o Hugo Chávez -, ma per i sotterfugi messi in atto dalla maggioranza parlamentare uscente per impedirgli di iniziare il mandato.
In migliaia si sono riversati nella piazza della Costituzione questa domenica, luogo simbolo dell’ascesa di Arévalo, dove nel 2015 si è formato il suo Movimiento Semilla al calore delle manifestazioni anticorruzione che hanno obbligato alle dimissioni l’allora presidente Otto Perez Molina.
La mobilitazione sociale a favore del nuovo presidente è stata una costante sin dalla notte del 25 giugno, quando il candidato del centrosinistra è riuscito a forzare contro tutti i pronostici un secondo turno contro l’ex first lady Sandra Torres. Arévalo, che durante tutto l’anno precedente si era mantenuto intorno al 5% nei sondaggi in vista delle presidenziali, si è trasformato così nel candidato anti-establishment al ballottaggio del 20 agosto, e l’intero sistema istituzionale ha fatto di tutto per impedire la sua vittoria.
La magistratura, che aveva approvato la sua candidatura proprio perché si trovava nei gradini più bassi dei sondaggi pre-elettorali, ha contestato la legalità dello status giuridico del suo partito poche ore dopo la conferma del secondo posto alle generali di giugno. La procuratrice generale, Consuelo Porras, considerata dal Dipartimento di Stato Usa il tassello chiave del sistema corrotto del Guatemala, ha lanciato una vera e propria crociata per impedire prima la presentazione di Arévalo al secondo turno, e poi il suo insediamento.
Dopo la schiacciante vittoria contro Torres, la procura ha perquisito il Tribunale Supremo Elettorale, sciolto il Movimiento Semilla, i cui deputati hanno dovuto giurare questa domenica come “indipendenti”, ha sequestrato tutta la documentazione che provava la vittoria di Arévalo alle elezioni e ha accusato il presidente eletto di brogli. A metà dicembre la procura ha addirittura tentato di togliere l’immunità giudiziaria di cui gode il presidente eletto a causa del suo sostegno all’occupazione della Universidad de San Carlos de Guatemala da parte di un gruppo di studenti vicini al Movimento Semilla.
Porras, recentemente designata “personaggio corrotto del 2023” dallo Organized Crime and Corruption Reporting Project, è ad oggi la principale esponente di quel che in Guatemala si conosce come “el pacto de corruptos”, e che mantiene nelle proprie mani da anni i principali poteri dello stato.
Dopo il terremoto suscitato dalle dimissioni di Perez Molina, l’élite tradizionale ha ricomposto il proprio potere, e nel 2016 ha sancito l’espulsione della Commissione delle Nazioni Unite contro l’Impunità in Guatemala, che dal 2007 aveva mostrato buoni risultati nel perseguire la trama corrotta della politica locale. Da allora, decine di magistrati, giornalisti ed attivisti guatemaltechi sono stati arrestati o costretti all’esilio.
L’elezione di Arévalo rappresenta dunque una svolta epocale, mossa soprattutto dal voto di protesta espresso nelle urne nel 2023, e supportato dalle grandi manifestazioni di massa a difesa del risultato elettorale nei mesi successivi. Anche il sostegno internazionale in difesa della democrazia in Guatemala è risultato determinante. La stessa domenica, in mezzo alle dilazioni messe in atto dal parlamento uscente per evitare l’insediamento del nuovo governo, il segretario dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA), Luis Almagro, e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, sono dovuti intervenire pubblicamente a difesa del presidente eletto, chiedendo al parlamento di deporre l’atteggiamento golpista assunto durante la giornata.
Un sostegno sicuramente decisivo è stato quello della Casa Bianca. A dicembre Washington ha sospeso i visti di circa 300 guatemaltechi tra cui 100 deputati, accusati di ostacolare il passaggio di consegne dal presidente uscente Alejandro Giammatei ad Arévalo, e di minare lo stato di diritto. Le sanzioni applicate dagli Usa hanno avuto il loro effetto: i legislatori eletti hanno abbandonato l’ostracismo dei loro predecessori ed hanno addirittura approvato l’elezione del trentunenne progressista Samuel Perez, strettissimo collaboratore di Arévalo, come presidente della camera.
Per Biden risulta fondamentale poter contare su un’amministrazione amica in Guatemala, principale economia centroamericana sul cui territorio passano tutti i flussi migratori latinoamericani diretti in Messico e da lì in Texas. Gli stati Uniti hanno già annunciato un programma da 200 milioni di dollari nella regione per rafforzare le istituzioni locali e hanno promesso ad Arévalo la loro stretta collaborazione.
Non si può però pensare che il nuovo presidente del Guatemala sia un fedelissimo della Casa Bianca. Figlio dell’ex presidente Juan José Arévalo, il primo ad essere democraticamente eletto nel 1945, il nuovo capo di stato del Guatemala è nato in realtà in Uruguay, dove suo padre si è recato in esilio dopo il colpo di stato voluto dalla CIA nel 1954 per deporre il suo successore, Jacobo Árbenz.
Il sostegno da parte di Usa, UE, OEA, storicamente restie a dare il loro beneplacito agli esperimenti progressisti e di sinistra in America Latina, risponde soprattutto alla necessità di rifondare le istituzioni guatemalteche in mano da anni a settori corrotti della destra liberal-conservatrice, e divenute ormai un interlocutore inaffidabile in una delle zone più calde del continente.
Arévalo inoltre dista dall’essere un leader populista: formatosi in Israele, Paesi Bassi e Svizzera, si è costruito una solida reputazione come accademico, diplomatico e cooperante nei processi di pace centroamericani. Il suo è un programma moderato, ben accolto a livello internazionale e che ha ricevuto l’approvazione da parte delle principali organizzazioni di imprenditori del Guatemala e dell’America Centrale.
Nel suo discorso di insediamento il nuovo capo di governo ha sottolineato anche il bisogno della partecipazione dei quattro popoli originari principali del Guatemala, Maya, Xinka, Garífuna e Ladino, che compongono la maggioranza della popolazione in termini statistici, ma sono stati storicamente lasciati fuori dalle decisioni intorno ai processi politici ed economici più significativi del paese.
Proprio le comunità indigene sono state la punta di lancia del movimento che si è lanciato nelle strade e nelle piazze del Guatemala in difesa del risultato delle elezioni del 20 agosto, e buona parte dei loro rappresentanti hanno seguito il discorso di Arévalo dalla piazza davanti al Ministero Pubblico, dove portavano avanti un sit-in di protesta da 105 giorni.
Ma nonostante l’ampio spettro del suo sostegno politico, le sfide che attendono Arévalo sono molto impegnative. Otre ad essere pervaso dalla corruzione e dal crimine organizzato, il Guatemala è anche un paese con gravissime difficoltà socio-economiche, dove il 55,2% della popolazione vive sotto la soglia della povertà ed il 70% dei lavoratori si trovano nella precarietà. L’1% più ricco possiede quanto la metà dei 18,4 milioni di guatemaltechi e le rimesse dei migranti che risiedono negli Usa rappresentano il 19,8% del Pil nazionale.
Il programma di rifondazione delle istituzioni dello stato che ha suscitato grandi speranze in tutta la regione, dovrà dunque garantire anche un miglioramento concreto nelle condizioni di vita dei cittadini, se vuole sostenere, nel medio termine, la primavera iniziata a metà dell’anno scorso con la schiacciante vittoria elettorale.
Dodici ore è durata la cerimonia di insediamento del socialdemocratico Bernando Arévalo come nuovo presidente del Guatemala domenica scorsa. E non perché il nuovo capo di stato si sia dilungato in discorsi interminabili – come in passato ci hanno abituato altri leader latinoamericani come Fidel Castro o Hugo Chávez -, ma per i sotterfugi messi in atto dalla maggioranza parlamentare uscente per impedirgli di iniziare il mandato.
In migliaia si sono riversati nella piazza della Costituzione questa domenica, luogo simbolo dell’ascesa di Arévalo, dove nel 2015 si è formato il suo Movimiento Semilla al calore delle manifestazioni anticorruzione che hanno obbligato alle dimissioni l’allora presidente Otto Perez Molina.