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La clessidra del sultano Erdogan


La sconfitta del partito del Presidente a Istanbul, dove era sindaco, potrebbe davvero segnare l’inizio simbolico di un suo lento declino

Erdogan insieme agli ex Ministri Ali Babacan e Ahmet Davutoglu. REUTERS/Umit Bektas

La sconfitta del partito del Presidente a Istanbul, dove era sindaco, potrebbe davvero segnare l’inizio simbolico di un suo lento declino

“Chi conquista Istanbul, conquista la Turchia” ha più volte affermato il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, e oggi – dopo i deludenti risultati elettorali nelle più grandi città del Paese, in cui il suo Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) ha subito importanti sconfitte − vi è un grande interrogativo sulla tenuta dello stesso e sul futuro corso politico del Paese. Con la ripetizione del voto a Istanbul Erdogan ha segnato un vero e proprio autogoal a favore del candidato dell’opposizione: con uno scarto di quasi 10 punti percentuali e la conquista della maggior parte dei distretti, Ekrem Imamoglu ha siglato una vittoria plebiscitaria, presentandosi come l’uomo nuovo in grado di cambiare le sorti della Turchia. Rispetto alla tornata del 31 marzo non solo il suo supporto è cresciuto esponenzialmente, sottraendo gran parte degli storici distretti conservatori alla sfera Akp, ma anche laddove il partito del Presidente è riuscito a imporsi, il sostegno è drasticamente calato. Una sconfitta probabilmente annunciata, ma certamente non auspicata. Infatti, dopo che il Supremo Consiglio Elettorale (Ysk) ha accolto il ricorso per presunte irregolarità presentato dall’Akp, gran parte della società si è mobilitata dietro lo slogan Her şey çok güzel olacak (sarà tutto molto bello), a dimostrazione che, nonostante tutto, le scelte individuali sono inviolabili. A poco, invece, sono serviti i caroselli dell’Akp che in posizione quasi difensiva ha replicato con l’hashtag #DahaGüzelOlacak (sarà tutto più bello). 

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