In un panorama ingessato tra europeisti e sovranisti, Volt propone un solo partito paneuropeo, per rafforzare il senso di comunità dei cittadini della Ue
Questo articolo è stato pubblicato sul numero di maggio/giugno di eastwest.
Il 19 settembre del 1946 Winston Churchill tenne un discorso all’Università di Zurigo, in Svizzera, che fece storia. “Se un giorno l’Europa si unisse per condividere questa eredità comune, non vi sarebbero limiti alla felicità, alla prosperità e alla gloria di cui godrebbero i suoi tre o quattrocento milioni di abitanti. Eppure è dall’Europa che è scaturita quella serie di spaventosi conflitti nazionalistici”. La conclusione di quel ragionamento fu: se vogliamo vivere in pace e in libertà, “dobbiamo costruire una sorta di Stati Uniti d’Europa”. È una meta ancora lontana. Lo scorso febbraio, più di settant’anni dopo, il Primo Ministro dei Paesi Bassi Mark Rutte ha parlato alla stessa università di Churchill. Lo spessore dei due oratori non è ovviamente paragonabile e il contesto è cambiato – per quanto delle somiglianze si potrebbero trovare –, però anche dal discorso di Rutte è emersa la necessità di un’Europa unita e solida contro le sfide del nuovo mondo multipolare. Rutte ha insistito soprattutto sull’importanza di adottare un approccio più pratico e meno naïf – “potere non è una parolaccia” – in politica estera, altrimenti l’Unione Europea non avrà rilevanza nell’arena geopolitica. Ma ha anche ripetuto che l’unità è indispensabile per garantire stabilità e sicurezza a tutti gli Stati membri.
Di questi tempi, tra Brexit e nazionalismi vari, il discorso di Rutte è stato immediatamente interpretato come un manifesto elettorale. Che deciderà o meno di candidarsi alla posizione di Juncker o di Tusk – lui nega –, l’Unione prosegue intanto il suo cammino verso le elezioni del 23-26 maggio. Secondo le previsioni, il Partito popolare (centro-destra) e l’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici (centro-sinistra) perderanno per la prima volta la maggioranza al Parlamento. Il calo dei popolari e, soprattutto, dei socialisti potrebbe però venire bilanciato dalla crescita dei liberali dell’ALDE, che garantirebbe la sopravvivenza e la superiorità numerica della coalizione europeista. Ci si aspetta un aumento dei seggi per l’estrema destra euroscettica dell’Europa delle nazioni e della libertà (il gruppo di cui Matteo Salvini era vicepresidente), ma nel complesso le forze sovraniste non dovrebbero riuscire a sfondare.
Secondo Bruxelles, le elezioni di maggio saranno le più importanti nella storia del Parlamento Europeo, visto il “contesto politico” in cui si inseriscono. Il riferimento è ai tanti partiti di estrema destra in ascesa nei singoli Paesi europei – Rassemblement National in Francia, AfD in Germania, Vox in Spagna, e così via –, che però sembrano fare fatica a costruire una larga coalizione internazionale. La difficoltà sta nel trovare una sintesi comune alle singole prese di posizione sui vari temi, che non è raro differiscano più che coincidere, a cominciare proprio dal grado di scetticismo nei confronti dell’Europa. “Sovranismo” è del resto un termine molto vago che ognuno declina un po’ a suo piacimento: e infatti la Lega di Salvini non è riuscita a legare con Diritto e Giustizia in Polonia, mentre il Movimento 5 Stelle aveva messo su un’alleanza variegatissima e priva di un’ideologia comune prima di iniziare a corteggiare i gilet gialli.
Non sono mancati esperimenti di aggregazione dall’altro lato dello spettro politico, basti pensare al progetto “Per un Rinascimento europeo” di Emmanuel Macron. L’appello forse più noto in Italia, quantomeno per il forte protagonismo del suo promotore, è quello dell’ex-ministro Carlo Calenda e del suo manifesto “Siamo Europei”. L’obiettivo era la creazione di una lista unica che comprendesse tutti i partiti europeisti, con la quale presentarsi alle elezioni di maggio e scongiurare “il rischio concreto di un’involuzione democratica nel cuore dell’Occidente”, vale a dire una maggioranza sovranista e autoritaria in Parlamento. I sondaggi assegnano alla lista di Calenda – alla quale ha aderito il Partito Democratico – una quota di consensi intorno al 20%.
Il progetto senza dubbio più originale è però Volt, un movimento non soltanto europeista ma addirittura paneuropeo: ambisce ad essere cioè il primo partito transnazionale d’Europa, e infatti si presenterà alle elezioni di maggio con lo stesso programma in tutta l’Unione. Nasce nel marzo 2017 come forma di reazione alla vittoria del Leave nel Regno Unito su iniziativa di tre ragazzi poco più che ventenni: Colombe Cahen-Salvador, francese; Damian Boeselager, tedesco; e Andrea Venzon, italiano, che è il Presidente. È guidato da giovanissimi e fa presa soprattutto sugli under-35, ma la vera peculiarità di Volt sta nel voler essere contemporaneamente locale e internazionale. Come spiegato più volte da Venzon, anche in una precedente intervista su Eastwest.eu, le regole dell’Unione impediscono la creazione di partiti “europei”. In altre parole, ogni Stato membro ha i propri partiti, che poi al Parlamento Europeo si uniscono ai partiti di altre nazioni e formano dei gruppi, peraltro non sempre così omogenei: ad esempio, prima di essere sospeso, il controverso Primo Ministro ungherese Viktor Orbán faceva parte del PPE assieme a Jean-Claude Juncker. Volt invece si divide in tanti partiti nazionali – Volt Italia, Volt España, Volt France, Volt Deutschland… – che si rifanno ai valori generali del movimento ma li riadattano di volta in volta al contesto e alle necessità del singolo Paese. È una strategia finalizzata a rafforzare il senso di comunità nei cittadini dell’Unione, per farli riconoscere in un solo nome e in una sola visione condivisa. Ma che serve a Volt anche per portare avanti un’agenda non esclusivamente europea, bensì nazionale e locale, che sappia rispondere soprattutto alle necessità più immediate.
Volt si definisce un movimento progressista, di orientamento liberale in economia ma attento alla disuguaglianza, mentre rifiuta invece la distinzione destra-sinistra in virtù della sua struttura transnazionale. Si ritiene un partito di “europeisti critici”, che crede cioè nell’Europa unita ma che pensa che vada riformata. Propone infatti l’istituzione di un’Europa federale con un proprio Governo (la Commissione), un proprio Primo Ministro e un proprio Presidente. Vuole introdurre l’iniziativa legislativa per il Parlamento Europeo, al pari di quelli nazionali, e ridurre il potere del Consiglio, abolendo il voto per unanimità in modo da rafforzare la capacità decisionale dell’Unione e arginare l’ostruzionismo degli Stati. È favorevole alla creazione di un esercito comune: un’idea che non piace molto a Mark Rutte – preferisce la NATO – ma che era stata avanzata invece da Angela Merkel e da Macron.
Dal programma di Volt emerge un chiaro disegno geopolitico. In un mondo in cui molte certezze sedimentate sono venute meno e le alleanze storiche sono andate (in parte) ridisegnandosi, l’Europa ha bisogno di dotarsi, davvero, di una sola voce. La proposta di indebolire il Consiglio dell’Unione e, contestualmente, di rafforzare la Commissione e il Parlamento, muove verso questa direzione: sottrarre le decisioni più importanti ai singoli Stati e perseguire l’interesse generale. Ma per avvicinare i cittadini all’Europa c’è bisogno soprattutto di cultura. Volt ad esempio vorrebbe estendere il programma Erasmus anche agli studenti delle scuole secondarie. Non è una proposta minore. Il senso di comunità si costruisce a partire dalla conoscenza reciproca, che al momento è quasi assente: non conosciamo le lingue e nemmeno le abitudini degli altri.
L’Europa non avrà mai una voce sola senza una coscienza condivisa.
@marcodellaguzzo
Ecco la nostra intervista ad Andrea Venzon.
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In un panorama ingessato tra europeisti e sovranisti, Volt propone un solo partito paneuropeo, per rafforzare il senso di comunità dei cittadini della Ue
Di questi tempi, tra Brexit e nazionalismi vari, il discorso di Rutte è stato immediatamente interpretato come un manifesto elettorale. Che deciderà o meno di candidarsi alla posizione di Juncker o di Tusk – lui nega –, l’Unione prosegue intanto il suo cammino verso le elezioni del 23-26 maggio. Secondo le previsioni, il Partito popolare (centro-destra) e l’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici (centro-sinistra) perderanno per la prima volta la maggioranza al Parlamento. Il calo dei popolari e, soprattutto, dei socialisti potrebbe però venire bilanciato dalla crescita dei liberali dell’ALDE, che garantirebbe la sopravvivenza e la superiorità numerica della coalizione europeista. Ci si aspetta un aumento dei seggi per l’estrema destra euroscettica dell’Europa delle nazioni e della libertà (il gruppo di cui Matteo Salvini era vicepresidente), ma nel complesso le forze sovraniste non dovrebbero riuscire a sfondare.
Secondo Bruxelles, le elezioni di maggio saranno le più importanti nella storia del Parlamento Europeo, visto il “contesto politico” in cui si inseriscono. Il riferimento è ai tanti partiti di estrema destra in ascesa nei singoli Paesi europei – Rassemblement National in Francia, AfD in Germania, Vox in Spagna, e così via –, che però sembrano fare fatica a costruire una larga coalizione internazionale. La difficoltà sta nel trovare una sintesi comune alle singole prese di posizione sui vari temi, che non è raro differiscano più che coincidere, a cominciare proprio dal grado di scetticismo nei confronti dell’Europa. “Sovranismo” è del resto un termine molto vago che ognuno declina un po’ a suo piacimento: e infatti la Lega di Salvini non è riuscita a legare con Diritto e Giustizia in Polonia, mentre il Movimento 5 Stelle aveva messo su un’alleanza variegatissima e priva di un’ideologia comune prima di iniziare a corteggiare i gilet gialli.