“Uniformare le leggi elettorali europee è un tassello fondamentale per far avanzare l’integrazione europea.” Come e perché, lo spiega il fondatore di Volt
Le liste transnazionali sono state il desiderio di molti europeisti per gran parte della scorsa legislatura europea. L’idea di poter votare candidati di ogni nazionalità in una lista unica al Parlamento Europeo faceva brillare gli occhi a chi continua a sperare in una maggiore integrazione europea. Almeno nel progetto iniziale, questa lista sarebbe andata a rimpiazzare i seggi dei parlamentari inglesi (si credeva ancora che la Brexit fosse cosa fatta).
La proposta era nata nel 2017, su iniziativa dell’allora sottosegretario agli Affari Europei Sandro Gozi, ed è supportata da Macron, dal Governo spagnolo e da diverse altre voci. Data l’(im)prevista uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, si pensò di affidare 43 dei 73 scranni inglesi a una circoscrizione europea, una lista unitaria da Lisbona a Varsavia, da Atene a Stoccolma. L’obiettivo? Avvicinare i cittadini alle istituzioni europee, dando la possibilità di votare sia per i propri partiti nazionali che per personalità di spicco dei gruppi europei in questa super-circoscrizione.
Il progetto di legge per rendere possibili le liste transnazionali è stato però affossato dalla bocciatura dei popolari europei, i quali hanno guidato l’opposizione alle liste transnazionali, culminata a Strasburgo il 7 febbraio 2018.
Nonostante questo voto abbia infranto i sogni degli europeisti, è bene riflettere anche sulle possibili conseguenze negative che la proposta avrebbe portato.
Questo progetto avrebbe aumentato la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini nel progetto europeo, ma avrebbe invece aggiunto uno strato di incertezza e complessità alle elezioni europee, per almeno due ragioni. La prima è che lo spazio politico europeo è ancora fortemente delineato dalla lingua di origine. Per poter attrarre un numero significativo di voti e comunicare facilmente con gli elettori, i personaggi di spicco di queste liste sarebbero stati probabilmente tedeschi (100 milioni di europei parlano tedesco), francesi (80 milioni), italiani, o al massimo spagnoli o polacchi. In poche parole, i grandi Paesi dell’Unione. Anche qualora un candidato avesse fatto campagna prevalentemente nella lingua di Shakespeare, bisogna ricordarsi che solamente il 51% circa degli abitanti dell’Unione Europea capisce l’inglese. Tra l’altro, immaginare un candidato svedese che parla inglese strappare voti a un candidato spagnolo in Spagna mi risulta difficile. In poche parole, la maggior parte dei cittadini dell’Ue non avrebbe facilmente trovato una rappresentanza e c’era il rischio che questa riforma avrebbe potuto creare un ulteriore iato tra le istituzioni e i suoi cittadini.
In secondo luogo, non esistono circoscrizioni così vaste in nessuna elezione parlamentare principalmente perché il ruolo di un parlamentare è quello di rappresentare una comunità di cittadini, facendosi voce delle loro esigenze e richieste. Un parlamentare con il mandato di rappresentare 500 milioni di persone senza una lingua comune e con culture anche profondamente diverse non ha alcuna possibilità di mantenere un vero contatto con i propri elettori.
Nonostante queste considerazioni, molti europeisti non sbagliavano: l’esistenza di liste transnazionali avrebbe avuto effetti positivi. Perché? L’Unione Europea nacque (con forme e nomi differenti) dopo la Seconda Guerra Mondiale, dalla forza di una speranza che unì i figli, padri, nonni e bisnonni: la pace. Un’incredibile energia e un’incredibile voglia di cambiamento unirono un’intera generazione nella creazione di un esperimento politico mai provato prima. Oggi, quell’energia è totalmente scomparsa, la pace e la stabilità sono date per scontate, e le nuove generazioni non sognano l’Europa del futuro. Seppur in modo imperfetto, la creazione di liste transnazionali avrebbe potuto ricominciare ad alimentare nell’immaginario comune il sogno europeo – esattamente come molte altri imperfetti aspetti del progetto europeo hanno contribuito a costruire la base per il futuro di questo continente (pensiamo a un Parlamento Europeo senza iniziativa legislativa, o ad una moneta unica senza un’unione bancaria a supportarla).
Proprio per questo, non dobbiamo fermarci qui. Riformare le leggi elettorali europee è un tassello fondamentale per far avanzare l’integrazione europea. Propongo due idee per rilanciare il dibattito sul tema.
Innanzitutto, bisognerebbe pensare a un’unica legge elettorale per il Parlamento Europeo. La totale mancanza di uniformità e coerenza tra le varie leggi elettorali degli Stati membri per le elezioni europee è quasi paradossale. L’ho provato sulla mia pelle: ho iniziato la campagna elettorale con Volt (il primo partito progressista paneuropeo, di cui sono Presidente) in 15 Paesi, e dopo incredibili sforzi e battaglie siamo riusciti a essere presenti sulla scheda elettorale solamente in 8 di essi. Il motivo? Per partecipare alle elezioni europee in Germania bastano 4000 firme e non esiste soglia di sbarramento – infatti, con lo 0.7% abbiamo eletto il nostro primo parlamentare europeo. Allo stesso tempo, in Olanda non vengono richieste firme, ma bisogna raccogliere quasi il 4% dei voti per eleggere un parlamentare europeo. Infine, in Italia vengono richieste 150.000 firme autenticate da un notaio o simile figura professionale, e anche se un partito riuscisse a farlo, dovrebbe poi superare la soglia del 4% per eleggere dei parlamentari europei. In poche parole, per essere eletti nello stesso parlamento, ogni nazione ha requisiti diversi, e così partiti che in Germania raccolgono meno dell’1% dell’elettorato sono rappresentati, mentre un partito che si ferma al 4.9% in Francia (dove c’è una soglia di sbarramento al 5%), no. È fondamentale eliminare questa enorme distorsione della rappresentanza democratica.
Una volta riformate le leggi elettorali, dovremmo occuparci di far avvicinare realmente i parlamentari europei ai cittadini, per colmare quel vuoto esistente tra cittadini e istituzioni europee. Come? Una possibilità è creare un sistema elettorale che dia due voti a ogni cittadino europeo: uno, per eleggere parlamentari che abbiano una chiara circoscrizione (di dimensione eguale) di riferimento, e quindi dei cittadini a cui rendere conto (oggi purtroppo in molti Paesi si vota con una lista unica nazionale, e quindi i parlamentari non hanno una circoscrizione di riferimento) e un secondo, che sia invece sì nazionale e vada ai partiti, per premiare quelle forze politiche che hanno seguito ma non abbastanza da “vincere una circoscrizione” in un modello “uninominale secco” all’inglese e rendere il parlamento più rappresentativo.
Queste sono solo alcune delle proposte che si potrebbero esplorare. Per quanto sembri ambiziosa, non bisogna abbandonare l’idea di una riforma sostanziale delle leggi elettorali europee. Il sistema attuale spesso privilegia le forze politiche già affermate a livello nazionale, e continua a dividere lo spazio politico europeo in base a interessi puramente nazionali (a proposito, molto interessante che in Italia vengano richieste più firme per partecipare alle europee che alle elezioni politiche, quando le prime sono molto meno sentite e hanno meno partecipazione). I rappresentanti di Volt, a partire dal nostro primo europarlamentare, si batteranno per assicurarsi che questo tema torni in alto all’agenda politica di questo continente.
Il progetto europeo ha bisogno di nuovi impulsi ed energie, e rendere la democrazia – prima ancora che le liste – transnazionale potrebbe essere quello di cui questa Unione Europea, tanto bistrattata quanto fondamentale, ha bisogno.
@Venzon_Andrea
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di luglio/agosto di eastwest.
Puoi acquistare la rivista in edicola o abbonarti.
“Uniformare le leggi elettorali europee è un tassello fondamentale per far avanzare l’integrazione europea.” Come e perché, lo spiega il fondatore di Volt