L’esperimento Liberal-Libertario in Argentina è partito con una serie di misure shock per deregolamentare l’economia. Forte la svolta anche nell’ambito geopolitico: attriti con la Cina e il Brasile, e apertura a Usa e Ue nei settori del litio e idrocarburi.
L’economista “anarco-capitalista” argentino, Javier Milei, ha inaugurato lo scorso 10 dicembre il suo governo all’insegna di una promessa di rifondazione del paese. Si tratta del primo esperimento “liberal-libertario” al mondo, come lo stesso presidente lo ha definito, in un paese strangolato dalle continue crisi economiche, il debito estero e dove la grande maggioranza della popolazione diffida ormai di tutta la dirigenza politica tradizionale. Questi i principali motivi che spiegano l’ampia vittoria di Milei, stravagante protagonista dei talk-show politici nella tv argentina dal 2018, divenuto presidente dopo soli due anni dal suo sbarco ufficiale in politica.
Il suo discorso in campagna elettorale, violentissimo nei confronti della classe politica tradizionale, la “casta” spendacciona contro la quale brandiva la motosega simbolo dei tagli al welfare, in fin dei conti ha retto la sfida del passaggio alla politica istituzionale. Nei primi giorni afosi di dicembre a Buenos Aires, Milei e il suo entourage si sono trovati di fronte alla scelta tra una moderazione della propria posizione in cerca di maggior sostegno parlamentare, visto che il suo partito, La Libertad Avanza, può contare solo su 40 deputati su 257, e 7 senatori su 72; oppure mantenere la linea dura in difesa dello smantellamento dell’apparato statale nell’ambito economico.
La strada intrapresa è proprio quest’ultima. Prima ancora di assumere il potere, Milei ha annunciato il dimezzamento del numero di ministeri e un taglio del 35% delle segreterie di stato con i conseguenti licenziamenti in massa. Durante il suo discorso di insediamento ha avvertito che il suo piano “avrà un impatto negativo sul livello di attività, l’occupazione, i salari reali, il numero di poveri e indigenti. Ci sarà la stagflazione, è vero, ma non è molto diverso da quello che è successo negli ultimi 12 anni”.
Due giorni più tardi il ministro dell’Economia, Luis “Toto” Caputo, ha annunciato in un videomessaggio trasmesso su Youtube una serie di misure volte ad azzerare il deficit fiscale, superiore al 5%: svalutazione del 50% della moneta nazionale, eliminazione dei sussidi all’energia, cancellazione di tutte le opere di infrastruttura previste e privatizzazione di quelle in corso.
Il quadro si è poi ampliato con l’emanazione di un Decreto d’Urgenza da parte del Presidente col quale, saltando di fatto l’iter parlamentare, ha riformato o abrogato circa 600 leggi in un colpo solo per permettere la “deregolamentazione” dell’economia argentina. La norma prevede tra le altre cose la privatizzazione di tutte le aziende dello stato, forti limitazioni ai diritti sindacali, ampie libertà in materia di licenziamenti, riduzione dei contributi delle aziende, riforma delle leggi di protezione ambientale per estendere le attività estrattive.
Il terzo passo della costruzione del modello dell’Argentina Libertaria è stata la presentazione della cosiddetta Legge Omnibus, un pacchetto di 300 riforme che allargano l’azione riformatrice iniziata dall’ordinanza ministeriale di Caputo e il Decreto di Milei, a quegli ambiti normativi che per Costituzione solo possono essere riformati attraverso una legge votata dal parlamento: i codici civile e penale, la struttura tributaria e le attribuzioni delle Provincie in materia produttiva e fiscale. La strategia, molto simile a quella adottata dal presidente del Salvador, Nayib Bukele all’inizio del suo mandato, è quella di mettere il Parlamento alle strette: se non si approvano tutte le riforme volute dal governo, deputati e senatori saranno responsabili dell’ecatombe economica del paese, e sarà il popolo a chiedergliene conto con le buone (il voto) o con le cattive.
I sondaggi sembrerebbero dargli la ragione. L’immagine positiva del Presidente si mantiene stabile dalle elezioni di ottobre, e il 54% degli elettori approva le misure prese nei primi due mesi di governo.
Che nella pratica rappresentano uno shock brutale per l’intero apparato produttivo e per la società argentina. Gli effetti delle prime decisioni si sono fatti sentire immediatamente: l’inflazione di dicembre è schizzata al 25,5% mensile (a novembre era stata del 12,8%), la più alta degli ultimi 35 anni. Nemmeno dopo il crack del 2001 l’economia argentina aveva sofferto un colpo simile. “Un male necessario” ha sostenuto Milei, citando una serie di predizioni di dubbia origine secondo le quali senza il suo intervento l’inflazione di dicembre sarebbe stata del 45%.
Uno degli ambiti in cui l’Argentina ha chiaramente praticato una svolta è anche quello internazionale. Il governo Milei, applicando una lettura piuttosto stilizzata del sistema globale, si è impegnato in una sorta di “occidentalizzazione” del proprio inserimento internazionale, aprendo addirittura forti scontri coi suoi due principali partner commerciali, Brasile e Cina.
Il Decreto emanato dal presidente lo scorso 20 dicembre parla esplicitamente di un “allineamento in materia di relazioni esterne con tutte le cause democratiche del mondo”. Dopo aver rifiutato l’invito a fare parte dei BRICS a partire dal 1º gennaio, la ministra degli Esteri Diana Mondino ed alcuni legislatori del partito di Milei hanno tenuto incontri pubblici con l’incaricata d’affari di Taiwan a Buenos Aires, Miao-hung Hsie. Milei, inoltre, ha volutamente ritardato la nomina del nuovo ambasciatore a Pechino per settimane, lasciando l’incarico della relazione a una segretaria di terzo livello e scatenando la furia del governo di Xi-Jinping. Che a fine dicembre ha addirittura chiamato a consultazioni il proprio rappresentante in Argentina, Wang Wei, e ha annunciato l’intenzione di non rinnovare l’accordo Swap col Tesoro argentino, in passato vitale per il pagamento del debito estero da parte di Buenos Aires.
Il rifiuto nei confronti dei BRICS è stato controbilanciato con la ripresa delle negoziazioni ufficiali per l’ingresso dell’Argentina nell’OSCE, in sospeso dal 2018, e un energico sostegno alla firma dell’Accordo di Libero Scambio tra il Mercosur e l’Unione Europea in ballo dal 1994. Milei si è schierato apertamente a favore delle posizioni di Washington e Tel-Aviv nei principali conflitti aperti a livello globale a Gaza e in Ucraina, smarcandosi così dalla posizione sostenuta negli ultimi anni più vicina al tono conciliatore ed equidistante del Brasile.
Ma è nell’ambito della politica energetica dove si cominciano a intravedere le prime avvisaglie di un cambiamento drastico nel posizionamento argentino a livello globale. Un esempio chiaro lo si può trovare nell’incipiente industria argentina del litio. Si tratta di un minerale raro, fondamentale per la confezione di batterie elettriche a la cui domanda è schizzata alle stelle a partire dai processi di decarbonizzazione messi in atto in tutto il mondo nel contesto dell’accordo di Parigi sul clima e l’Agenda 2030 dell’Onu.
Si stima che la domanda globale di litio, già duplicata rispetto al 2020, si quadruplicherà nei prossimi sei anni. Secondo dati dell’Istituto Geologico degli Stati Uniti, le riserve di litio a livello globale ammontano a 98 milioni di tonnellate, di cui 21 si trovano in Bolivia, 20 in Argentina e 11 in Cile. Questi sono i paesi che formano il cosiddetto Triangolo del Litio, dove si concentra più del 53% delle riserve mondiali del minerale, e l’Argentina è l’unico di essi che non ha una compagnia propria per l’estrazione e l’esportazione.
L’obiettivo di Milei è quello di privatizzare il comparto, in alleanza coi principali global player occidentali del settore. A fine dicembre ha dichiarato di aver ricevuto una chiamata personale da parte di Elon Musk, proprietario di Tesla, azienda dedicata alla fabbricazione di automobili elettriche che ha recentemente lanciato un progetto per la creazione di un impianto proprio per la lavorazione del carbonato di litio. Attraverso il suo Decreto d’Urgenza, Milei ha già aperto il mercato satellitare argentino a Starlink, altra azienda di Musk addirittura citata esplicitamente nel testo della norma, ed ora ha comunicato l’interesse del miliardario “e del governo degli Stati Uniti” di partecipare nel mercato del litio argentino.
Un duro colpo nei confronti della Cina, da dove proviene il 50% degli investimenti nel litio argentino e dov’è diretta la maggior parte delle esportazioni del minerale. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, solo tra il 2018 e il 2021 Pechino ha investito 4,3 miliardi di dollari nel triangolo del litio in Sudamerica, ed è l’attore principale nel settore.
L’altro dossier fondamentale per comprendere la strategia internazionale di Milei ha a che fare con il bacino petrolifero di Vaca Muerta, nella Patagonia settentrionale, la quarta riserva al mondo di shale oil e la seconda di shale gas. Una zona dove Pechino nel 2017 ha installato una base di osservazione spaziale operata da membri dell’Esercito Popolare Cinese, unica nel continente americano.
Il pacchetto di riforme voluto dal governo prevede modificazioni alla legge sugli idrocarburi per liberalizzarne i prezzi e permettere l’ingresso di capitali internazionali nel settore, fino ad ora considerato strategico e dunque protetto dall’ingerenza straniera. Le aziende del settore verranno esentate dall’obbligo di garantire l’approvvigionamento del mercato interno prima di procedere all’esportazione di combustibile, e verranno garantiti i prezzi internazionali anche a livello domestico senza che lo stato possa intervenire.
Viene modificata anche la “Ley de Tierras”, che impediva a cittadini o imprese straniere di acquistare terre con un’estensione superiore al 15% del dipartimento a cui appartengono, e si aprono le porte ad ampliare la partecipazione straniera nelle azioni di YPF, la compagnia petrolifera statale che detiene finora il semi-monopolio delle operazioni a Vaca Muerta.
Il modello di Milei, che presuppone un cambiamento drastico dell’indirizzo che ha seguito il paese negli ultimi anni, è esposto però a condizionamenti esterni e domestici. Non è ancora chiaro quanto durerà questa luna di miele dell’attuale presidente con l’opinione pubblica: i primi due mesi di governo hanno significato un colpo durissimo all’economia di classi medie e settori popolari, e le risposte di piazza non si sono fatte attendere. Lo stesso Fondo Monetario Internazionale teme che il presidente non regga la pressione interna e debba riformulare il proprio programma, e per questo ha chiesto maggiori garanzie per il rilascio di un nuovo pacchetto di aiuti da 4,7 miliardi di dollari ai primi di gennaio. Il piano occidentalista di Milei prevede inoltre il ridimensionamento dell’influenza cinese e brasiliana sull’economia argentina. Un obbiettivo che il paese è incapace di raggiungere da solo, ed ha assoluto bisogno del sostegno dell’egemone regionale. Milei punta dunque sull’elezione di Donald Trump a novembre come condizione necessaria per il successo del proprio piano, e una buona performance del bolsonarismo alle elezioni locali brasiliane ad ottobre. Il governo degli assiomi economici dunque è condizionato da troppe variabili di natura politica. Investitori, creditori ed alleati interni ed esterni lo sanno.
L’economista “anarco-capitalista” argentino, Javier Milei, ha inaugurato lo scorso 10 dicembre il suo governo all’insegna di una promessa di rifondazione del paese. Si tratta del primo esperimento “liberal-libertario” al mondo, come lo stesso presidente lo ha definito, in un paese strangolato dalle continue crisi economiche, il debito estero e dove la grande maggioranza della popolazione diffida ormai di tutta la dirigenza politica tradizionale. Questi i principali motivi che spiegano l’ampia vittoria di Milei, stravagante protagonista dei talk-show politici nella tv argentina dal 2018, divenuto presidente dopo soli due anni dal suo sbarco ufficiale in politica.
Il suo discorso in campagna elettorale, violentissimo nei confronti della classe politica tradizionale, la “casta” spendacciona contro la quale brandiva la motosega simbolo dei tagli al welfare, in fin dei conti ha retto la sfida del passaggio alla politica istituzionale. Nei primi giorni afosi di dicembre a Buenos Aires, Milei e il suo entourage si sono trovati di fronte alla scelta tra una moderazione della propria posizione in cerca di maggior sostegno parlamentare, visto che il suo partito, La Libertad Avanza, può contare solo su 40 deputati su 257, e 7 senatori su 72; oppure mantenere la linea dura in difesa dello smantellamento dell’apparato statale nell’ambito economico.