I “crociati” del calcio vanno alla riconquista delle società in bancarotta.
La squadra del cuore un tifoso la sposa da bambino, per suggestione paterna, su consiglio di un amico o perché folgorato dal colore della maglia o dal nome di un giocatore. Un legame eterno.
La fede politica può anche cambiare – sostengono gli appassionati – la fede calcistica, mai.
Venti anni dopo, all’alba del calcio globale, il tifoso ha scoperto che dalla squadra del cuore si può divorziare per disamore o eccesso di amore ma anche per giusta causa. Si tratta di una pratica no-profit di azionariato popolare sviluppatasi in Inghilterra, all’inizio del nuovo millennio.
Disillusi dalla deriva commerciale del calcio postmoderno, migliaia di tifosi hanno smesso di seguire la loro squadra del cuore e ne hanno fondata un’altra, più genuina e radicata nella comunità, ricominciando dai dilettanti e gestendo la governance del club secondo il principio democratico di una testa, un voto.
Il modello del Community Club ha fatto proseliti in tutto il mondo. In Israele per esempio. L’Hapoel Katamon Jerusalem è nato nel 2007 per iniziativa di un gruppo di tifosi fuoriusciti dell’Hapoel Jerusalem, la squadra che un tempo era appartenuta al Partito laburista e al sindacato dei lavoratori.
Sette anni fa l’Hapoel era finito nelle mani di uno scaltro immobiliarista locale, Yossi Sassi, capace di precipitare il club in serie C, ai confini della bancarotta e del ridicolo. All’inizio della stagione aveva affidato la sicurezza dello stadio alla figlia, dimenticando di avvisarla che era necessario assumere degli steward. Risultato, la squadra aveva giocato la prima partita a porte chiuse.
Dalle colonne della rivista Shem Hamisehak , il giornalista Uri Sheradsky aveva lanciato un appello. “Basta amici tifosi, cacciamo questi incompetenti, compriamoci la squadra”. In poche settimane aveva raccolto migliaia di adesioni da tutto il mondo e circa 150mila euro, insufficienti però a strappare al controverso Sassi lo storico club della città santa. Con quei soldi allora Sheradsky e una parte dei tifosi hanno dato vita all’Hapoel Katamon, dal nome del quartiere di Gerusalemme dove sorgeva l’omonimo stadio che aveva ospitato le partite dei rossoneri a partire dagli anni Cinquanta.
La prima squadra israeliana interamente posseduta dai tifosi è partita dalla quinta serie e fedele alla tradizione multiculturale dell’Hapoel originario, da sempre club aperto anche agli arabi, è diventata una bandiera della tolleranza e dell’antirazzismo in una città dove negli anni Novanta si è affermata la stella del Beitar Jerusalem, un club storicamente vicino al movimento sionista, dove le frange più estreme del tifo hanno sempre impedito che vi giocasse un calciatore arabo.
Sostenuto da sponsor e donazioni, impegnato in attività sociali come insegnare la lingua ebraica agli immigrati, l’Hapoel Katamon ha scalato le serie minori del calcio israeliano. Il capitano, Shay Aharon, 36 anni, attaccante, è anche l’allenatore. È stato a lungo una bandiera dell’Hapoel Jerusalem ma quando nel 2010 i tifosi gli hanno chiesto di ricominciare con loro, dal basso, non ha avuto dubbi. “Mi hanno proposto di prender parte a una rivoluzione che accadeva sul pianerottolo di casa mia, che altro potevo fare?”.
Quest’anno l’Hapoel Katamon ha raggiunto l’altro Hapoel in Liga Leumit, la serie B israeliana. Si sono affrontati tre volte, una vittoria a testa e un pareggio. Nel prossimo campionato forse non si sfideranno più. L’Hapoel dei tifosi infatti ha lanciato un’opa – sentimentale più che ostile – sull’Hapoel di Yossi Sassi. Una fusione che la base dell’Hapoel Katamon ha votato a febbraio (93% i favorevoli) e per la quale ha raccolto due milioni di dollari con cui comprare metà del pacchetto azionario dell’Hapoel e risanare i conti.
Non tutti sono d’accordo tra i tifosi dell’Hapoel, la scissione del 2007 è una ferita che brucia ancora. E lo stesso Uri Sheradsky, il giornalista che aveva firmato le carte del divorzio, confessa che gli “piange il cuore all’idea innaturale di porre fine alla meravigliosa esperienza dell’Hapoel Katamon”.
La squadra del cuore un tifoso la sposa da bambino, per suggestione paterna, su consiglio di un amico o perché folgorato dal colore della maglia o dal nome di un giocatore. Un legame eterno.