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Perchè l’aiuto pubblico allo sviluppo dell’Africa è necessario


Il Presidente della World Bank Ajay Banga ha recentemente rivolto un appello ai Paesi donatori affinché non dimentichino l’Africa. Potrebbe sembrare un appello rituale e invece non lo è. La spiegazione si può trovare nei recenti dati dell’OCSE.

L’annuale pubblicazione del Development Assistance Committee (DAC) sull’aiuto pubblico allo sviluppo (APS) di 23 Paesi membri dell’Organizzazione consente ogni anno di fare il punto sulle tendenze e gli orientamenti dei Paesi industrializzati in relazione all’utilizzo dei fondi pubblici a favore dei Paesi del Sud del mondo.

I dati relativi al 2023 sembrerebbero a prima vista confortanti: è stato infatti stabilito un nuovo record: 223.7 miliardi di dollari, in aumento rispetto ai 211 miliardi dell’anno precedente, in termini reali +1,8%. Un esame più approfondito dei dati indica che l’aumento degli aiuti all’Ucraina e West Bank e Gaza è alla radice di tale performance particolarmente positiva. L’aiuto pubblico allo sviluppo all’Ucraina è cresciuto del 9% nel 2023 per un ammontare pari a 20 miliari di dollari, inclusi 3,2 miliardi di dollari di aiuti umanitari; quello per West Bank e Gaza ha raggiunto 1,4 miliardi di dollari, in aumento del 12% rispetto all’anno precedente.

Il fatto che gli aiuti all’Ucraina figurino quali aiuti allo sviluppo è coerente con le regole dell’OCSE ma fortemente discutibile sotto un profilo politico più generale. Meglio farebbero gli stessi Paesi membri dell’Organizzazione a effettuare una distinzione tra aiuti che appaiono avere motivazioni e finalità diverse da quelle più tipiche dell’aiuto allo sviluppo. È quindi comprensibile e condivisibile l’appello del Presidente della Banca Mondiale affinché non defletta l’attenzione sull’Africa dove la situazione resta molto difficile come dimostrano i recenti default di Zambia e Ghana.

Analizzando più da vicino le statistiche dell’OCSE relative al nostro Paese si evidenzia un dato contraddittorio rispetto all’impegno dell’azione governativa a favore dell’Africa con il Piano Mattei. L’aiuto pubblico allo sviluppo italiano nel 2023 è stato pari a 6,01 miliardi di dollari, pari allo 0,27% del PIL, un dato inferiore a quello del 2022 (in diminuzione del 15,5%). Siamo non solo molto lontani dall’obiettivo delle Nazioni Unite di destinare lo 0,7% del PIL ai Paesi in Via di Sviluppo ma anche dagli altri grandi Paesi dell’UE come la Germania (0,79%) e la Francia (0,5%). In termini i assoluti siamo distantissimi da Berlino (36,68 miliardi di $) e Parigi (15,43 miliardi di $); facciamo anche peggio dei Paesi Bassi (7,36 miliardi di $).

I dati dell’OCSE evidenziano anche un altro aspetto rilevante: diminuisce, anche se di poco e non in tutti i Paesi, la quota di risorse conteggiate come aiuto pubblico allo sviluppo che consistono in spese effettuate all’interno dei Paesi dell’Organizzazione a favore dei rifugiati. L’Italia è in controtendenza: i dati indicano che nel 2023 una parte molto rilevante e crescente dei fondi dell’aiuto pubblico allo sviluppo è stato destinata all’assistenza ai rifugiati. II 26,8% dell’aiuto pubblico allo sviluppo, pari a 1,6 miliardi di dollari (in crescita rispetto al 2022) è stato speso nel nostro Paese. Anche questa pratica, legittima secondo le regole che si sono dati i Paesi dell’OCSE, finisce per impattare in modo significativo sui flussi finanziari che dal mondo sviluppato si dirigono effettivamente verso i Paesi in Via di Sviluppo.

I 6,1 miliardi di dollari dell’aiuto pubblico allo sviluppo italiano appaiono anche modesti se confrontati con i dati diffusi da una recente ricerca del CESPI che indica, su dati della Banca d’Italia, che le rimesse degli immigrati nel nostro Paese si sono attestate a 8,178 miliardi di euro nel 2023: una cifra di 2 miliardi superiore a quanto lo Stato eroghi in aiuto pubblico allo sviluppo.

L’aiuto pubblico allo sviluppo è su livelli bassi: una situazione che finisce per incidere sulla credibilità degli impegni più volte sottoscritti dall’Italia e sulla volontà di rinvigorire l’azione del nostro Paese verso il continente africano. L’attenzione della comunità internazionale sull’aiuto pubblico allo sviluppo resta tuttora elevata come dimostrato in queste settimane dai negoziati in corso della dichiarazione conclusiva del Summit per il Futuro delle Nazioni Unite che avrà luogo a settembre.

La rinnovata attenzione dell’Italia verso l’Africa va sostenuta senza riserve e occorre salutare positivamente l’intensificazione delle iniziative verso questo continente. Le recenti visite del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio in Africa, il nostro impegno del sistema multilaterale, nel G7 e nel G20 costituiscono un inequivocabile indicatore di questo cambiamento.  All’attenzione politica deve seguire un impegno coerente con le dichiarazioni più volte sottoscritte dai Governi italiani e finora disattese.  Se è vero che la lotta per lo sviluppo dell’Africa potrà essere vinta solo se riusciremo ad aggredire in modo serio il problema del debito, se avrà successo la mobilitazione delle risorse private e degli investimenti e se saranno adottate politiche di buon governo, sarà anche necessario un maggiore allineamento tra il dichiarato impegno a favore dell’Africa e le risorse destinate a questo continente.

L’aiuto pubblico allo sviluppo non risolverà da solo i problemi dell’Africa ma è quanto mai indispensabile per fare fronte alle situazioni più critiche in quel continente. È quindi necessario che, accanto alla mobilitazione del settore privato, la cooperazione allo sviluppo italiana possa contare negli anni a venire su risorse più consistenti unitamente a una più efficace capacità di spesa. Senza questi cambiamenti il rischio è che la punteggiatura finisca per avere la meglio nel definire questa stagione d’interesse italiano per l’Africa: piano, Mattei.

 

 

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