“Hanno fatto un deserto e lo chiamano pace” ha sentenziato l’ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, citando l’Agricola di Tacito. Probabilmente, se Tsipras gli avesse dato retta, a quest’ora il deserto ci sarebbe davvero…
Il caso Grecia è scoppiato nell’autunno 2009, quando l’allora premier socialista George Papandreou rivelò che le statistiche inviate a Bruxelles per poter aderire al club della moneta unica erano fasulle. I mercati reagirono male, anzi malissimo (qualcuno può dar loro torto?!?)…
Da qui, l’inizio del programma di aiuti e la necessità delle riforme. L’uscita dal governo dell’eccentrico Varoufakis, diventato noto all’apice della crisi debitoria del paese nel 2010, ha coinciso con la svolta pragmatica di Tsipras e con l’abbandono di un programma suicida che prevedeva l’emissione di titoli di debito interni e la costituzione di una Banca di Grecia sovrana.
Oggi, la fine di quel programma e la ritrovata autonomia greca è un segnale importante e un’iniezione di fiducia sulla tenuta della moneta unica, anche se diversi nodi strutturali dell’economia greca vanno ancora sciolti e il lavoro da fare è molto.
Una cosa è comunque incontestabile: la Grecia ricomincia a camminare con le proprie gambe. Con il sì dell’Eurogruppo del 22 giugno, si è concluso il più grande programma di salvataggio finanziario della storia. Dopo otto anni di crisi, il paese riacquista la propria sovranità finanziaria senza passare attraverso un fallimento.
Atene ha approvato tutte le 88 riforme necessarie a completare il terzo piano di aiuti e la Ue sborserà quindi l’ultima parte di prestiti, pari a circa 15 miliardi. Alexis Tsipras, è riuscito a convincere la coalizione a votare, con 155 voti a favore e 144 contrari, la recente revisione alle riforme, un ultimo assaggio di austerità, che dovrà rimanere anche quando il bailout sarà chiuso.
Bruxelles, Fmi e Bce hanno approvato, nonostante le resistenze della Germania, anche il taglio del debito ellenico, allungando di 10 anni le scadenze dei prestiti.
La Grecia rimarrà una sorvegliata speciale, con controlli periodici, per verificare che la lista di riforme richieste venga attuata, ma il governo Tsipras ha di nuovo in mano la piena sovranità nella gestione del paese.
In 8 anni, la Grecia ha beneficiato di 326 miliardi di euro di crediti, di cui 274 miliardi erogati (242 dei quali a carico degli Stati membri della zona euro).
Dal canto suo, Atene ha varato 450 riforme nel corso degli ultimi tre anni, che hanno prodotto il consolidamento delle finanze pubbliche e della stabilità finanziaria, la modernizzazione dello Stato e dell’amministrazione fiscale. Dopo i grandi sacrifici, le manifestazioni contro la troika, l’odio per la Germania e le bagarre notturne in Parlamento, i risultati economici sono arrivati: dopo anni di recessione, nel 2017 la Grecia ha registrato una crescita positiva dell’1,4% e le previsioni Ue dicono 1,9% nel 2018, 2,3% nel 2019.
Lo stesso vale per le finanze pubbliche: nel 2009, la Grecia aveva il deficit di bilancio più alto in Europa -15,1%, ora registra un avanzo di bilancio dello 0,8%.
Anche l’economia reale va meglio: a trainarla finora è soprattutto il turismo, secondo l’Associazione delle aziende greche del settore, il turismo greco pesa tra il 22% e il 26% del Pil e otto posti di lavoro su dieci creati lo scorso anno provenivano da questo settore.
Nel 2018, è ripartito anche l’export (+10%) e la produzione industriale registra un aumento sensibile, così come gli investimenti esteri.
Una grande prova di maturità per un paese che ha subito il più grande piano di privatizzazioni internazionali della storia europea: i cinesi al Pireo, i canadesi alle miniere, i tedeschi alla gestione degli aeroporti.
Ma come stanno i Greci oggi? La popolazione porterà ancora a lungo le cicatrici degli errori commessi da 20 anni di malgoverno precedente a Tsipras.
Il tasso di disoccupazione è ancora altissimo, anche se è passato dal 27,5% del 2015 al 20,1% di oggi: quest’anno, ad aprile, ci sono stati 8mila nuovi assunti in più rispetto al 2017, a conferma di una timida ripresa del lavoro.
È indubbio che l’austerità ha contratto duramente i bilanci familiari. Il Fondo monetario Internazionale ha anche ammesso di aver sbagliato i calcoli del moltiplicatore, sottostimando gli effetti recessivi che hanno allargato le fasce di povertà nella popolazione: le famiglie che vivono in povertà sono il 21%, il doppio del 2010. L’importo delle pensioni è calato in media del 14% e con il nuovo piano di riforme si abbasserà ancora. Il settore pubblico ha perso quasi 200mila posti di lavoro. Ma senza prestiti internazionali e austerità, lo Stato non sarebbe stato più in grado di pagarle nemmeno, le pensioni, cosa che pochi sottolineano.
Il ministro delle Finanze greco, Euclid Tsakalotos, ha promesso alla troika di rispettare gli impegni presi ma di voler aumentare gradualmente i salari minimi, ripristinare la contrattazione collettiva (oggi abolita) e creare una banca pubblica di sviluppo sul modello di quella tedesca.
Tra le manovre del Governo per aiutare la popolazione in difficoltà in questi ultimi due anni, c’è stata la distribuzione del surplus di bilancio alle famiglie più bisognose. Inoltre, due milioni di persone sono state inserite nel sistema di assicurazione sanitaria e quasi 300mila persone (il 6 % della popolazione) hanno beneficiato di un reddito di solidarietà.
In vista delle prossime elezioni nel 2019, il nuovo governo dovrà trovare l’equilibrio tra il percorso di risanamento e il sostegno alle famiglie.
Considerato dai populisti greci come un traditore, per essersi piegato ai diktat del mercato, tanto che Syriza ha subito due scissioni, Alexis Tsipras rischia di pagare il suo coraggio nella prossima tornata elettorale: “faremo uscire il Paese dalla lunga crisi e su questo saremo giudicati”. Certo, in pochi si aspettavano che proprio lui potesse dare all’Europa una lezione anti-populista. Era partito con la demagogia più sfrenata per poi ritirarsi sul fronte del realismo, riuscendo a non farsi contagiare da quel virus sovranista, che porta ad attribuire agli altri le colpe dei propri disastri finanziari. La memoria del tempo in cui si stava meglio (ma il rapporto deficit-Pil aveva toccato il tetto del 15 %) è il peggior nemico di Tsipras. La sua leadership adesso è fragile, ma la sua azione è stata sana e robusta.
Atene, falsificando i conti pubblici, è andata incontro da sola al proprio disastro. Quello che è mancato all’inizio, nel rapporto con la Ue, è stata la fiducia reciproca, pur avendo in tasca la stessa moneta. L’Europa deve continuare a sostenere Tsipras, ora che si vede la luce alla fine del tunnel. In questo senso, forse poteva essere accolta la proposta francese, che avrebbe permesso di ripagare il debito agganciandolo in modo permanente all’aumento del Pil. Inoltre, a gennaio, i Greci troveranno nelle buste paga e nelle pensioni l’effetto degli ultimi tagli approvati a giugno. E a quel punto, convincerli che la crisi è davvero finita potrebbe essere più difficile.
Tsipras ha dimostrato di essere un politico serio e intelligente, che è riuscito a superare la narrativa del pifferaio magico Varoufakis, e a convincere i Greci che era utile per tutti affrontare con sacrificio il risanamento, dopo anni di allegre e irresponsabili finanze. La sua salvezza politica è interesse comune di tutti. Contro i populismi e per un’Europa più forte.
Per abbonarti, visita la nostra pagina abbonamenti.
“Hanno fatto un deserto e lo chiamano pace” ha sentenziato l’ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, citando l’Agricola di Tacito. Probabilmente, se Tsipras gli avesse dato retta, a quest’ora il deserto ci sarebbe davvero…