Portare la bandiera europea anche nelle campagne elettorali nazionali ha un senso concreto per tutti i paesi membri e per le comunità di questi paesi, non solo per ragioni ideali, ma perché la stragrande maggioranza dei problemi cui la politica è chiamata a fornire soluzioni non può in nessun modo essere gestita nel ristretto ambito nazionale.
Populisti e sovranisti non potranno mai dimostrare (e infatti non lo fanno) che i vantaggi di vivere in un paese di un’Unione come quella europea non siano immediati ed enormi. Per esempio, all’interno di un’Unione, si può beneficiare di un bilancio comunitario, che è un moltiplicatore dei risicati budget nazionali; si possono realizzare economie di scala per impiegare il denaro in modo più efficiente; si possono promuovere le migliori prassi, esportandole facilmente dal paese di riferimento in tutti gli Stati membri, consentendo ai cittadini di trarne vantaggio in tempi ridotti. Più in generale, il valore aggiunto europeo si somma al valore generato dalle azioni di singoli Stati membri.
Sul bilancio comunitario, vale la pena approfondire la prospettiva: oggi, il bilancio Ue rappresenta circa l’1% del Pil dell’Unione, una proporzione risicata se confrontata con altri bilanci federali. Negli Stati Uniti, il bilancio federale rappresenta circa il 20% del Pil Usa. Ad oggi, di questo 1% del bilancio Ue, circa l’80% ritorna agli stessi stati da cui proviene attraverso vari capitoli di spesa. Tuttavia, l’impatto redistributivo netto è piuttosto modesto: per ogni 1.000 € di differenza in reddito pro capite fra cittadini dell’Unione, il bilancio comunitario contribuisce a ridurre tale divario di 11 euro, equivalente all’1,1%. A paragone, secondo un recente studio di Feyrer e Sacerdote, negli Stati Uniti, l’effetto di equalizzazione del bilancio federale è del 40%, cioè 35 volte superiore. L’effetto di stabilizzazione macroeconomica del bilancio dell’Unione europea è anch’esso molto scarso: una riduzione media del reddito pro capite di 1.000 €, in un dato anno, viene compensata solo per 8 €. Sempre per capire quale potrebbe essere il nostro obiettivo, negli Stati Uniti il bilancio federale assorbe 253 $, cioè un effetto stabilizzatore di 30 volte maggiore.
Tutti si affannano a promettere meno tasse e aumento della crescita, ricetta impossibile con i livelli dei nostri debiti pubblici e la prospettiva di un aumento dei tassi di interesse, immaginabile nei prossimi tre anni. E allora dobbiamo lavorare seriamente tutti insieme per incrementare il budget comunitario dal risicato 1%, dedicandolo a progetti in grado di trainare la crescita nei paesi con maggiori vincoli di spesa, obiettivo che servirebbe anche all’austera Germania (che deve pur sempre continuare ad esportare negli altri paesi europei, destinazione della maggioranza del suo export), e proiettiamoci verso una fiscalità europea, connessa anche ad una distribuzione del debito tra i paesi dell’area euro.
La migliore garanzia per i paesi virtuosi sta nella gestione accentrata della politica: nessuno deve temere un Ministro europeo dell’Economia con passaporto tedesco.
La finestra per prendere storiche decisioni come questa è data dalle quasi contemporanee elezioni in Francia, Germania e Italia, a patto che dalle urne emergano protagonisti autenticamente filo-europei. In Francia è miracolosamente accaduto; in Germania, vogliamo considerare Angela Merkel − certa vincitrice delle politiche di settembre − la migliore interprete, seppure finora troppo timida, dell’europeismo di marca teutonica. In Italia, abbiamo un enorme punto interrogativo…
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Portare la bandiera europea anche nelle campagne elettorali nazionali ha un senso concreto per tutti i paesi membri e per le comunità di questi paesi, non solo per ragioni ideali, ma perché la stragrande maggioranza dei problemi cui la politica è chiamata a fornire soluzioni non può in nessun modo essere gestita nel ristretto ambito nazionale.