Indebolire i nemici e cercare appoggio nei partiti di estrema destra dell’Ue è la strategia di Putin per recuperare terreno nel mondo e seminare zizzania
Non ci sono dubbi sull’attrazione che il Presidente russo esercita sulla galassia populista e di estrema destra in Europa. Le simpatie sono reciproche ma il rapporto è sbilanciato al di là di una certa affinità culturale e politica. Sul versante movimentista c’è soprattutto molta ammirazione, forse l’invidia di alcuni leader (“ah, potessimo fare come Putin…”). Su quello russo c’è soprattutto politica estera. Il collante è una tattica comunanza d’interessi, essenzialmente rivolta contro un nemico comune: “l’ordine liberale internazionale”. E, come noto, i nemici del mio nemico sono i miei amici. Ma l’alleanza poggia su sabbie mobili.
Populisti e nazionalisti europei trovano inspirazione nella “democrazia sovrana” russa – più sovrana che democratica. Il Presidente, al potere indiscusso da un ventennio, di fatto senza interruzioni, è il modello di “uomo forte” da seguire. Vladimir Putin ne può essere lusingato ma non cerca popolarità fine a se stessa. Certamente condivide con l’estrema destra una piattaforma politico-culturale fatta di rivalutazione delle radici nazionali e dell’idea che l’Europa “cristiana” debba difendere i valori tradizionali dalla contaminazione con altre culture, quindi di rigetto di diversità e multiculturalismo. Ha criticato le porte aperte dell’Europa all’immigrazione, musica per orecchie lepeniane, leghiste, orbaniste… Su queste simpatie reciproche egli però innesta un calcolo squisitamente politico.
La Russia ha pochi amici al potere in Europa? Li cerca nei movimenti di opposizione. I Governi europei e l’Ue gli mettono le sanzioni? Il Cremlino risponde lavorando ai fianchi populisti e nazionalisti delle loro democrazie. La Nato reagisce all’annessione della Crimea e alla crisi ucraina con una modesta rotazione di truppe alle frontiere con la Russia? Putin getta semi di zizzania in campo avversario, ergendosi a campione delle pulsioni anti-europee e anti-atlantiche. Tutte queste mosse rientrano scientemente nel quadro di una strategia d’interferenza a 360° in Europa e negli Stati Uniti.
Tutti gli Stati, da sempre, cercano di esercitare influenza all’estero con mezzi più o meno leciti. La Russia di Putin li ha perfezionati fino al punto d’incrinare i processi decisionali e il funzionamento delle istituzioni nei Paesi occidentali. Mosca non esita a entrare nei processi elettorali altrui con uso spregiudicato della disseminazione e falsificazione informatica. I casi clamorosi delle presidenziali americane del 2016 e del referendum britannico dimostrano quanto si estenda il braccio dell’interferenza russa. Quanto all’efficacia, fanno testo i risultati delle due consultazioni. Forse Donald Trump sarebbe stato ugualmente eletto; forse la maggioranza dei britannici avrebbe comunque votato per il Leave. Ma un po’ d’aiuto sotterraneo russo non ha guastato: i conti si fanno presto specie negli Stati americani dove una manciata di voti ha dato la vittoria a Trump.
L’appoggio russo a movimenti e partiti politici d’estrema destra non può essere disgiunto dalle altre pesanti ingerenze di Mosca nella politica interna di Paesi europei e occidentali. La genialità del Presidente russo sta infatti nell’aver capito che la vulnerabilità dell’Occidente e dell’Europa andava minata dall’interno molto più che attaccata o minacciata dall’esterno. Una volta individuato il tallone d’Achille il Presidente russo ha trovato nell’estrema destra europea, da Viktor Orbán a Marine Le Pen, utili compagni di viaggio. Non importa quanto consapevoli o meno. L’importante è il risultato. Nella forma mentis del Presidente russo creare divisioni all’interno dell’Europa e fra Europa e Stati Uniti serve a indebolire avversari e concorrenti. Per il Cremlino la “Russian connection” della destra populista e nazionalista in Europa è uno strumento di politica estera.
La politica estera post-sovietica di Mosca ha seguito una traiettoria a parabola. Dopo un periodo di cauto avvicinamento all’Occidente che è durato fino ai primi anni di Putin, la Russia torna su posizioni sempre più antagoniste. Il punto di svolta è il 2008: alla spinta americana per l’allargamento della Nato a Ucraina e Georgia, Mosca risponde con l’invasione della Georgia. Segue un periodo di relazioni altalenanti. Il barometro passa decisamente dal variabile al tempestoso con la crisi ucraina del 2014 innescata dall’opposizione russa all’accordo di cooperazione e partenariato di Kiev con l’Ue. Fino a quel momento si pensava che per Mosca il problema fosse la Nato, non l’Ue che non ha dispositivi militari. Diventa evidente che il fossato che si è andato scavando è più profondo e investe la sfera valoriale. L’Ue è contagiosa.
Negli schieramenti internazionali la Russia era rimasta a cavallo fra appartenenza eccentrica al G8 e la coltivazione di altre opzioni: quella euro-asiatica con l’Sco (Shangai Cooperation Organisation) e quella del fronte alternativo alla supremazia americana, rappresentato dagli “emergenti” Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). Il 2014 fa pendere decisamente il piatto della bilancia verso il secondo allineamento. Mosca lascia, espulsa, il G8 e svanisce ogni parvenza residua di cooperazione con Stati Uniti e Ue.
Oggi, il rapporto fra Mosca e Occidente non è guerra fredda, ma è tornato su posizioni fra l’antagonismo e il concorrenziale. La Russia punta a recuperare terreno nel mondo. Ci riesce magistralmente con lo spregiudicato intervento in Siria. Ma non è l’Urss. Non è in grado di lanciare una sfida globale all’Occidente. Ha perso dei pezzi, non ha più la leva ideologica del comunismo. Fa sponda con la Cina, ma il rapporto con Pechino è fortemente squilibrato a favore dei cinesi. Sarà sempre più così in futuro. Il mondo del XXI secolo si avvia verso un bipolarismo sino-americano. La Russia può aspirare al massimo a essere il terzo incomodo. Mosca siede al tavolo delle grandi potenze ma gioca la partita con una mano debole. Ha le testate nucleari, il petrolio e gas, ma un territorio enorme e una demografia calante.
Putin lo sa. Non vuole ripetere l’esperienza sovietica che ha svenato la nazione in una impari gara con gli Stati Uniti, sorretta da un Pil dello stesso ordine di grandezze di una Francia o di un’Italia. Deve pertanto compensare un’intrinseca debolezza con una guerriglia asimmetrica. Per reggere il confronto egli punta pertanto a indebolire l’avversario o gli avversari. A questo fine ogni mezzo è buono, dalla disinformazione agli attacchi informatici, dalle interferenze elettorali al sostegno ai movimenti politici che vogliono rompere il sistema messo in piedi dalle democrazie occidentali e contestano le organizzazioni multilaterali che ne sono espressione, quali Ue e la Nato. Questo il terreno in cui affonda le radici l’alleanza fra la Russia di Putin e il magma europeo populista, nazionalista e di estrema destra.
L’una e l’altro identificano il nemico nell’ordine liberale internazionale. Le motivazioni sono però diverse. Per l’estrema destra europea è un ostacolo interno in quanto puntella le forze politiche tradizionali di Governo nazionale, quel “centro”, sinistra o destra, che il populismo cerca di scalzare. Quando partiti di estrema destra si avvicinano al potere e cominciano a governare si trovano impigliati in una rete di lacci e lacciuoli extra-nazionali, imbastita dal sistema multilaterale. Pertanto, contestano il multilateralismo identificato innanzitutto nell’Unione Europea, seguita da Nato, Organizzazione mondiale del commercio, Consiglio d’Europa, ecc. L’Ue è senz’altro l’avversario principale perché sottrae sovranità nazionale − di per sé un anatema per i cultori della democrazia sovrana − e ha la capacità d’imporre limiti rigorosi, che siano di bilancio o di regole democratiche, libertà d’espressione e indipendenza giudiziaria.
In quasi tutta l’Europa occidentale i partiti di estrema destra sono oggi all’opposizione. Le brevi esperienze di Governo, della Lega in Italia e del Partito della Libertà Austriaco (Fpo) si sono fermate. La Lega è tornata all’opposizione, l’Fpo ha subito una forte retrocessione elettorale. Il Fronte Nazionale francese e l’Alleanza per la Germania (Afd) non hanno finora varcato la soglia della stanza dei bottoni. L’Ue non fa mistero di vedere nel populismo di estrema destra una minaccia esistenziale. Mosca tende la mano e offre solidarietà, esempio e comprensione. È difficile respingerla, anche se viene con la pesante ipoteca della subordinazione agli interessi nazionali sì, ma russi. Rimane da vedere quanto convenga alla Russia concimare i semi dei nazionalismi europei anziché cercar di gestire un rapporto maturo con l’Ue e con l’Occidente. Ai posteri l’ardua sentenza.
@stefostefanini
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
Puoi acquistare la rivista in edicola o abbonarti.
Indebolire i nemici e cercare appoggio nei partiti di estrema destra dell’Ue è la strategia di Putin per recuperare terreno nel mondo e seminare zizzania
Non ci sono dubbi sull’attrazione che il Presidente russo esercita sulla galassia populista e di estrema destra in Europa. Le simpatie sono reciproche ma il rapporto è sbilanciato al di là di una certa affinità culturale e politica. Sul versante movimentista c’è soprattutto molta ammirazione, forse l’invidia di alcuni leader (“ah, potessimo fare come Putin…”). Su quello russo c’è soprattutto politica estera. Il collante è una tattica comunanza d’interessi, essenzialmente rivolta contro un nemico comune: “l’ordine liberale internazionale”. E, come noto, i nemici del mio nemico sono i miei amici. Ma l’alleanza poggia su sabbie mobili.