La richiesta di assistenza di El Salvador per l’implementazione del corso legale ai bitcoin non è stata appoggiata dalla Banca mondiale. Ora i piani del Presidente Bukele si complicano
La Banca mondiale ha respinto la richiesta di assistenza di El Salvador per l’implementazione del corso legale al bitcoin, esprimendo qualche preoccupazione in merito alla trasparenza delle operazioni e all’impatto ambientale del mining (“estrazione”), ovvero la procedura che permette di gestire la rete delle transazioni e di generare la criptovaluta: è un’attività che richiede computer dall’elevata potenza di calcolo, i quali consumano grosse quantità di energia.
La decisione della Banca mondiale potrebbe complicare i piani di El Salvador, che vuole garantire l’accettazione dei pagamenti in bitcoin in tutta la nazione entro novanta giorni. La settimana scorsa il Parlamento ha infatti approvato la proposta del Presidente Nayib Bukele per adottare legalmente la criptovaluta – è il primo Paese a fare un passo simile – parallelamente al dollaro statunitense, che è la moneta ufficiale.
I bitcoin e le rimesse
Nelle parole di Bukele, “ogni ristorante, ogni barbiere, ogni banca… ogni cosa potrà essere pagata in dollari statunitensi o in Bitcoin, e nessuno potrà rifiutare il pagamento”. Nayib Bukele è Presidente di El Salvador dal giugno 2019: ha trentanove anni, è carismatico ed estremamente popolare, fa risaltare il suo essere millennial e si atteggia a “Elon Musk del Triangolo del nord”, come l’ha soprannominato lo scienziato politico Ian Bremmer (basta vedere cosa posta su Twitter). In realtà, Bukele è un leader dalle tendenze autoritarie, che punta ad accumulare potere nelle sue mani e mostra insofferenza per i contrappesi della democrazia (il Parlamento, la magistratura).
La spinta sulle criptovalute riflette la fascinazione per l’innovazione digitale del Presidente, che sostiene che il bitcoin renderà più semplice per i salvadoregni che vivono all’estero inviare le rimesse, dato che eliminerà le intermediazioni e le commissioni. I soldi che i cittadini emigrati – oltre due milioni di persone, in larga parte negli Stati Uniti – mandano alle famiglie in patria sono assolutamente fondamentali per l’economia di El Salvador. Al punto che i flussi di rimesse, da 6 miliardi di dollari l’anno, valgono il 16% del Pil nazionale.
Una fetta enorme della popolazione di El Salvador – le stime ufficiali parlano del 70 per cento – non ha accesso ai servizi finanziari tradizionali, come un conto in banca, e lavora nell’economia informale, in nero: è una situazione molto comune in America centrale, ma anche in Messico.
D’altro canto, meno della metà dei salvadoregni dispone di un accesso a Internet; nelle zone rurali la percentuale di chi è in grado di connettersi alla rete è all’incirca del 10%. Moltissime persone hanno smartphone vecchi che non supportano le app per l’invio di rimesse tramite bitcoin, come Strike.
Il rischio di riciclaggio di denaro
Il Governo salvadoregno ha assicurato che garantirà la convertibilità dei Bitcoin – una valuta però poco stabile e soggetta a grandi oscillazioni di prezzo – nell’esatto valore in dollari al momento della transazione tramite un fondo apposito da 150 milioni di dollari.
Non è chiaro esattamente come funzionerà il fondo, né come farà a prevenire il riciclaggio di denaro. Un meccanismo che permette di ottenere dollari dai bitcoin potrebbe infatti venire utilizzato per il “lavaggio” di criptovalute provenienti da attività illecite, specie in un Paese con seri problemi di corruzione e di rispetto della legge come El Salvador. Di recente un rapporto del dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha indicato come corrotti alcuni funzionari governativi vicini a Bukele.
Il piano di Bukele
Sembra che l’obiettivo ultimo di Bukele sia – almeno a giudicare da ciò che scrive su Twitter – fare di El Salvador una sorta di “paradiso dei bitcoin” prossimo agli Stati Uniti. Un paradiso sia naturale, dal clima piacevole e spiagge adatte al surf, sia fiscale: possibilità di acquistare case di fronte al mare, niente tasse di proprietà, niente imposte sui guadagni da bitcoin, residenza permanente per gli imprenditori di criptovalute.
Al di là di questo, però, il contesto generale salvadoregno non pare particolarmente invitante per gli investitori: il Paese è povero, non ha un mercato interno sviluppato, è poco sicuro, l’emigrazione è corposa.
Bukele nega che il corso legale ai bitcoin rappresenti un tentativo di de-dollarizzazione dell’economia salvadoregna, che non ha sovranità monetaria perché dipende dal dollaro americano (la sua valuta, il colón, è fuori corso) e quindi dalle politiche decise a Washington.
Da qualche tempo, tuttavia, El Salvador ha alzato il livello di scontro con gli Stati Uniti. Un mese fa, dopo la pubblicazione del documento americano sui funzionari corrotti, Bukele ha lodato i 500 milioni di investimenti della Cina nel Paese per essere “senza condizioni”: è un’allusione ai fondi provenienti dagli enti americani, di solito condizionati al rispetto di alcuni criteri di buona governance. Dopodiché, il Parlamento di San Salvador ha ratificato un accordo di cooperazione con Pechino sugli investimenti nelle infrastrutture civili.
Non è chiaro cosa voglia ottenere Bukele. Forse vuole stuzzicare gli Stati Uniti per convincerli a favorire il rilascio del prestito da 1 miliardo di dollari che El Salvador ha richiesto al Fondo monetario internazionale (Fmi), un’istituzione filo-americana. Oltre alla Banca mondiale, anche l’Fmi ha espresso dubbi di tipo economico e legale in merito alla legge sui bitcoin.