Per molto tempo l’Ue ha ambito a elaborare una governance digitale che tuteli gli utenti dagli eccessi dei modelli americano e cinese. Ma anche Usa e Cina stanno facendo passi avanti per limitare il potere delle loro aziende tecnologiche
L’Unione europea non ha aziende tecnologiche paragonabili per grandezza a quelle americane (Google, Amazon, Facebook, Apple) o cinesi (Baidu, Alibaba, Tencent, Xiaomi). Per molto tempo si è però “consolata” con il GDPR, il regolamento sulla protezione dei dati personali dalla grande influenza internazionale, e adesso vuole replicare il successo con una ambiziosa normativa sull’intelligenza artificiale. In altre parole, Bruxelles sembra concentrarsi più sulla regolazione delle nuove tecnologie che sul loro sviluppo. Ma gli Stati Uniti e la Cina – patria di quelle Big Tech che la Commissione cerca di piegare ai propri valori – potrebbero strappare all’Europa il fischietto di arbitro dell’economia digitale e prendere il suo posto.
Con approcci diversi, infatti, sia Washington che Pechino si sono mosse per limitare il potere delle grandi compagnie tecnologiche nazionali.
Gli approcci di Usa, Cina e Ue
Negli Stati Uniti la nomina di una progressista come Lina Khan a capo della Federal Trade Commission ha lasciato immaginare una riforma dello strumentario antitrust per aggiornarlo al nuovo contesto. Oltre alle multe, alle azioni legali e alle indagini sull’operato delle GAFA, poi, di recente al Senato è stata proposta una legge bipartisan per regolare la gestione dei rispettivi app store da parte di Apple e Google, accusate di abuso di posizione dominante.
La Cina si è invece fatta notare per la multa alla società di e-commerce Alibaba con l’accusa di monopolio, per la rimozione dagli store dell’azienda di trasporto privato Didi a causa di problemi sulla raccolta dei dati degli utenti, e per la causa civile contro Tencent (il colosso tecnologico che ha sviluppato WeChat) per violazioni delle leggi a tutela dei minorenni.
La direzione presa dagli Stati Uniti e dalla Cina può sembrare la stessa di quella dell’Unione europea – stabilire regole e sanzionare i comportamenti scorretti –, ma le differenze di fondo sono ampie. Bruxelles è ideologicamente distante sia da Washington che da Pechino: della prima rifiuta il tecno-capitalismo spinto; della seconda lo statalismo e il forte focus sul controllo sociale. La Commissione si richiama piuttosto all’etica per elaborare una governance digitale basata sui diritti umani che tuteli gli utenti dagli eccessi dei modelli americano e cinese e delle loro compagnie tecnologiche.
Le intenzioni
A motivare l’America è innanzitutto la voglia di mantenere la competitività della propria economia ed evitare che il potere di mercato delle cosiddette “piattaforme” impedisca la concorrenza e blocchi l’innovazione. Alla Cina, invece, interessa soprattutto imbrigliare quelle aziende che potrebbero diventare più forti del Partito comunista e riportare sotto il controllo statale un settore (l’economia dei dati) che può causare instabilità sociale.
L’Europa vorrebbe che i propri standard normativi diventassero quelli di riferimento in tutto il mondo. La stretta sulle piattaforme avviata negli Stati Uniti e in Cina potrebbe però complicare il raggiungimento di questo obiettivo. Forse Pechino avrà più difficoltà a rendere globali i propri standard viste le divergenze sistemiche con le democrazie. Mentre Washington potrebbe scavalcare Bruxelles sul piano dell’enforcement e diventare il punto di riferimento dell’impalcatura economica anche del Ventunesimo secolo.
Per molto tempo l’Ue ha ambito a elaborare una governance digitale che tuteli gli utenti dagli eccessi dei modelli americano e cinese. Ma anche Usa e Cina stanno facendo passi avanti per limitare il potere delle loro aziende tecnologiche