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A 45 anni dalla rivoluzione, il Sandinismo è più isolato che mai


Venerdì 19 luglio ricorrono le celebrazioni per il 45esimo anniversario della vittoria del Sandinismo in Nicaragua. Ma il governo di Daniel Ortega è sempre più isolato dalle sanzioni internazionali e dalla feroce repressione delle opposizioni.

Il 19 luglio del 1979, i guerriglieri del Frente Sandinista de Liberación Nacional (FSNL) entrarono vittoriosi a Managua, la capitale del Nicaragua, ponendo fine a quarant’anni di dittatura sanguinosa portata avanti dalla famiglia Somoza, al potere dal 1936 col sostegno degli Stati Uniti. Prese il via in quegli anni uno dei processi più seguiti della storia latinoamericana: il sandinismo si incaricò di portare avanti riforme ed interventi radicali inediti in Centroamerica, dall’alfabetizzazione di massa all’estensione della sanità, un tentativo di riforma agraria e il consolidamento del sistema educativo.

Il Nicaragua era allora esempio e speranza della sinistra latinoamericana e internazionale, e agli sgoccioli della Guerra Fredda, rappresentava una sfida inaccettabile all’egemonia degli Usa nella regione, che reagì col finanziamento e addestramento dei famosi Contras, gruppi paramilitari ingaggiati per rovesciare il governo sandinista. La guerra civile durò fino al 1990, quando Violeta Chamorro, col suo partito Unión Nacional Opositora, anch’esso finanziato dagli Usa, vinse le elezioni, e succedette proprio a Daniel Ortega, che tra il 1985 e il 1990 ebbe il suo primo periodo come presidente della repubblica.

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