Il 40% della popolazione africana vive ancora senza accesso all’acqua potabile, e l’urbanizzazione e il cambiamento climatico minacciano la già limitata disponibilità idrica. Alcuni paesi africani stanno avviando un percorso di miglioramento, registrando progressi sostanziali nella gestione e distribuzione
Sebbene i Paesi africani si stiano impegnando per migliorare i sistemi di gestione delle risorse idriche, più del 40% della popolazione vive ancora senza accesso all’acqua potabile. Le criticità sono aggravate dai crescenti conflitti dovuti alla competizione per le risorse naturali, con tensioni che coinvolgono tutti gli strati della società. In tale contesto, unitamente all’esponenziale aumento demografico che l’Africa conoscerà di qui al 2050 (anno in cui la popolazione del continente raggiungerà quota 2,5 miliardi), fenomeni come l’urbanizzazione e il cambiamento climatico stanno mettendo a repentaglio la già limitata disponibilità di acqua, ridotta anche dall’alterazione dei cambiamenti dei cicli idrologici, dagli squilibri di temperatura, dall’evapotraspirazione e da sempre più frequenti eventi climatici che mettono sotto pressione i sistemi idrici, palesando l’insostenibilità dei numerosi insediamenti. La pandemia ha poi esacerbato lo scenario, ampliando le disuguaglianze e riducendo gli investimenti dei governi nel settore a causa delle contrazioni economiche.
In molte aree urbane, per via della mancanza cronica di infrastrutture idriche, più della metà della popolazione non ha altra alternativa che utilizzare fonti d’acqua comuni come tubi, pompe o pozzi, spesso ostruiti da rifiuti non correttamente raccolti e costruiti con materiali scadenti, purtroppo non adeguati a rispettare standard igienico-sanitari che consentano di evitare contaminazioni delle falde. Infrastrutture carenti e assenza di processi di depurazione rendono peraltro dannosi anche i metodi alternativi di approvvigionamento, come la raccolta d’acqua piovana, con conseguenze sia dal punto di vista sanitario e sociale, sia in termini di aumento delle disuguaglianze e delle vulnerabilità.
La mancanza di fondi è chiaramente uno degli ostacoli principali. Nonostante i molti annunciati impegni di aiuto internazionale, la consistenza degli investimenti governativi e pubblico-privati a favore del settore idrico è ancora impalpabile, e il deficit infrastrutturale continua ad ostacolare lo sviluppo sociale. Altro ostacolo evidente è un’amministrazione dei territori spesso inefficiente, e senza dubbio non capace di apportare miglioramenti nel settore: la miope gestione del territorio ha portato a creare insediamenti urbani su terreni non pronti ad accoglierli, con conseguenti rischi sanitari (assenza di fogne) e di sicurezza (mancanza di approvvigionamento idrico). In diversi paesi africani, le politiche idriche ed igienico-sanitarie, benché definite a livello nazionale, mancano di un’attuazione concreta a livello locale, poiché le peculiarità dei singoli territori vengono spesso ignorate a causa di un quadro decisionale non chiaro.
Inevitabilmente, tale situazione può facilmente condurre a tensioni sociali di ampia portata, non soltanto incrementando il malcontento nei confronti delle autorità, ma anche consentendo a fornitori e venditori informali di sostituirsi alle autorità pubbliche e colmare così le lacune dell’approvvigionamento idrico: già oggi, metà della popolazione urbana africana si affida a fornitori di questo tipo, non autorizzati o talmente piccoli da rendere il contesto eccessivamente frammentato, favorendo al contempo fenomeni come una diffusa corruzione, la perforazione illegale di pozzi – con conseguente sovra-estrazione –, rivendita illecita di acqua e controllo di qualità pressoché assente. Se, da un lato, si compromette la redditività del servizio pubblico, dall’altro si consente l’arricchimento smisurato di nuovi “mercanti dell’acqua”, incapaci di fornire garanzie sul prodotto sia a breve che a lungo termine.
A livello demografico, occorre infine evidenziare che gli impatti negativi della cattiva gestione della risorsa idrica riguardano soprattutto le donne, su cui solitamente ricade l’onere di occuparsi della raccolta e dello stoccaggio di acqua per uso domestico, sovente situata lontano dagli insediamenti. Alto è dunque il rischio di subire aggressioni e abusi, mentre concreta è l’impossibilità di dedicarsi a studio o occupazioni retribuite per via del molto tempo necessario a svolgere tali compiti. Per quanto critico questo scenario possa sembrare, alcuni paesi hanno da poco intrapreso un percorso virtuoso di miglioramento, registrando progressi sostanziali nella gestione e distribuzione.
In Egitto, il governo ha adottato politiche di rigorosa conservazione dell’acqua per preservare la risorsa del fiume Nilo, da cui il paese dipende fortemente. Il governo ha incoraggiato lo sfruttamento di risorse non convenzionali, come il riutilizzo delle acque reflue trattate per l’irrigazione, e la desalinizzazione dell’acqua di mare per soddisfare sia il fabbisogno agricolo che quello personale. Con l’obiettivo di raggiungere l’accesso universale all’acqua, attraverso il Fondo Sovrano dell’Egitto, è stato poi avviato un nuovo progetto idrico che prevede la costruzione di 21 impianti di desalinizzazione con investimenti superiori a 3 miliardi di dollari.
Altri progressi significativi si rilevano in Costa d’Avorio grazie al programma “Water for All“, che ha permesso lo sviluppo di infrastrutture di raccolta, produzione e distribuzione. Per garantire l’approvvigionamento idrico nelle località non ancora servite, sono state costruite anche pompe manuali negli insediamenti informali e impianti idrici nelle aree urbane.
A Maputo, in Mozambico, in seguito alla decisione del governo di interrompere la fornitura diretta di acqua alle aree periurbane, sono state invece introdotte misure di sostegno per consentire ai residenti di saldare i propri debiti piuttosto che semplicemente interrompere l’erogazione dell’acqua.
Ulteriori politiche d’impatto sono state introdotte in Kenya, dove la Contea di Nairobi ha avviato un processo di digitalizzazione delle infrastrutture, adottando una normativa locale in forza della quale i residenti pagheranno l’acqua a consumo. L’implementazione di contatori digitali permetterà di monitorarne più facilmente l’utilizzo, oltre che sprechi e perdite, andando a beneficio dei consumatori. Con un controllo più accurato del consumo idrico, sarà anche possibile individuare e interrompere gli allacci illegali alle reti, pratica molto diffusa in tutta l’Africa.
La mancanza di infrastrutture rigide, del resto, può costituire un vantaggio: non soltanto le autorità locali possono costruire infrastrutture digitali più moderne e adeguate alle esigenze dei cittadini, ma i nuovi insediamenti urbani – sempre più numerosi – hanno la possibilità di progettare fin da subito un sistema idrico efficiente, performante e flessibile, bypassando le rigidità tipiche di sistemi datati. Nel complesso, è dunque necessario adoperare soluzioni che, grazie ai vantaggi della tecnologia digitale e ingegneristica, portino benefici ai cittadini, siano remunerative per le imprese incaricate di eseguire i lavori, riducano i costi di gestione e siano energeticamente sostenibili.
Il margine di azione, in tal senso, è incoraggiante: a fronte di una domanda elevata di acqua e di un’offerta fortemente deficitaria, occorre rendere sfruttabili le numerose falde acquifere inutilizzate presenti nel continente, permettendo alle comunità locali di vivere sul proprio territorio senza avere la necessità di migrare per migliorare la propria qualità di vita. Le opportunità di investimento sono, in definitiva, dietro l’angolo.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di gennaio/marzo di eastwest
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