Come leggere le prime nomine della prossima amministrazione Trump
Per capire i prossimi equilibri bisogna guardare i possibili nomi del Segretario di Stato, Pentagono e CIA. Da un lato, Trump risponde al mondo MAGA con le nomine interne, dall’altro sembra avere una posizione più conciliante a livello globale, con Europa e Ucraina, e di sfida alla Cina.
Archiviata la vittoria, Donald Trump procede spedito con le nomine del suo prossimo governo. Da giorni arrivano nominativi su chi sarà impegnato nel portare avanti l'agenda trumpiana 2.0. Molti di questi hanno creato stupore e anche indignazione, ma il fatto evidente che sembra emergere in queste settimane è che queste nomine arrivano secondo due direttrici: rottura con il passato e fedeltà.
Il primo punto è fondamentale. Nel 2016, dopo la sorprendente vittoria contro Hillary Clinton, Trump si trovò quasi cooptato dal partito Repubblicano in un tentativo di normalizzazione della sua presidenza, con membri del governo vicini alle élite del Gop e figure "tecniche" capaci di gestire la sua imprevedibilità. Oggi, otto anni dopo quell'esperienza, Trump non si è solo preso il partito, aumentando la truppa di deputati e senatori trumpiani, ma ha anche creato intorno a sé una struttura più robusta e capace di reggere le influenze esterne. E qui veniamo al secondo punto: la fedeltà. I primi nomi che sono spuntati indicano la scelta di figure che negli ultimi hanno mostrato un allineamento politico-ideologico con Trump al limite della cieca fedeltà. Un modo, per Trump, di blindare la propria presidenza.
Se si va però a vedere ogni singolo nome spuntato finora ci sono evidenti segni di separazione e molte sorprese. In primo luogo molte nomine riguardanti dipartimenti interni: Salute, Giustizia, Energia, sono molto vicine al mondo MAGA. Prendiamo, ad esempio, quella di Matt Gaetz. Il deputato della Florida super trumpiano, su cui pende un'indagine interna del Congresso per molestie sessuali e uso di droghe, è un fedelissimo di Trump e uno dei più vicini alle istanze della base repubblicana. Stesso discorso si può fare per la nomina di due ex democratici come Tulsi Gabbard (nominata come direttrice dell'Intelligence) e Robert F. Kennedy, Jr. (indicato per il dipartimento della Salute). Fedelissimi vicini alla pancia dei trumpiani più accaniti.
Discorso diverso invece per le nomine che si troveranno a gestire i dossier della politica estera. È il caso del senatore Marco Rubio, indicato come prossimo segretario di Stato; del deputato Michael Waltz, consigliere per la sicurezza nazionale; della deputata Elise Stefanik scelta come ambasciatrice all'Onu; di John Ratcliffe scelto come prossimo capo della Cia; e del volto di Fox News Pete Hegseth che potrebbe diventare il prossimo capo del Pentagono.
Le tribù repubblicane
Si tratta di nomine che dicono molto sugli obiettivi che la prossima amministrazione americana vorrà perseguire, ma soprattutto sono nomine che mostrano un Trump più pragmatico e moderato. Le nomine di Rubio e Waltz, in particolare, sono quelle che hanno destato più sorpresa e che hanno anche creato i primi malumori nel mondo più trumpiano. Il primo, rivale di Trump nelle primarie del 2016, negli ultimi anni si è avvicinato al tycoon al punto che per un periodo era dato come papabile candidato alla vicepresidenza. Il secondo, un ex berretto verde con oltre 27 anni di servizio alle spalle e un ruolo da consigliere nell'amministrazione di George W. Bush, è al Congresso dal 2018. I due esponenti della Florida vengono dipinti come due falchi poco allineati alla corrente "America First" di Donald Trump.
Per capire cosa vogliono dire queste nomine e avere un'idea del perché potrebbero non piacere a una parte del mondo MAGA, viene in soccorso una definizione dello European Council on Foreign Relations. Negli ultimi anni, nota il think tank, la destra repubblicana è stata dominata da tre visioni della politica estera: i "primatisti", i "priorizzatori" e i "ritardatori". I primi, vicini alla vecchia guardia del partito, sono quelli legati a all'idea di leadership globale a guida americana, e quindi di un Paese capace di giocare su più fronti, dall'Ucraina alla Cina. I secondi e terzi, invece, vedono la necessità di un ruolo americano nel mondo più contenuto, e che sia necessaria una rimodulazione delle forze. Per i "priorizzatori" lo sforzo americano deve andare solo dove serve davvero, per esempio nell'Indo-Pacifico e non in Ucraina, gli altri addirittura vorrebbero concentrarsi solo sui dossier interni riducendo i dispiegamenti all'estero.
Rubio e Waltz negli anni hanno mostrato posizioni da "primatisti", ma oggi si sono via via spostati sulle posizioni dei "priorizzatori". Questo vuol dire che nella testa dei due consiglieri più importanti in materia di politica estera, gli Usa non possono più essere il poliziotto del mondo, ma devono invece dedicare le loro forze e energie solo in dossier altamente impattanti per gli Stati Uniti.
Il dossier cinese
Per i due, le forze vanno quindi concentrate più sul dossier Indo-Pacifico, o meglio sul contenimento della Cina. Rubio e Waltz, infatti, vengono considerati due falchi anticinesi tra i più intransigenti. La loro nomina indicherebbe quindi la volontà di Trump di concentrarsi soprattutto sulla competizione con Pechino. Lo stesso Walz qualche giorno prima delle elezioni aveva attaccato la politica estera dell'Amministrazione Biden con un editoriale sul The Economist. Nel mirino aveva inserito soprattutto l'ampio supporto all'Ucraina nella guerra contro la Russia e il coinvolgimento nella crisi in Medio Oriente, due dossier colpevoli di aver distratto dall'imperativo di contrastare la Cina. Rubio, in un editoriale su Foreign Affairs di qualche anno fa, scriveva che gli Usa dovevano confermarsi come "faro di speranza per le persone oppresse in tutto il mondo", un modo per attaccare le violazioni dei diritti umani in Paesi come la Cina.
Il dossier ucraino
Questa ricalibrazione verso il Pacifico e il contenimento della Repubblica popolare, nella testa di Trump andranno a discapito di altri quadranti a partire con ogni probabilità da quello ucraino. Da mesi il mondo trumpiano chiede agli Usa un passo indietro nel supporto a Kiev. In questo senso il neo-vicepresidente Vance era stato chiaro parlando di un dossier che assorbe soldi americani senza un vero motivo. Su questo punto il probabile prossimo segretario di Stato e il consigliere per la sicurezza nazionale si sono mostrati moderatamente MAGA.
Waltz da un lato ha attaccato il presidente Biden per l'"assegno in bianco" dato a Kiev e dall'altro ha chiesto all'Europa di prendersi carico del supporto all'Ucraina, in particolare per le nazioni più ricche come Regno Unito, Francia e Germania. Il deputato si è anche espresso contro il possibile ingresso di Kiev nella Nato. Lo stesso Waltz, però, ha anche scritto che se Vladimir Putin non dovesse sedersi al tavolo di pace apparecchiato da Trump, allora gli Usa dovrebbero inviare nuove armi con meno restrizioni all'esercito ucraino per convincere Mosca a trattare.
Rubio si è espresso più o meno nello stesso modo. In un editoriale sul The American Conservative dal titolo "Il mio piano per il rinnovamento americano", il senatore ha scritto che il passo decisivo da fare è "costringere la politica estera a ridefinire le priorità e a concentrarsi su una minaccia più urgente: il partito comunista cinese. Anche se questo richiederà compromessi e condivisione degli oneri". In generale, ha scritto il Washington Post, non sembra che né Rubio né Waltz siano strenui difensori del grande disimpegno americano e quindi di misure radicali come il ritiro della Nato. In sostanza la ricetta di Trump è quella di chiudere i tanti dossier aperti dall'amministrazione democratica, fermando la guerra in Ucraina il prima possibile dando responsabilità maggiori a Bruxelles e Kiev e spostando tutto verso l'Indo-Pacifico.
Il dossier Medio Oriente
C'è quindi un altro dossier da gestire, quello relativo al Medio Oriente. Qui, però, c'è un leggero disallineamento con il più intransigente mondo MAGA. I due sono vicini alle posizioni di Israele e forti critici dell'Iran. Posizioni che li collocano in contrasto con lo stesso Vance, più volte critico del coinvolgimento americano nella regione. Va in questa direzione anche la nomina di Stefanik ad ambasciatrice Onu. In passato critica di Trump per la sua posizione sulla Nato, oggi è una sua fedelissima, ma soprattutto una forte sostenitrice di Israele. Nel corso dell'anno la deputata si è resa protagonista di durissime audizioni alla camera contro i rettori del campus in preda alle proteste pro-Palestina e oggi secondo molti potrebbe entrare alle Nazioni Unite con il compito di attaccare agenzie e diplomatici critici contro il governo di Benjamin Netanyahu.
Il nodo Pentagono e CIA
Al di là dell'agenda di Rubio e Waltz, ci sono altri pronti a incidere sulla politica estera americana. È il caso di Hegseth, nominato alla guida del dipartimento della Difesa. Al momento in cui è uscito il suo nome, in molti si sono chiesti quali possono essere le sue competenze per guidare il Pentagono. Il presentatore di Fox News ha un passato nell'esercito con missioni in Iraq e Afghanistan. Da anni ha stretti legami con il mondo dei veterani tanto che nel 2016 Trump lo prese in considerazione per diventare segretario degli Affari dei Veterani. Si è sempre dimostrato un militarista muscolare: anni fa chiese l'aumento delle truppe in Iraq e Afghanistan, poi si adoperò per difendere un gruppo di soldati accusati di crimini di guerra. È probabile che la sua nomina indichi la volontà di Trump di rinforzare l'esercito americano in un'ottica di maggiore deterrenza.
Altro tassello la nomina di un nuovo capo della Cia, John Ratcliffe, già direttore del National intelligence negli ultimi mesi dell'amministrazione Trump e con un passato da pubblico ministero in Texas. La stampa Usa l'ha definita una nomina abbastanza tradizionale rispetto ad altre già controverse. Fedelissimo di Trump è stato un critico dell'indagine sul Russiagate e come Rubio e Waltz è un falco anticinese. Il passaggio di consegne con l'attuale capo dell'agenzia, William Burns, segna un ritorno alle origini per l'agenzia. Fonti dell'intelligence sentite dal Washington Post hanno sottolineato che Ratcliffe dovrebbe portare avanti l'agenda di Trump senza particolari scossoni dato che "non ha mostrato un interesse duraturo nella politica estera o nella pratica dell'intelligence". Se confermato per la Cia si tratterebbe di un passo indietro rispetto al ruolo centrale che l'Agenzia ha avuto con Burns, che negli ultimi quattro anni è stato l'uomo chiave della diplomazia ombra della Casa Bianca di Biden.