L’importanza geopolitica del tandem Meloni-Milei
A Roma il presidente argentino ha riaffermato l'importanza della relazione con l'Italia. Un vincolo arrugginito negli ultimi anni, che viene rilanciato per le esigenze geopolitiche di entrambi i governi.
Il presidente argentino Javier Milei ha concluso lunedì 16 dicembre l'ennesima visita a Roma, dove, oltre a ricevere la cittadinanza italiana, ha tenuto un comizio ad Atreju e ha avuto un incontro personale con Giorgia Meloni. Si tratta della quinta occasione, in un solo anno, in cui la premier italiana e l'istrionico presidente argentino si incontrano, a conferma della necessità, per entrambi i paesi, di dare un nuovo slancio alla relazione bilaterale nella congiuntura attuale, approfittando di alcune affinità ideologiche tra i due capi di governo.
"Siamo di fronte a un cambio epocale. Il virus woke sta cedendo di fronte a una nuova politica. Dobbiamo rimanere uniti e stabilire canali di cooperazione in tutto il mondo. La destra deve lottare unita come una falange di opliti o come una legione romana, dove nessuno rompe la formazione", ha dichiarato Milei durante il suo discorso alla convention della gioventù di Fratelli d'Italia. "Lui sta portando avanti una rivoluzione culturale e, come noi, crede che la politica fatta di sussidi porta verso il baratro, e, come noi, crede che il lavoro è l'unico antidoto contro la povertà", ha affermato Meloni, invitando i presenti a un forte applauso.
Le ragioni di questo sodalizio intercontinentale sono molte e la sua importanza è stata ribadita durante la visita della presidente del Consiglio italiana a Buenos Aires lo scorso novembre. Un gesto tutt'altro che scontato: prima di Meloni, Matteo Renzi era stato l'unico presidente del Consiglio italiano a visitare l'Argentina dal 1998. Un'assenza senza dubbio sorprendente, dovuta soprattutto alle tensioni create attorno al piano di ristrutturazione del debito estero argentino dichiarato in default dopo la crisi del 2001. Buona parte degli investitori che rifiutarono i termini dell'accordo presentato da Néstor Kirchner nel 2005, e aggiornato da sua moglie Cristina Fernández nel 2010, erano proprio italiani, molti dei quali intrappolati nella famosa vicenda dei cosiddetti "Tango Bond", che portarono il governo argentino fino alle ultime conseguenze nei tribunali di New York. La questione si risolse nel 2016 con l'arrivo al governo dell'altro ex presidente argentino di origini calabresi, Mauricio Macri, che dopo aver pagato quanto richiesto dalle cordate internazionali, ricevette la visita dell'allora premier Renzi. Ma nemmeno in quel frangente le cose andarono per il meglio. Gli avvicendamenti al governo in Italia e i nuovi guai finanziari di Buenos Aires, inclusi un nuovo e pesantissimo indebitamento con il Fondo Monetario Internazionale, hanno raffreddato il rapporto bilaterale, ripreso solo grazie al tandem Milei-Meloni.
Nonostante l'Argentina sia il paese con il maggior numero di cittadini italiani residenti al mondo, la relazione bilaterale dal punto di vista economico è da sempre al di sotto delle possibilità e delle aspettative. Nel paese operano circa 250 aziende italiane, che danno lavoro a circa 50.000 persone, con un fatturato superiore agli 11 miliardi di euro. Eppure, l'Argentina rimane appena il 61º mercato di destinazione dell'export italiano e il 63º paese fornitore dell'Italia. Secondo gli ultimi dati disponibili, gli investimenti italiani in Argentina superano di poco gli 1,5 miliardi di euro, e l'interscambio commerciale ha raggiunto un valore simile, pari a 1,52 miliardi di euro tra gennaio e settembre 2024.
La distanza, l'instabilità economica argentina, i cortocircuiti tra i governi del passato e l'alto costo dei prodotti italiani sul mercato argentino hanno smussato un rapporto commerciale che, visti i legami culturali e storici tra i due paesi, si presumeva ben più ricco. Proprio per questo la strategia si è orientata verso la selezione di settori specifici su cui collaborare, come quello aerospaziale e quello dei macchinari agricoli. Tuttavia, negli ultimi anni, diverse ragioni geopolitiche hanno spinto l'Italia a rendere più aggressiva la propria strategia in America Latina.
In primo luogo, per una questione ideologica: la destra italiana ha sempre valorizzato il contributo della diaspora italiana nel mondo e promosso l'approfondimento dei legami con le comunità italo-discendenti all'estero. Non per nulla, è stato proprio l'attuale spazio politico al governo a spingere, nei primi anni Duemila, per riconoscere il diritto di voto agli italiani all'estero. Con quasi un milione di cittadini italiani residenti, l'Argentina diventa quindi la punta di diamante dell'azione italiana in America Latina, un continente in cui l'Italia è l'unico paese europeo a poter rivaleggiare con la Spagna per il ruolo di interlocutore naturale in nome dell'Unione Europea.
L'avanzata cinese nella regione e, soprattutto, l'agenda protezionista che si prevede sarà attuata dal governo degli Stati Uniti a partire da gennaio, hanno spinto l'Ue a rafforzare la propria presenza in America Latina. L'Italia potrebbe sfruttare il proprio legame privilegiato con l'Argentina per aumentare il proprio peso a Bruxelles. L'accordo con il Mercosur, inoltre, ha recentemente rimesso in discussione il ruolo dell'America Latina nella strategia internazionale europea.
Nel caso del governo Meloni, inoltre, la relazione con l'attuale presidente argentino le permette di rafforzare il proprio ruolo all'interno dell'internazionale conservatrice, che poco a poco sembra prendere forma in vista del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Il piano di Milei è quello di creare una sorta di lega informale di governi di destra in grado di mettere in discussione buona parte dei principi su cui si basa l'Agenda 2030 delle Nazioni Unite, a partire dalle politiche di genere e dalle proposte per la riduzione dell'impatto del cambiamento climatico, entrambe intese da Milei come elementi centrali della "battaglia culturale" contro l'agenda woke.
Per Milei, in ogni caso, il sostegno dei paesi del G7 è fondamentale in vista di due dossier molto importanti. Il primo è sicuramente l'ennesima negoziazione del debito con il Fondo Monetario Internazionale: il governo argentino ha bisogno di ingenti fondi per stabilizzare l'economia e per poter portare avanti - almeno in parte - il programma proposto da Milei in campagna elettorale, che comprende la dollarizzazione dell'economia, liberalizzazioni, privatizzazioni e l'eliminazione della Banca Centrale. Il secondo riguarda l'entrata dell'Argentina nell'OSCE, un progetto in corso da quasi un decennio ma mai portato a termine. È comprensibile, quindi, che la costruzione di relazioni internazionali che gli consentano di avere maggiore forza per raggiungere questi obiettivi parta da governi con cui sente una certa affinità ideologica.
Esistono inoltre possibilità ed esigenze di breve termine: così come a novembre Milei ha incontrato Flavio Cattaneo, amministratore delegato del gruppo Enel (che, appena insediato il nuovo presidente a Buenos Aires, ha cancellato il piano per la vendita dei propri asset in Argentina), in questa tappa a Roma si è riunito con il presidente di Stellantis, John Elkann, con cui avrebbe concordato nuovi investimenti per la produzione di pick-up in Argentina. Da parte italiana, la possibilità di un canale privilegiato per negoziare l'accesso alle terre rare, il litio e il petrolio argentini è chiaramente un'occasione ghiotta. L'asse Roma-Buenos Aires, che a prima vista sembrerebbe naturalissima, ha trovato un nuovo slancio a causa delle vicissitudini della geopolitica internazionale. Resta vedere, alla luce delle decisioni che prenderà il nuovo governo degli Stati Uniti, fino a che punto il sodalizio andrà fino in fondo.