Il direttore risponde ogni settimana a una lettera inviata dai lettori
Gentile direttore
sono una lettrice di Eastwest, abbonata alla rivista da diversi anni. Le scrivo prendendo spunto dalla vostro pezzo sull’Algeria, un Paese che amo e che ho avuto la fortuna di conoscere. Alle manifestazioni pacifiche della popolazione il Governo ha reagito in maniera del tutto inadeguata: anticipiamo le vacanze all’università. Oltre alla repressione, la classe dominante algerina sembra incapace di produrre alcuna risposta che non sia di facciata. Nulla che possa produrre un cambiamento e venire incontro alle esigenze della piazza. L’opposizione non sembra essere matura per sostenere il Paese verso una nuova transizione democratica. Cosa succederà se non ci saranno risposte adeguate? Si rischia veramente una nuova destabilizzazione dell’area dagli esiti imprevedibili oppure è solo un paravento dietro il quale si nasconde una classe dominante incapace di produrre riposte efficaci?
Grazie
(Carolina Massa, Roma)
Cara Carolina,
i fattori scatenanti delle rivolte che hanno interessato i Paesi nordafricani nel 2010-2012 potevano essere rintracciati nella corruzione dilagante, assenza di libertà democratiche e crisi economica. Fattori che persistono in Algeria sin dalla fine della Primavera Araba del 2012 e incarnati nella figura di Bouteflika, al potere dal 1999. Difatti, l’Algeria è attraversata da una crisi economica che si riflette nella disoccupazione: il 30% dei giovani algerini non ha lavoro, la disoccupazione per chi ha meno di 30 anni tocca punte del 54%. Il calo delle entrate derivanti dalla vendita di idrocarburi (che costituiscono il 98% dell’export totale) ha peggiorato la situazione: mancano i fondi per comprare la cosiddetta pace civile, che ha permesso a Bouteflika di rimanere al potere per 20 anni. Questa situazione ha inoltre permesso alla Cina di far dell’Algeria la sua base per l’espansione in Nord Africa. Ma Bouteflika è solo una marionetta nelle mani del suo partito, guidato di fatto dal fratello più giovane, Said Bouteflika. In questo contesto, l’incognita da non sottovalutare è la posizione delle forze armate, che ancora non si sono schierate apertamente. È poco probabile che l’esercito favorisca un violento cambiamento di regime, ma è difficile fare previsioni, soprattutto se le proteste dovessero perdere la loro matrice pacifica. Dopotutto, è chiaro che il Generale Ahmed Haid Salah (Viceminsitro della Difesa) sia in grado di esercitare una notevole influenza. E finché Bouteflika rimarrà al potere, la società algerina continuerà a frammentarsi, come avvenuto già in altri Paesi nordafricani.
Giuseppe Scognamiglio