Dopo cinque anni, Putin accusa un calo di popolarità nella penisola. Una delle molte cause, l’isolamento economico causato dalle sanzioni occidentali
Sono passati più di cinque anni da quel marzo 2014 che ha drasticamente trasformato il corso della politica internazionale e, in maniera altrettanto significativa, il destino della politica russa e della penisola di Crimea. Il tutto, come sappiamo, era iniziato con le proteste in piazza Indipendenza a Kiev (il famoso Majdan Nezaležnosti), in Ucraina, che nella loro fase finale segnata dal sangue avevano portato alla fuga del Presidente e a un periodo di caos istituzionale, sfruttato dal Cremlino per annettersi la penisola.
Il ‘ritorno a casa’, come viene comunemente definita l’annessione dalle autorità russe, ha così marcato un punto di non ritorno nella storia contemporanea. A cinque anni di distanza, se la crisi di Crimea continua a dividere la Russia e l’Occidente, il suo effetto iniziale sulla stabilità domestica del regime di Putin sembra destinato a scemare.
Anche se per la maggioranza dei membri della comunità internazionale la Crimea rimane, de jure, territorio facente parte dell’Ucraina sotto momentanea occupazione, de facto anno dopo anno la penisola è stata progressivamente integrata nelle strutture istituzionali della Federazione Russa. I due vettori principali che hanno contraddistinto la russificazione sono stati quello economico e quello sociale. Da una parte la Crimea è ormai pienamente sotto la giurisdizione russa e tutti i cittadini residenti nel marzo 2014 sono diventati di fatto cittadini russi tramite procedure agevolate di concessione della cittadinanza che ha portato all’emissione di circa due milioni di passaporti. Oggi la cittadinanza russa è, infatti, non solo un elemento fondamentale per accedere a tutta una serie di misure sociali (per esempio il pagamento delle pensioni), ma anche un’informale salvaguardia contro misure discriminatorie da parte delle autorità.
Il secondo vettore di russificazione è stato quello economico. Dopo la sua annessione, la penisola è diventata il principale destinatario di fondi statali e di sovvenzioni della Federazione Russa. Circa il 70% del suo budget è coperto da sussidi provenienti dal Governo centrale di Mosca, che continua a drenare miliardi di rubli dalle altre regioni russe, colpite nel frattempo dalla recessione economica. Staccata dalle principali arterie di rifornimento di acqua ed elettricità che provenivano dall’Ucraina, la Crimea è ora totalmente dipendente da Mosca. Tra i principali progetti, ad esempio, sono stati realizzati negli ultimi anni due centrali elettriche a Sebastopoli e Simferopoli oltre a una serie di impianti idrici capaci di mitigare, almeno in parte, la crisi provocata dall’interruzione dei rifornimenti decisa da Kiev. Sullo sfondo, da ricordare, la costruzione del ponte sullo stretto di Kerč’, che lega non solo economicamente ma anche simbolicamente la Crimea alla Russia.
Sul piano internazionale l’annessione ha significato una cesura importante nei rapporti tra la Russia, l’Ucraina e i partner occidentali. La crescente tensione e militarizzazione dell’area del Mar Nero, sostanziata nei fatti dal limitato scontro navale tra la marina russa e navi ucraine dello scorso novembre, rappresenta, insieme alla guerra nel Donbass, un nuovo, pericoloso, capitolo delle relazioni internazionali.
Le sanzioni, introdotte nei mesi successivi a quella che la comunità internazionale occidentale continua a definire come la più grande violazione del diritto internazionale e delle regole dei rapporti fra Stati, continuano a rimanere il principale caposaldo della politica di Bruxelles e Washington nei confronti di Mosca, nonostante i mal di pancia di alcune forze politiche degli Stati membri dell’Unione Europea. Seppure con un impatto meno diretto e deciso di quello che in molti si aspettavano, le sanzioni − in concomitanza con il calo del prezzo del greggio − hanno comunque sferrato un duro colpo all’economia russa. Nonostante la recente debolissima ripresa, alcuni studi dimostrano come l’economia russa abbia perso almeno il 10% del proprio potenziale rispetto alla situazione del 2013. Le sanzioni, inoltre, hanno avuto un impatto decisamente negativo sul clima finanziario, causando una drastica diminuzione di investimenti diretti esteri non solo in Crimea, ma anche nel resto della federazione.
Le conseguenze, ovviamente, si sono fatte sentire soprattutto nelle tasche dei cittadini. Sebbene proprio in Crimea i salari siano aumentati dopo l’annessione per adeguarli alla media nazionale, si tratta di un innalzamento solo nominale. Nella penisola cosi come nel resto della federazione il reddito medio reale rimane stagnante, l’inflazione continua a crescere e una serie di impopolari riforme (come l’aumento dell’età pensionabile) sono destinate a colpire ulteriormente le fasce più deboli della popolazione.
Non dovrebbe sorprendere, così, che a cinque anni di distanza il sentimento popolare che aveva accolto l’annessione della penisola con rinato orgoglio e fervore patriottico, cominci lentamente a scemare. Il prezzo dell’azzardo geopolitico, infatti, si sta ora dimostrando sempre più alto, non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello politico. Quel nuovo “contratto sociale” tra il Cremlino e la società che ha caratterizzato la seconda fase del regime di Putin sembra lentamente sgretolarsi. Giocando sul ricordo − ancora vivo – della dissoluzione dell’Unione Sovietica e delle difficoltà sociali degli anni Novanta, infatti, in cambio di sostegno politico totale le autorità avevano promesso la stabilità sociale e la restituzione di quell’orgoglio nazionale basato sul rinnovato ruolo di grande potenza della Russia.
L’annessione della Crimea aveva segnato il punto massimo di questo “contratto sociale”, simbolicamente espresso dall’aumento vertiginoso del supporto popolare nei confronti del Presidente, con il picco massimo dell’86%. Quello basato sull’avventurismo in politica estera sembra però oggi un consenso sempre più precario. Mentre secondo alcuni recenti sondaggi la percentuale di quelli che pensano che l’annessione sia stata più un fattore positivo che negativo per la Russia è scesa dal 67% del 2014 al 39% di oggi, anche la popolarità di Putin stesso sembra in costante calo. Infatti il tasso di approvazione per il Presidente russo è ai minimi storici con il 64%. Anche se questi numeri hanno un significato piuttosto relativo e, se paragonati al tasso di supporto per i leader nelle democrazie europee, possono sembrare tutt’altro che negativi, nel contesto russo evidenziano simbolicamente l’inizio della fine della luna di miele tra regime e società iniziata con il “ritorno a casa” della penisola strappata all’Ucraina.
Tra le mura del Cremlino iniziano a guardare con crescente preoccupazione al ritorno di un periodo di forte contestazione sociale e proteste di massa che hanno caratterizzato la prima parte della seconda fase di Vladimir Putin alla guida del Paese (2012-2013). Con la stagnazione economica, il calo dell’efficacia della retorica anti-occidentale e il crescente ricorso alla forza da parte delle autorità per placare manifestazioni di dissenso che per ora sono soprattutto di carattere locale (come questioni ambientali o le elezioni per la Duma della città di Mosca), a cinque anni di distanza l’effetto stabilizzante per il regime dell’annessione della Crimea sembra giunto al capolinea. La nuova fase della politica russa che accompagnerà il Paese alla fine del mandato presidenziale di Vladimir Putin nel 2024, potrebbe essere caratterizzata da una crescente tensione tra regime e società.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.
Puoi acquistare la rivista in edicola o abbonarti.
Dopo cinque anni, Putin accusa un calo di popolarità nella penisola. Una delle molte cause, l’isolamento economico causato dalle sanzioni occidentali
Sono passati più di cinque anni da quel marzo 2014 che ha drasticamente trasformato il corso della politica internazionale e, in maniera altrettanto significativa, il destino della politica russa e della penisola di Crimea. Il tutto, come sappiamo, era iniziato con le proteste in piazza Indipendenza a Kiev (il famoso Majdan Nezaležnosti), in Ucraina, che nella loro fase finale segnata dal sangue avevano portato alla fuga del Presidente e a un periodo di caos istituzionale, sfruttato dal Cremlino per annettersi la penisola.