Si punta a un allargamento degli Accordi di Abramo anche all’Arabia Saudita, numerose visite di funzionari di alto livello Usa a Riad. In ballo c’è il nucleare saudita, la cooperazione difensiva in chiave anti-iraniana, la questione palestinese, e la rivalità Usa con la Cina.
La normalizzazione dei rapporti israelo-sauditi, dovrebbe arrivare nel giro di dodici mesi. E’ quanto afferma un rapporto del Wall Street Journal, secondo il quale l’attivismo nelle ultime settimane di Washington nei confronti di Riad, con le numerose visite di funzionari statunitensi ad alto livello governativo in territorio saudita, dimostra che si stanno stringendo i tempi. Indiscrezioni e piano sconfessati, però, sia da esponenti governativi di Washington che di Riad, secondo i quali non ci sono ancora i presupposti e le basi per un accordo che allarghi gli Accordi di Abramo anche all’Arabia Saudita.
Nella questione si è inserito, dalle colonne dello stesso giornale, anche il Ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, che ha espresso le perplessità del suo esecutivo verso uno dei punti in discussione più controverso e avversato da Gerusalemme: un programma nucleare civile saudita.
Certo, in Arabia il petrolio è sufficiente a garantire le necessità energetiche del paese, ma Riad guarda ad un accordo come quello che ha permesso a Teheran, altra fonte e produttore di idrocarburi, di ottenere un programma nucleare civile. Una circostanza, quella del nucleare saudita, che Israele non vede di buon occhio, preoccupato com’è di una proliferazione nucleare nell’area tra paesi non certo amici, sentendosi già minacciato dal programma iraniano.
Per questo Cohen appoggia un’altra richiesta saudita: quella di cooperazione difensiva con Washington. L’Arabia Saudita sta cercando un trattato di sicurezza reciproca simile alla NATO che obblighi gli Stati Uniti a venire in sua difesa se viene attaccata. Questo, insieme a un programma nucleare civile monitorato e sostenuto dagli Stati Uniti, e la capacità di acquistare armi più avanzate da Washington, come il sistema di difesa missilistica antibalistica Terminal High Altitude Area Defense (THAAD), da utilizzare per combattere il crescente arsenale missilistico dell’Iran. In cambio, gli Stati Uniti chiedono a Riad di offrire un pacchetto di aiuti senza precedenti alle istituzioni palestinesi in Cisgiordania, ridurre gli accordi con aziende tecnologiche cinesi come Huawei, utilizzare dollari USA invece della moneta cinese per valutare le vendite di petrolio, respingere il piano di Pechino per stabilire una base militare sul suolo saudita e rafforzare la tregua che ha posto fine alla guerra civile nello Yemen. Per quanto riguarda i passi specifici che Israele dovrà intraprendere nei confronti dei Palestinesi, quelli non sono ancora stati chiariti.
Per il Ministro degli Esteri israeliano, gli Stati Uniti dovrebbero dare all’Arabia Saudita una garanzia per difenderla dall’aggressione nucleare iraniana come parte di un accordo di pace con Israele. Cohen, sulle pagine del giornale americano, ha paragonato la minaccia nucleare che l’Iran pone ad altri paesi della regione con la minaccia nucleare della Corea del Nord alla Corea del Sud e oltre. “La Corea del Sud, nonostante viva all’ombra di un vicino dotato di armi nucleari e abbia i mezzi per sviluppare le proprie armi nucleari, si è astenuta dallo sviluppo di armi nucleari”, ha scritto Cohen. “L’impegno di difesa degli Stati Uniti funge da deterrente della Corea del Sud contro l’aggressione del Nord. Un analogo impegno di difesa americano potrebbe rassicurare le nazioni mediorientali, in primo luogo l’Arabia Saudita e gli stati del Golfo”. Se l’Iran costruisse un’arma nucleare, “quasi certamente scatenerebbe una corsa agli armamenti nucleari regionale”, con l’Arabia Saudita, gli stati del Golfo, l’Egitto e la Turchia che stanno considerando di fare lo stesso e “potenzialmente far precipitare l’intero Medio Oriente in un conflitto”, ha scritto il Ministro degli Esteri israeliano. “Israele non vorrebbe la proliferazione da nessuna parte, ma la cosa più importante è impedire all’Iran di ottenere un’arma nucleare”, ha detto. Tuttavia, “la normalizzazione è tutto, più e più, senza svantaggi”, ha detto. “È nel nostro interesse per la sicurezza nazionale intrattenere rapporti con l’Arabia Saudita”.
In tutta questa discussione, restano a margine i Palestinesi e le loro aspirazioni. Come guardiani dei siti sacri dell’Islam, i Sauditi hanno sempre messo l’affermazione di uno stato palestinese indipendente dinanzi a qualsiasi ipotesi di apertura con Israele. Ma se Mohammad Bin Salman, il vero artefice dell’apertura verso gli ebrei su spinta americana (impensabile con suo padre per i forti legami di questo con la Palestina), è ovviamente molto a disagio con un governo, quello attuale israeliano, spostato verso la destra estrema con esponenti che non riconoscono neanche il diritto all’esistenza dei Palestinesi, lo è anche nei confronti della leadership di Ramallah, in particolare con Mahmoud Abbas, Abu Mazen. Se infatti è improbabile e difficile che MBS possa stringere accordi con l’attuale governo di Smootrich e Ben Gvir, non ha mai negato che non condivide il modus operandi dell’ottuagenario presidente palestinese, pur continuando a sostenere la battaglia per l’indipendenza del popolo che questi guida.
Per molti analisti, la questione palestinese è solo una casella da smarcare su un’agenda, nel senso che un accordo, anche al ribasso, rispetto a sovranità territoriale, si può trovare facilmente. E favorirebbe gli accordi tra Arabia e Israele a ovvio scapito dei Palestinesi. Cosa che potrebbe non essere d’aiuto nel Senato americano che dovrebbe votare anche gli accordi di sicurezza e nucleare con i Sauditi di cui sopra, dove le preoccupazioni dei diritti civili e molte altre, rendono difficile, al momento, l’approvazione delle clausole che spianerebbero la strada all’accordo fra i due paesi mediorientali.
La normalizzazione dei rapporti israelo-sauditi, dovrebbe arrivare nel giro di dodici mesi. E’ quanto afferma un rapporto del Wall Street Journal, secondo il quale l’attivismo nelle ultime settimane di Washington nei confronti di Riad, con le numerose visite di funzionari statunitensi ad alto livello governativo in territorio saudita, dimostra che si stanno stringendo i tempi. Indiscrezioni e piano sconfessati, però, sia da esponenti governativi di Washington che di Riad, secondo i quali non ci sono ancora i presupposti e le basi per un accordo che allarghi gli Accordi di Abramo anche all’Arabia Saudita.
Nella questione si è inserito, dalle colonne dello stesso giornale, anche il Ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, che ha espresso le perplessità del suo esecutivo verso uno dei punti in discussione più controverso e avversato da Gerusalemme: un programma nucleare civile saudita.