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Brasile: torna Lula


 

In un Paese diviso in due, il nuovo Presidente ha detto con chiarezza che vuole governare per tutti, “bolsonaristi e lulisti”.

Luiz Inácio Lula da Silva ha vinto le elezioni presidenziali in Brasile, svoltesi domenica 30 ottobre, con il 50,9% dei voti. Il New York Times ne ha parlato come di una “rinascita politica” per Lula, sindacalista di sinistra che fu già presidente tra il 2003 e il 2011 e che venne poi arrestato per corruzione e infine scagionato.

Oltre che per il ritorno di Lula, le elezioni sono state importanti anche perché, per la prima volta dal 1988 (cioè dall’inizio della democrazia moderna nel paese), il presidente uscente non è stato rieletto: Jair Bolsonaro, un populista di estrema destra, ha infatti ottenuto il 49,1% dei voti.

Infine, queste elezioni hanno rappresentato una prova di maturità per una delle democrazie più numerose al mondo e dal passato turbolento. Bolsonaro aveva messo in discussione la sicurezza del sistema di voto elettronico, sostenendo (senza prove) che fosse vulnerabile ai brogli e che i sostenitori di Lula avessero intenzione di truccare il risultato. Si temeva, insomma, che lui e i suoi alleati si sarebbero rifiutati di accettare la sconfitta – alla maniera dell’ex-presidente statunitense Donald Trump – e che ciò avrebbe innescato una vasta crisi politica e sociale, tra scontri armati e rovesciamento delle istituzioni.

Non sembra uno scenario probabile. Bolsonaro ha sì perso le elezioni, ma i suoi alleati governeranno i tre stati più popolosi del Brasile (San Paulo, Rio de Janeiro e Minas Gerais) e i conservatori continueranno ad avere una forza consistente al Congresso, come fa notare Brian Winter, esperto di politica brasiliana.

Anche qualora Bolsonaro decidesse di reagire alla sconfitta con la forza, la destra brasiliana non sembra intenzionata a seguirlo: nessun politico e opinionista di spicco di quell’area ha parlato di brogli. Arthur Lira, l’alleato più importante di Bolsonaro al Congresso (una figura equivalente a quella dello speaker della Camera degli Stati Uniti), ha dichiarato che “la volontà della maggioranza espressa alle urne non dovrebbe mai venire contestata”.

Le tensioni comunque non mancano, e Lula – che ha vinto con il margine più ridotto degli ultimi trentaquattro anni – è consapevole delle divisioni ideologiche tra la popolazione. Nel suo discorso di domenica notte ha insistito proprio sull’unità nazionale e sulla ricomposizione delle fratture: “governerò per 215 milioni di brasiliani, e non solo per quelli che hanno votato per me”, ha detto; “non esistono due Brasili. Siamo un paese, un popolo, una grande nazione”.

Per contribuire alla prevenzione di eventuali disordini nel passaggio di potere tra i due presidenti, gli Stati Uniti hanno rilasciato rapidamente un comunicato di congratulazioni a Lula per la vittoria elettorale, come a dare validità internazionale all’esito del voto.

La vittoria di Lula potrebbe avere delle ripercussioni in politica estera. Innanzitutto, andrà a rafforzare lo spostamento a sinistra dell’America latina: dal 2018 ben sei delle sette nazioni più grandi della regione hanno eletto leader di sinistra. Inoltre, potrebbe intaccare il movimento internazionale del populismo di estrema destra, di cui proprio Bolsonaro era uno dei rappresentanti principali assieme a Trump.

 

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