Oggi è il turno dell’Italia. Ci condanniamo a una triste deriva o vogliamo ambire a essere protagonisti? Pubblichiamo il fondo di Giuseppe Scognamiglio uscito oggi su La Sicilia
In Europa si vota già da tre giorni e, pur non avendo ancora i risultati ufficiali, gli exit poll sembrano confermare quei sondaggi (pur vietati, circolano sui nostri smartphone quotidianamente) che hanno trasmesso un messaggio chiaro: sovranisti e populisti avanzano, ma la loro proposta politica non sfonda e quindi, le forze tradizionalmente europeiste mantengono la maggioranza e dunque il diritto di governare l’Unione.
È questa la vera sfida: governare per fare cosa? Se popolari, socialisti e liberali pensano di vivacchiare altri 5 anni senza significativi progressi del processo di integrazione, questa legislatura sarà il canto del cigno del progetto europeo. Dobbiamo sperare in una leadership europea coraggiosa e visionaria (consiglio a tutti i 4 minuti di video proiettato all’ultima Assemblea di Confindustria, bello, emozionante, sfidante e politicamente ambiziosissimo), che abbia la forza di imprimere un’accelerazione storica a una svolta federale.
È solo nella dimensione federale che troveremo infatti la capacità politica di fornire risposte convincenti a dieci anni di drammatica crisi economica e finanziaria, che ha minato le stesse regole democratiche di convivenza, inducendo le nostre opinioni pubbliche impaurite a rifugiarsi nelle illusorie ricette neo-nazionaliste che hanno in Donald Trump e Steve Bannon gli interpreti e ideologi più arditi e pericolosi.
Certo, siamo consapevoli che le decisioni politiche non sono prese solo a Bruxelles (Commissione e Parlamento) e a Francoforte (Banca Centrale Europea), ma anche, forse soprattutto, nelle capitali dei Paesi membri. E qui saranno determinanti gli impatti che il voto avrà sulle leadership nazionali.
Non abbiamo bisogno di 28 Governi pro-europei, ne bastano 4 di grandi Paesi (dopo l’uscita di Londra, forse una buona notizia per la Ue) per segnare la strada: in Francia, sarebbe importante che il partito del Presidente resista all’assalto dei lepenisti; in Germania, dobbiamo augurarci che la crescita segnata dai Verdi (figli di Joschka Fischer) nei recenti voti regionali, a scapito di un avanzata dell’ultradestra che non c’è stata, sia confermata. La Spagna di Sanchez dovrebbe garantire sostegno a un’Europa federale, anche per superare la complicata crisi interna con le autonomie catalana e basca.
E infine l’Italia, che rischia di essere il tassello chiave del futuro di 500 milioni di cittadini europei. L’esperimento nazional-popolare gialloverde sembra essere al capolinea, vittima di una frattura genetica tra le due anime al potere. La leadership movimentista salviniana potrebbe finire intrappolata dai troppi tavoli sui quali sta giocando la sua scriteriata partita: due maggioranze in Italia (gialloverde e centro-destra) e addirittura la pretesa di costituire in Europa un rassemblement di forze inconciliabili, che hanno nel loro programma autarchia e Stato nazionale, l’opposto di quanto lo stesso leader leghista pretende quando giustamente chiede più collaborazione ai suoi vicini, per affrontare e risolvere problemi epocali come la gestione dei flussi migratori.
Queste confusioni fanno svanire il progetto di Paese per i prossimi 30 anni: vogliamo forse condannarci a una triste deriva come quella inglese post-Brexit? Con la sterlina crollata del 30% e il mercato immobiliare del 20? O investire una nuova leadership coraggiosa che ci conduca da protagonisti in un’Europa al centro di un mondo governato da 4 grandi potenze?
Il paradosso dei tempi che stiamo vivendo è che i veri rivoluzionari, oggi, sono i sostenitori razionali di una politica estera e di difesa unica, di un unico Ministro dell’Economia e quindi di una fiscalità e di un debito in comune, di una politica energetica comune. Perché solo proponendoci da protagonisti nel mondo, potremo esportare il nostro modello di welfare, le nostre regole di convivenza, che non sono quelle cinesi ma nemmeno quelle americane.
Potremo avere l’ambizione di rappresentare la più grande ed efficiente democrazia al mondo.
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@GiuScognamiglio
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