L’eredità politica di Silvio Berlusconi è l’ultima sfida del Cavaliere. Chi potrà surclassare il suo vigore dentro la sua creatura Forza Italia?
Nel luglio del 1995, durante un’intervista, chiesi a bruciapelo a Vittorio Cecchi Gori cosa pensasse di Silvio Berlusconi. Al tempo il produttore cinematografico era in grande spolvero: aveva appena comperato Radio Montecarlo, la futura La7, una delle poche Tv strappate al controllo del Cavaliere, con l’intenzione di farne un network, un atto di vera e propria hybris nei confronti di Sua Emittenza. Nella sua villa con piscina ricca di stucchi e marmi pompeiani, in cima a Monte Mario, ci pensò su e poi rispose altrettanto all’improvviso: “Non ho mai visto nessuno nella mia vita, nemmeno mio padre, prendere colpi che avrebbero tramortito un cavallo e rialzarsi a combattere dopo cinque secondi come se non fosse successo niente”.
Di tutte le doti del “signor Tv”, come lo chiamava Biagi, la sua capacità di resilienza è forse la più potente e sottovalutata. Se ripercorriamo la sua ottuagenaria vita, ci rendiamo conto che è sopravvissuto a una grave malattia, un paio di infarti, due matrimoni, svariate inchieste giudiziarie, rovesci aziendali e sconfitte politiche di vario genere, una condanna in Cassazione scontata ai servizi sociali, persino l’ostracismo dal Senato. Nemmeno il Covid si è fatto mancare. Anche per questo trovare un successore è impresa piuttosto impegnativa, forse impossibile. Dove diavolo andare a scovare un erede con la sua tempra, in grado di perpetrare la sua capacità di capire i tempi come un oracolo, da cui deriva il suo successo imprenditoriale e politico?
Memorabile l’attacco di un articolo degli anni ‘80 di Massimo Fini su una visita a Milano 2, una delle prime creature del costruttore, quando entra di soppiatto in una sala deserta adibita ai buffet e al catering, con tanto di carrello per i liquori, sedie di plastica e luci al neon, e scopre con sgomento che è la chiesa del residence. Metafora geniale della sua Tv, del magico mondo berlusconiano.
La cultura popolare e il duello con Occhetto
Berlusconi non ha inventato la cultura popolare, ha capito che era cambiata, plastificata, travolta dall’urbanizzazione postmoderna e dalla civiltà dei consumi, dei brand della Coca Cola e del Moplen. Aveva capito i desideri del “corpaccione” del ceto medio, per dirla alla de Rita. Chi scrive lo ha intervistato più di una volta. La prima nel 1994 nel suo appartamento di via dell’Anima, dietro Piazza Navona, a pochi metri dall’Hotel Raphael dove alloggiava il suo testimone di nozze Bettino Craxi. Feci molta anticamera nello studio dove spiccavano molti libri nuovi tra cui una collezione dei “Quindici” accarezzata con nostalgia (e ancora oggi mi chiedo che diavolo ci facesse l’enciclopedia dei “Quindici”, nutrimento della mia generazione insieme a “Conoscere”, nell’appartamento di un magnate delle Tv).
La sera avrebbe dovuto sostenere il famoso duello con il leader del Centrosinistra Achille Occhetto arbitrato da Mentana. Dall’uscio socchiuso mi godetti lo spettacolo di Gianni Letta che gli faceva da sparring partner e lo apostrofava dall’altro capo di un tavolo come un pugile: “Più incisivo qui! No, no più rapido. Se ti chiama miliardario gli rispondi comunista”. Si sa com’è andata a finire: Occhetto fu asfaltato e Berlusconi divenne premier. Il capo dello Stato Cossiga cominciò a picconare. Forza Italia andò a riempire il vuoto lasciato dai partiti tradizionali del pentapartito ormai logori caduti insieme al Muro di Berlino. Il resto lo fece Tangentopoli. La fine della guerra fredda aveva dissolto la paura del comunismo e del “salto nel buio”. Il politologo Giuliano Urbani gli diede una patina liberale, che non guasta, anche se il nuovo partito nato su un deserto lunare convogliò soprattutto i voti di democristiani e socialisti (ma anche dei comunisti delusi).
Forza Italia
Ventisei anni dopo è ancora Letta il suo principale consigliere politico alla corte di questa vera e propria monarchia partitica che è Forza Italia. Uno dei pochi rimasti, insieme a Fedele Confalonieri e Adriano Galliani. Sarebbero senza dubbio loro i suoi veri eredi, il triumvirato che ha saputo interpretare al meglio il ruolo politico e aziendale (non si capisce Forza Italia se non si capisce la sua struttura di partito-azienda, di ircocervo metà potere pubblico metà privato). Se non fosse per lo spiacevole dettaglio anagrafico che hanno la sua stessa età. Per loro è già pronto, come è noto, un loculo nella cappella circolare di Arcore disegnata dallo scultore Cascella. Ebbi modo di vederla nel marzo 2006 (senza però entrarvi come accadeva per gli ospiti di riguardo), quando costrinse me e altri tre colleghi del mio giornale a seguirlo a passo di bersagliere mentre esaminava il parco della sua dimora, fermandosi ogni tanto per chinarsi su qualche mughetto.
Dopo quella passeggiata entrammo – lui in tuta blu e sneakers noi in giacca e cravatta sudati e affannati − in uno dei saloni di Villa San Martino, nella cui taverna – apprendemmo poi sui giornali − si svolgevano i famigerati bunga bunga. Dopo due ore di intervista adrenalinica in cui si autodefinì il “Presidente operaio” (forse per via della tuta) e parlò direttamente con il registratore, ordinò al maggiordomo un bicchiere d’acqua, si alzò, salutò e andò ad affrontare altre sei persone nell’altra stanza. Chi potrà surclassare il suo vigore dentro la sua creatura Forza Italia?
I suoi eredi politici
Quando parliamo dei suoi eredi politici dobbiamo dividerli in due categorie: quelli formalmente designati, da lui “adottati”, come facevano gli imperatori romani con i successori, e gli avversari che però si riteneva potessero strappargli l’impero. Della prima categoria il primo fu l’avvocato Vittorio Dotti, principe del foro milanese, poi finito nell’oblio politico insieme con il collega Raffaele Della Valle, anch’egli deluso dal Principe e tornato al suo studio legale. Un altro erede naturale è da considerarsi Gianfranco Fini, leader di una nuova destra post-missina, “sdoganata” da Berlusconi, poi spodestato dall’implacabile assorbimento del Cavaliere di tutto il Centrodestra, infine messo in croce dalla stampa berlusconiana per via delle vicende dell’appartamento di Montecarlo. Tra i designati vanno annoverati l’ex Ministro degli Esteri Franco Frattini e soprattutto Angelino Alfano, il delfino per eccellenza, poi liquidato dal leader della Casa della libertà perché – a suo dire – non aveva il “quid”. E ancora vai a sapere cosa ci dovesse essere dentro questo quid.
Se dal “delfinario” berlusconiano ci spostiamo all’esterno, ai suoi rivali, allora troviamo certamente la stella cadente della politica italiana, quel Matteo Renzi che con il Patto del Nazareno – l’accordo politico per l’elezione del capo dello Stato che tira fuori dall’angolo Berlusconi, devastato da inchieste giudiziarie, compromesso nell’immagine dallo “sventolio di mutande” e sospeso dall’incarico di senatore − compie il suo capolavoro politico, prima di avviarsi lentamente e inesorabilmente al declino. Renzi, grande comunicatore, non ha mai nascosto di voler ereditare i voti in libera uscita di Silvio. Voti costituiti da un magma di borghesi, casalinghe (il nocciolo duro di Forza Italia checché se ne dica), piccoli imprenditori, artigiani, commercianti, pensionati, partite Iva e operai sempre più scontenti per la crisi. Troveranno un approdo nella Lega lepenista dell’altro Matteo, il leader di “Felpa Italia” Salvini, anch’egli indicato come erede, ma ultimamente in crisi. Tra gli “aziendalisti” si è parlato anche dell’imprenditore Urbano Cairo, uno dei suoi ex manager in Fininvest, oggi proprietario del Corriere della Sera. Non pare però che il soggetto abbia intenzione di scendere in campo. Restano i colonnelli del cerchio berlusconiano, i Totti, i Tajani, i Brunetta, ma chi di loro ha il quid?
E allora l’erede di Silvio Berlusconi, semmai ci sarà, proprio per la natura di partito-azienda della sua creatura politica, non può che venire dalla sua progenie: Marina, Silvio o un altro dei suoi figli. La faccenda insomma è assimilabile a una questione dinastica: un membro della “gens” berlusconiana che ne continui l’opera. Ma forse l’avventura politica della creatura di Berlusconi si concluderà con Berlusconi, mentre ai suoi aspiranti epigoni non resterà che rassegnarsi. O divorarsi tra di loro in una lotta di successione.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
L’eredità politica di Silvio Berlusconi è l’ultima sfida del Cavaliere. Chi potrà surclassare il suo vigore dentro la sua creatura Forza Italia?
Nel luglio del 1995, durante un’intervista, chiesi a bruciapelo a Vittorio Cecchi Gori cosa pensasse di Silvio Berlusconi. Al tempo il produttore cinematografico era in grande spolvero: aveva appena comperato Radio Montecarlo, la futura La7, una delle poche Tv strappate al controllo del Cavaliere, con l’intenzione di farne un network, un atto di vera e propria hybris nei confronti di Sua Emittenza. Nella sua villa con piscina ricca di stucchi e marmi pompeiani, in cima a Monte Mario, ci pensò su e poi rispose altrettanto all’improvviso: “Non ho mai visto nessuno nella mia vita, nemmeno mio padre, prendere colpi che avrebbero tramortito un cavallo e rialzarsi a combattere dopo cinque secondi come se non fosse successo niente”.
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