Il cambiamento climatico è ormai percepito come un’emergenza dalla maggioranza della popolazione mondiale. Inoltre, nei prossimi anni la politica "verde" garantirebbe maggiore unità politica in Ue
diSimone Borghesi, Riccardo Colantuono 16 Maggio 2021
Il cambiamento climatico è ormai percepito come un’emergenza dalla maggioranza della popolazione mondiale. Inoltre, nei prossimi anni la politica “verde” garantirebbe maggiore unità politica in Ue
Uno dei temi principali che dovrà essere affrontato a partire dal 9 maggio all’interno della Conferenza sul Futuro dell’Europa sarà senza dubbio la questione climatica. L’approccio bottom-up che costituisce la base ideologica di questa iniziativa potrebbe rivelarsi adatto per raccogliere le istanze provenienti dal pubblico europeo in materia di climate change in quanto una delle critiche avanzate più spesso nei confronti delle politiche climatiche riguarda proprio l’inadeguatezza del classico approccio top-down. Questo stile di policy è spesso ritenuto incapace di individuare chiaramente i problemi più pressanti oltre ad essere influenzato pesantemente dagli interessi economici di alcune élites, per niente favorevoli ad iniziative di mitigazione significative che sacrificherebbero la loro posizione privilegiata all’interno della struttura economica, sociale e politica.
Il problema del cambiamento climatico è ormai percepito come un’emergenza dalla maggioranza della popolazione mondiale. A gennaio 2021 sono stati pubblicati i risultati del più esteso sondaggio mai condotto sul tema realizzato dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo coinvolgendo più di un milione e duecentomila persone in cinquanta diversi stati. I risultati mostrano che circa due terzi delle persone intervistate ritengono il cambiamento climatico un’emergenza globale, con picchi del 72% in Europa occidentale e nord America. In particolare, i cittadini degli stati membri dell’Unione Europea si sono dimostrati particolarmente preoccupati per la crisi climatica (con percentuali sopra il 70%) ed è proprio l’Italia ad avere il valore più alto insieme alla Gran Bretagna (81%).
Un altro sondaggio condotto annualmente dalla Banca Europea per gli Investimenti a partire dal 2018 chiede ai cittadini europei quali siano secondo loro le politiche più adatte per combattere il cambiamento climatico. L’edizione 2020-2021 del sondaggio ha mostrato risultati molto diversificati: il 50% degli intervistati francesi è favorevole ad introdurre un divieto ai prodotti “usa e getta”; il 35% dei tedeschi si dichiara favorevole ad un divieto dei voli di breve distanza (confrontato con una media europea del 26%); quasi un italiano su due (il 49%) è d’accordo con l’introduzione di sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici, mentre questa percentuale scende al 20% in Germania. Più in generale, le priorità più importanti a livello europeo vengono individuate nel settore energetico e delle rinnovabili (49%) e nel trasporto pubblico (55%).
I risultati di questi sondaggi mostrano che la grande maggioranza dei cittadini europei ritiene il climate change un problema considerevole e che gli stessi cittadini hanno idee eterogenee riguardo a come risolvere il problema. Se la Conferenza sul Futuro dell’Europa, che si propone di essere un “nuovo forum pubblico per un dibattito aperto, inclusivo e trasparente con i cittadini su una serie di priorità e sfide chiave”, riuscisse davvero ad essere un tramite efficace tra società civile e classe politica europea si potrebbe rivelare un importante valore aggiunto per la definizione della roadmap climatica dell’Unione europea e un’occasione di rilancio per la leadership agli occhi dei cittadini, a patto che questi ultimi vedano effettivamente accolte e trasformate in legislazione le istanze presentate durante la Conferenza.
L’Unione Europea ha infatti stabilito dei target climatici molto ambiziosi: la proposta di legge per ridurre le emissioni nette di gas serra di “almeno il 55%” entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 è da poco diventata giuridicamente vincolante per tutti gli stati membri mentre l’obiettivo di lungo termine è quello di essere “climaticamente neutri” (quindi un’economia con emissioni nette di gas serra pari a zero) entro il 2050. Per raggiungere questi traguardi è necessaria una radicale trasformazione di diversi settori produttivi, ma diversamente da quanto si tende a pensare l’Europa ha già a disposizione alcuni strumenti particolarmente utili in questo ambito: primo fra tutti lo European Union Emission Trading System (EU ETS), uno schema che obbliga le aziende più inquinanti ad acquistare permessi scambiabili associati alle emissioni di anidride carbonica, creando un incentivo economico verso l’eco-innovazione e la riduzione dell’impatto ambientale.
L’EU ETS è stato il primo sistema di carbon trading a essere implementato (è attivo dal 2005) e rimane al momento il più esteso al mondo. Il limite di emissioni dell’EU ETS diminuisce con un tasso annuo, attualmente fissato al 2,2% del valore di riferimento del 2010. Il sistema ha permesso una riduzione delle emissioni regolamentate del 21% tra il 2005 ed il 2020 e prevede di ottenere una riduzione del 43% entro il 2030, in linea con l’impegno preso dell’Unione Europea nei confronti dell’Accordo di Parigi. Le riforme introdotte negli ultimi anni hanno generato una crescita costante del prezzo dei permessi associati alle emissioni, dai 5 € a tonnellata del 2017 ai 44€ a tonnellata odierni, aumentando ulteriormente l’efficacia del sistema nel ridurre in modo significativo le emissioni climalteranti.
Tuttavia, per raggiungere gli obiettivi di mitigazione sopracitati saranno necessarie ulteriori riforme, oggi al centro del dibattito intorno al Green Deal Europeo e di conseguenza anche della Conferenza sul Futuro dell’Europa. Queste riforme si articolano prevalentemente in tre filoni: l’introduzione effettiva del settore dei trasporti all’interno dell’EU ETS; la riforma del meccanismo di market stability reserve (MSR); l’adozione di misure contro il carbon leakage.
La prima riforma riguarda la prospettiva di includere nell’ETS il settore del trasporto marittimo, aereo e su strada. Questi tre settori, insieme, contribuiscono a circa un quarto delle emissioni totali dell’Unione Europea e a differenza di altri settori (come quello energetico) si fatica ad immaginare una riduzione di questa tendenza negli anni a venire. Gli scenari che riguardano il settore marittimo e in particolare quello aereo prevedono una crescita costante ed esponenziale delle emissioni associate in condizioni di business as usual. La Commissione ha già presentato proposte per includere il settore dei trasporti marittimi e riformare lo status dell’aviazione (al momento inclusa in modo parziale e inefficiente) mentre sarà più difficile attuare l’inclusione del trasporto su strada per il rischio di colpire in modo sproporzionato le fasce meno abbienti della popolazione.
La seconda riforma riguarda invece la MSR, ovvero un meccanismo di aggiustamento automatico introdotto nel 2019 per evitare un eccesso di offerta dei permessi di inquinamento e migliorare la resilienza del sistema nei confronti di shock non previsti. Questo meccanismo ha permesso la crescita del prezzo dei permessi di cui sopra, ma sarebbe auspicabile rinforzare ed anticipare il meccanismo di risposta che in questo momento opera con un ritardo di circa un anno rispetto agli shock.
La terza riforma mira a ridurre il carbon leakage, ovvero la delocalizzazione delle attività produttive inquinanti. Com’è intuitivo, infatti, un prezzo crescente dei permessi ETS rischia di generare un incentivo per le aziende a spostare al di fuori dell’Ue le proprie installazioni produttive, per evitare di pagare costi aggiuntivi. Nel mese di marzo il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione per introdurre un carbon border adjustment mechanism (CBAM), ovvero una “tassa” carbonica su determinate merci se importate da paesi al di fuori dell’Ue che si ritiene abbiano politiche ambientali meno stringenti. Il CBAM è previsto dalla Commissione come oggetto di una proposta di regolamento per giugno 2021.
Le politiche ambientali dell’Unione europea necessitano di dialogo e partecipazione per poter essere il più efficaci possibili, perciò è necessario ampliare sia la cooperazione tra i sistemi di carbon trading che si stanno moltiplicando in tutto il mondo sia la conoscenza ed il coinvolgimento della società civile riguardo a tali sistemi. A questo proposito, è fondamentale il contributo di progetti come LIFE DICET (Deepening International Cooperation on Emission Trading) condotto presso l’Istituto Universitario Europeo che si propone di supportare i decisori politici dell’Ue e degli Stati membri nell’approfondimento della cooperazione internazionale per lo sviluppo e la possibile integrazione dei carbon markets. Se la classe politica europea sarà in grado di ascoltare sia le voci della società civile che quelle dei ricercatori e degli esperti, la politica “verde” negli anni a venire potrebbe costruire una base di legittimità trasversale e garantire sia una transizione ecologica virtuosa che una maggiore unità politica per l’intera Unione.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
Il cambiamento climatico è ormai percepito come un’emergenza dalla maggioranza della popolazione mondiale. Inoltre, nei prossimi anni la politica “verde” garantirebbe maggiore unità politica in Ue
Uno dei temi principali che dovrà essere affrontato a partire dal 9 maggio all’interno della Conferenza sul Futuro dell’Europa sarà senza dubbio la questione climatica. L’approccio bottom-up che costituisce la base ideologica di questa iniziativa potrebbe rivelarsi adatto per raccogliere le istanze provenienti dal pubblico europeo in materia di climate change in quanto una delle critiche avanzate più spesso nei confronti delle politiche climatiche riguarda proprio l’inadeguatezza del classico approccio top-down. Questo stile di policy è spesso ritenuto incapace di individuare chiaramente i problemi più pressanti oltre ad essere influenzato pesantemente dagli interessi economici di alcune élites, per niente favorevoli ad iniziative di mitigazione significative che sacrificherebbero la loro posizione privilegiata all’interno della struttura economica, sociale e politica.
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