[ROMA] attivista civico e imprenditore con la passione per la tutela dei diritti. Segretario generale e poi presidente di Cittadinanzattiva.
Green Pass ma anche educazione sanitaria
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Il confronto che si è sviluppato negli ultimi mesi sul Green Pass è denso di aspetti che vanno molto al di là dell’analisi sullo strumento in quanto tale. Siamo infatti al primo provvedimento che, con nomi diversi ma con modalità sostanzialmente analoghe, i Governi stanno adottando per entrare nella seconda fase della lotta contro il Covid-19, quella della “convivenza”, in attesa che arrivi, speriamo presto, la fase della sconfitta più o meno definitiva del virus.
Stiamo iniziando a capire, molto rapidamente, che dobbiamo fare i conti con un contesto che è completamente cambiato nell’ultimo anno e mezzo. Le regole, i parametri, i riferimenti, i termini di paragone con vicende passate non reggono semplicemente perché non ci sono mai stati fenomeni come quelli che stiamo vivendo con le profonde implicazioni di cui sono portatori.
Libertà individuale e interesse generale
Al di là degli aspetti giuridici relativi al Green Pass, il tema è senza dubbio il rapporto tra libertà individuale e interesse generale in questa fase storica. Questa pandemia, a differenza di quanto in alcune occasioni si è scritto e detto, non è affatto “democratica”, non colpisce tutti allo stesso modo ma è dimostrato che colpisce soprattutto le persone più deboli, quelle che possono proteggersi meno perché anziane, o pazienti fragili, o persone a basso reddito.
In questo contesto emerge in modo molto forte la necessità che lo Stato si faccia carico della tutela dell’interesse generale, senza comprimere la libertà individuale ma individuando nuovi modi per esercitarla. È assolutamente sbagliato, e francamente paradossale, parlare di dittatura sanitaria, sia per quanto riguarda i vaccini che per quanto riguarda i Green Pass. Si tratta piuttosto, nel caso del certificato vaccinale, di uno strumento che ci dà la possibilità di riprenderci le nostre libertà, che ci sono state limitate non da un Governo al soldo di Big Pharma ma dagli oltre centomila morti che in un anno e mezzo abbiamo dovuto piangere.
Nel nostro Paese ci sono diverse modalità per ottenerlo: lo si può avere sia dopo aver ricevuto la somministrazione del vaccino, dopo essere guarito dal Covid o, se per scelta o per necessità non ci si vuole vaccinare, dopo aver dimostrato di essere risultato negativo a un tampone. Come si vede, vi è ampia possibilità di veder rispettate le scelte delle persone e anche la possibilità di accesso alla certificazione è semplice e diffusa. Ci sono sicuramente una serie di aspetti da migliorare ma lo strumento in quanto tale sta dimostrando di “reggere”.
Può essere il Green Pass LO strumento che ci consentirà di “convivere” in questa fase con il virus? Difficile dirlo ma senza dubbio sta avanzando l’idea di diffonderne ampiamente l’uso nella scuola, nei servizi pubblici e privati, nell’esercizio del diritto alla mobilità interna e transfrontaliera.
È evidente che abbiamo di fronte a noi un’enorme sfida di carattere culturale e politico che chiama in causa la capacità delle leadership delle classi dirigenti del nostro Paese in ambito imprenditoriale, politico, scientifico, sindacale e associativo di ripensare il proprio ruolo non in una ottica di “difesa di parte”, di massimizzazione di un beneficio rivendicazionista momentaneo ma di vedere il proprio ruolo effettivamente in una ottica di interesse generale.
Se la pandemia ci ha insegnato qualcosa è che nessuno si salva da solo, per battere un nemico così pericoloso c’è bisogno di una unità di intenti sia a livello globale che nazionale. Ognuno di noi ha il proprio contributo da poter dare, mantenendo ad esempio le norme di prevenzione relative al contagio che abbiamo imparato in questo anno e mezzo, ma soprattutto chi ha responsabilità maggiori in campo sociale e politico deve dimostrarsi ora all’altezza della sfida.
È evidente che tocca alle istituzioni avere la capacità di costruire il dialogo con le organizzazioni della rappresentanza sociale, migliorando ad esempio le modalità di utilizzo del Green Pass perché si adattino alla vita reale e non creino discriminazioni tra coloro i quali vogliono usare lo strumento correttamente.
Bisogna quindi ascoltare, confrontarsi e provare a costruire delle risposte condivise ma è altrettanto vero che il tema non può essere quello di trovare una “mediazione” tra posizioni che, ad esempio, mettano sullo stesso piano chi vuole vaccinarsi e chi non vuole farlo. È inaccettabile dal punto di vista etico, non ha niente a che fare con l’interesse generale di cui si parlava precedentemente.
A mero titolo esemplificativo si può citare un comunicato sindacale congiunto all’interno di una importante azienda a controllo pubblico che, per argomentare la contrarietà al Green Pass nella mensa aziendale, parla di vaccini “che non sono una cura definitiva” e del fatto che “Ema ha annunciato che saranno disponibili da ottobre trattamenti farmacologici della malattia”. Messaggi sbagliati, non veri e soprattutto che non competono a chi nella vita fa un mestiere diverso rispetto a quello dello scienziato o del regolatore.
Il nodo dell’obbligo del vaccino
Ma torniamo a un punto importante nei confronti del Green Pass che argomenta chi è contrario, cioè il fatto che sarebbe un modo surrettizio per obbligare le persone a vaccinarsi senza fare una legge sull’obbligo.
È una obiezione, credo, debole nella sostanza perché se il punto di vista che le istituzioni devono tenere in conto è quello dell’interesse generale e della tutela della salute pubblica e della tenuta economica e sociale del Paese, senza dubbio la vaccinazione, ampiamente validata dalla comunità scientifica e dagli enti regolatori, è la via primaria per il raggiungimento di questo obiettivo. Quindi il tema è rendere il vaccino gratuito e facilmente accessibile, risultato che, anche se con qualche ritardo, sembra al momento ottenuto.
Obiezione correlata a questa è relativa al costo dei tamponi per ottenere il Green Pass in caso di mancata vaccinazione, che viene considerato un “incentivo negativo” per obbligare alla vaccinazione. Anche su questo bisogna essere chiari. Se il tema delle scelta pubblica è quello dell’interesse generale e quindi garantire le migliori condizioni per proteggersi e curarsi a spese del servizio sanitario nazionale bisogna garantire la gratuità dei tamponi a tutte le persone che si sono prenotate per il vaccino e ancora non sono riuscite ad avere la somministrazione, non a tutti indistintamente. Come detto precedentemente, quella di chi decide di vaccinarsi e di chi decide, liberamente, di non vaccinarsi non sono scelte che hanno la medesima rilevanza dal punto di vista della tutela dell’interesse pubblico/generale e non possono essere trattate allo stesso modo anche dal punto di vista delle coperture economiche.
Il tema dell’interesse generale è legato tanto alle scelte dello Stato quanto a quella dei singoli cittadini che decidono consapevolmente di fare una scelta come quella della vaccinazione che riguarda non solo la propria salute, e quella astrattamente della comunità, ma anche di quella che è la “silente pandemia parallela” alla quale stiamo assistendo, a volte inconsapevolmente, nel corso dell’ultimo anno e mezzo.
Mi riferisco agli oltre due milioni di screening oncologici non fatti causa Covid dalle strutture ospedaliere (fonte AIOM), piuttosto che alle persone con patologie croniche non curate in area oncologica, cardiologica e cardiovascolare, neurologica etc. (fonte GISE, FOCE e decine di società medico-scientifiche) piuttosto che ai mancati interventi chirurgici “ordinari”, dove siamo a oltre quota un milione.
Le scelte individuali quindi hanno effetto non solo su di noi ma anche su una comunità non astratta, non fatta di diagrammi, numeri ed asterischi ma di persone in carne e ossa che per le nostre scelte possono aver condizionata la propria vita. I dati di agosto sono impressionanti in proposito e ci raccontano di terapie intensive riempite da persone contagiate non vaccinate. Lo stress a cui sono sottoposte, di nuovo, le strutture sanitarie, porta nuovamente a rallentare la ripresa delle cure ordinarie o il recupero delle prestazioni di cui si parlava precedentemente che si aggiungono e vanno ad allungare liste di attesa per l’accesso ai servizi sanitari che erano già prima del Covid in alcune parti del Paese insostenibili.
Questo è un altro aspetto della riflessione sull’interesse generale alla base di scelte pubbliche, ma anche individuali, che riguardano il Green Pass ma anche il modo di “pesare” gli interessi, di fare delle scelte, di dare delle priorità e di far sì che ognuno si assuma le proprie responsabilità in una battaglia che, come detto, si vince solo insieme.
Serve informazione e condivisione
Vale la pena ora di fare una breve riflessione su alcuni elementi di inadeguatezza delle istituzioni nel dialogo su salute, scienza e innovazione con la comunità. Sfide come quelle di cui abbiamo parlato, e che richiedono una corresponsabilità forte della comunità intera, non si vincono solamente con la capacità di fare scelte basate su evidenze scientifiche, dato pure essenziale. Bisogna fare un investimento su empowerment, health literacy e informazione per gestire l’hesitancy.
Cos’è l’hesitancy? Sono sostanzialmente i normalissimi dubbi che in una comunità ci sono quando c’è una innovazione di grande portata. È normale già sui vaccini ordinari, immaginiamo con il vaccino Covid. Le persone “esitanti” non sono affatto no vax, non vanno confuse con queste. Hanno bisogno di informazioni, di chiarimenti, di accompagnamento informativo e questo è un fenomeno normalissimo che va gestito. Si deve gestire sicuramente con strumenti che partano dal coinvolgimento attivo di quella parte della comunità scientifica più prossima alle persone. Mi riferisco a medici di famiglia, farmacisti, pediatri di libera scelta, sono i cosiddetti “informatori di fiducia” perché hanno un costante contatto con le persone. È stato fatto questo durante la pandemia? No, se non molto parzialmente, in modo disorganizzato e poco efficace creando spesso disorientamento più che fiducia.
A questo si aggiunge un intervento strutturale sulla capacità delle persone di avere informazione di base sulla scienza, sulla capacità di selezionare le fonti di informazione, di orientarsi nella babele di input al quale siamo sottoposti quotidianamente. Non è solo un modo per combattere le fake news ma uno strumento per riprenderci anche qui le nostre libertà. È libertà, infatti, saperci orientare nelle scelte rilevantissime che dovremo fare nei prossimi anni sia come singoli che come comunità in relazione alle innovazioni scientifiche che sono alle porte e che cambieranno la nostra vita e un pezzo del nostro futuro.
Fare tutto questo richiede una politica pubblica, una visione strategica, la capacità di pensare “out of the box”. Siamo pronti? Francamente ancora no, ma il dibattito pubblico che si è aperto dopo l’arrivo del Covid mi fa essere moderatamente ottimista. Dobbiamo raccogliere la sfida di governare il cambiamento piuttosto che subirlo passivamente. Abbiamo le energie, le capacità e le competenze per farlo.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di settembre/ottobre di eastwest.