L’Argentina ha legalizzato l’aborto: è svolta storica
L'approvazione in Argentina della legge pro-aborto è un successo per le donne del Paese e una spinta per la causa femminista in tutta l’America Latina, a partire dal Cile
L’approvazione in Argentina della legge pro-aborto è un successo per le donne del Paese e una spinta per la causa femminista in tutta l’America Latina, a partire dal Cile
Lo scorso 30 dicembre, dopo dodici ore di discussione parlamentare, il Senato argentino ha approvato a maggioranza – 38 a favore, 29 contrari, 4 astenuti – la legge che rende legale l’aborto, entro la quattordicesima settimana di gravidanza. L’Argentina entra così nella ristretta lista dei Paesi latino-americani (insieme a Uruguay, Cuba, Guyana francese, Puerto Rico e alcune regioni del Messico) che riconosce tale diritto, indipendentemente dalla causa della gravidanza. Insieme all’interruzione volontaria della gravidanza, è stata approvata la ‘legge dei mille giorni’, che assicura sostegno medico ed economico per tre anni alle madri che, in situazioni di vulnerabilità economica, decidono di portare avanti la gravidanza.
Per Buenos Aires, si tratta di una vera innovazione. Nel 2018, infatti, un simile disegno di legge era stato respinto dalla Camera Alta, nonostante la mobilitazione poderosa del movimento dei fazzoletti verdi, simbolo del femminismo latino-americano. L’opposizione all’aborto era trasversale tra i peronisti e il centro-destra di Macrì e rifletteva l’opinione di una parte della società argentina, conservatrice e cristiana, soprattutto delle province del nord del Paese. Ma qualcosa è cambiato negli ultimi due anni.
Innanzitutto, il numero degli aborti illegali non è diminuito. Si stimavano tra 350mila e 500mila aborti clandestini nel 2005, dato non dissimile a quello attuale, secondo il Ministero della Salute. E solo nel 2018, trentacinque donne sono morte a causa di aborti illegali. Numeri che fanno il paio con i dati della Organizzazione mondiale della Sanità, secondo i quali i Paesi che hanno adottato leggi pro-aborto negli anni ’70 e ’80, accompagnate a campagne di informazione e alla diffusione di metodi contraccettivi, hanno tassi di interruzione di gravidanza più bassi rispetto ai Paesi privi di tali leggi.
Un voto storico
Ma, a parte i numeri, tre sembrano essere i fattori determinanti che hanno portato al voto storico di fine 2020. Innanzitutto, il ruolo chiave del Presidente peronista Alberto Fernández, che ha fama di mediatore, ma ha fatto sua la causa pro-aborto già durante la campagna elettorale e ha svolto un ruolo di moral suasion in Parlamento.
Il tema ha rimescolato gli schieramenti politici e le posizioni col tempo sono mutate. Un esempio è nella dichiarazione di voto di Gladys González, senatrice di Juntos por el cambio, in maggioranza su posizioni antiabortiste, che dichiarando il suo voto a favore, ha raccontato di aver perso la sua gravidanza nel 2018, due giorni dopo aver votato a favore della legalizzazione dell’aborto. “Ho pensato fosse una punizione di Dio per il mio voto’’ ha detto, accusando la Chiesa Cattolica di diffondere questo senso di colpa nelle donne. Mentre la ex Presidente Cristina Kirchner ha cambiato il suo voto rispetto al 2018, perché “mia figlia mi ha convinto’’ ha spiegato.
Ma la vera spinta al cambiamento è arrivata dalle centinaia di migliaia di donne, con i loro fazzoletti verdi, che aspettavano il verdetto con gli occhi fissi sugli schermi montati nelle strade di Buenos Aires. La marea verde è stata l’impulso principale per il potere legislativo, e più in generale per il cambio nell’opinione pubblica argentina: il sostegno all’aborto in precise circostanze è passato dal 64% al 75% tra il 2014 e il 2020, secondo i dati IPSOS di novembre scorso.
Non sono mancate aspre critiche all’approvazione della legge, soprattutto da parte delle chiese. La Conferencia Episcopal Argentina ha affermato che “aumenteranno le divisioni nel Paese’’ ed elogiato i parlamentari che “coraggiosamente hanno votato a favore della tutela di tutte le forme di vita’’. Gli ha fatto eco la Alianza Cristiana delle Chiese Evangeliche: “L’Argentina retrocede di vari secoli nella civilizzazione e nel rispetto al diritto fondamentale alla vita’’. Papa Francesco, vicino al Governo peronista, ha fatto ricorso alla sua formazione gesuita per evitare le polemiche: “I cristiani, come tutti i credenti, benedicono Dio per il dono della vita. Vivere è innanzitutto aver ricevuto la vita’’ ha dichiarato a margine dell’approvazione della legge nel suo Paese.
Il caso del Cile
Il caso argentino ha una valenza che travalica i confini nazionali, può dare forza ai fazzoletti verdi di tutta la regione, segnala un documento del gruppo di lavoro dell’Onu sulla condizione della donna.
Il Cile è il primo Paese dove si può vedere questo effetto di spinta. Lì, infatti, è in corso la redazione della nuova Costituzione e l’aborto attualmente è consentito solo per tre cause: violenza sessuale, rischio per la vita della madre, difetti congeniti nel feto che portano alla morte del nascituro. Anche in Cile, gli aborti clandestini sono una realtà rilevante: 300mila nel 2015, secondo le stime della Ong Corporacion Miles. E anche in quel Paese esiste un movimento femminista forte e creativo, che si fece conoscere nel novembre 2019 con il flash mob ‘Un violador en tu camino’ del collettivo di Valparaiso Las Tesis, poi replicato e tradotto in tutto il mondo. O ancora con la oceanica manifestazione dell’8 marzo 2020 che portò centinaia di migliaia persone in piazza, quasi esclusivamente donne. Sono loro che adesso, sentendosi, ancora più forti della vittoria femminista argentina, non vogliono perdere l’occasione del momento costituente che vive il Cile.
Lo scorso 30 dicembre, dopo dodici ore di discussione parlamentare, il Senato argentino ha approvato a maggioranza – 38 a favore, 29 contrari, 4 astenuti – la legge che rende legale l’aborto, entro la quattordicesima settimana di gravidanza. L’Argentina entra così nella ristretta lista dei Paesi latino-americani (insieme a Uruguay, Cuba, Guyana francese, Puerto Rico e alcune regioni del Messico) che riconosce tale diritto, indipendentemente dalla causa della gravidanza. Insieme all’interruzione volontaria della gravidanza, è stata approvata la ‘legge dei mille giorni’, che assicura sostegno medico ed economico per tre anni alle madri che, in situazioni di vulnerabilità economica, decidono di portare avanti la gravidanza.
Per Buenos Aires, si tratta di una vera innovazione. Nel 2018, infatti, un simile disegno di legge era stato respinto dalla Camera Alta, nonostante la mobilitazione poderosa del movimento dei fazzoletti verdi, simbolo del femminismo latino-americano. L’opposizione all’aborto era trasversale tra i peronisti e il centro-destra di Macrì e rifletteva l’opinione di una parte della società argentina, conservatrice e cristiana, soprattutto delle province del nord del Paese. Ma qualcosa è cambiato negli ultimi due anni.
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